lunedì 10 ottobre 2016

La Stampa 10.10.16
I sauditi nel pantano dello Yemen
Riad bombarda e fa stragi ma non vince. Perché?
di Giordano Stabile

Un Vietnam saudita. La guerra ai ribelli sciiti Houthi in Yemen si sta trasformando in un pantano che mina la credibilità di Riad e rischia di mettere in discussione la storica alleanza con l’America. Il bombardamento del funerale a Sana’a di sabato, con i suoi 140 morti e oltre 500 feriti, è di dimensioni tali da fare impallidire quelli russi ad Aleppo. Per Washington l’imbarazzo è doppio. Da una parte risulta sempre più difficile dare il suo sostegno a una operazione che non dà risultati tangibili sul piano militare e ha un costo esorbitante in vittime civili. Dall’altra risulta difficile chiedere all’Onu di imporre una no-fly-zone in Siria, in pratica distruggere l’aviazione di Assad, a «protezione della popolazione» e poi non fare nulla per gli yemeniti. La guerra in Yemen si è riaperta nel febbraio 2015 quando gli Houthi hanno cacciato il presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi da Sana’a e preso il controllo di circa metà del Paese. Nel marzo l’Arabia saudita ha messo in piedi una coalizione di potenze sunnite (senza però riuscire a coinvolgere l’Egitto sul terreno) per sgominare la ribellione sciita. A un anno e mezzo di distanza l’unico successo di rilievo è la riconquista di Aden, storicamente fuori dall’area di influenza Houthi. Nel frattempo Al-Qaeda ha approfittato del caos e si è ritagliata ampie fette di territorio nell’Est, a Nord i guerriglieri sciiti sono passati al contrattacco, sono entrati nel territorio del Regno e minacciano il capoluogo di provincia Najran. Gli Houthi hanno il sostegno di parte dell’esercito rimasto fedele all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, disarcionato dalla Primavera araba nel 2012, hanno messo le mani su un massiccio arsenale, comprese centinaia di missili balistici a medio raggio che colpiscono le basi saudite. Un missile ha anche centrato una nave emiratina, quattro giorni fa, mentre pattugliava il Mar Rosso per impedire l’arrivo di armi dall’Iran in uno dei due porti che i ribelli ancora controllano. Gli eserciti delle petromonarchie hanno i migliori armamenti al mondo ma truppe nella sostanza mercenarie con ufficiali dai natali principeschi. Di fronte si trovano un’armata di guerriglieri indurita da decenni di conflitti sulle montagne, che sopravvive con pochissimo, conosce alla perfezione il territorio e lo sfrutta al meglio per infliggere perdite insostenibili. Un Vietnam.