mercoledì 12 ottobre 2016

La Stampa 12.10.16
Yuval Harari ridimensiona l’ebraismo
di Elena Loewenthal

L’ebraismo è un po’ come la mamma di Newton: non è che quando si scrive una storia della scienza ci si senta in dovere di dedicarle un capitolo. Parola di Yuval Harari, docente all’Università Ebraica di Gerusalemme e autore del fortunato quanto appassionante Breve storia dell’umanità (tradotto da Bompiani).
Come affronta la storia dell’umanità focalizzandosi su alcuni punti essenziali che ci distinguono dal resto del creato, così Harari ha di recente offerto ai lettori del supplemento dell’Haaretz un interessante excursus sulla «normalità» del popolo ebraico. «Va da sé che il popolo ebraico è unico», spiega, «e ha una storia sorprendente (il che è peraltro vero per gran parte dei popoli). È altrettanto ovvio che la tradizione ebraica è piena di idee profonde e valori nobili (benché sia anche piena di opinioni discutibili). Ma se si guarda al quadro generale della nostra storia a partire dall’affermazione dell’Homo sapiens più di 10.000 anni fa, è ovvio che il contributo ebraico alla storia risulti assai limitato».
Anche restringendo il campo alla questione delle religioni monoteistiche, Harari ridimensiona il ruolo dell’ebraismo. D’accordo che sta alla radice di cristianesimo e islam, ma c’è dell’altro su questa terra: una moltitudine di religioni e fedi. Se poi «scendiamo» sul terreno dell’etica, è vero che la Bibbia ebraica offre una solida piattaforma di valori morali e sociali. Ma è altrettanto vero che uguaglianza e giustizia sociale sono istanze che manifestano chiaramente anche i primati (nel senso di scimmie).
Questo «ridimensionamento» dell’ebraismo nel contesto della storia umana non è un puro divertissement né una provocazione fine a se stessa. Secondo Harari la responsabilità di avere, dalla Bibbia in su, «inventato» così tante cose, e la fatica di stare al centro della storia, sono più un onere che un onore. Forse l’ebraismo, dice, farebbe bene a recuperare un’antica ma trasandata virtù: quella della modestia. Intesa non come il contrario della baldanza - non è proprio questo il punto - ma come la soddisfazione di stare al margine e di lì guardare al mondo. Con quella serenità tutta speciale che viene dal sapere di contare poco, tutto sommato.