domenica 23 ottobre 2016

internazionale 21.10.2016
Stanchi del libero scambio
di Jean Quatremer, Libération, Francia


Saranno i 4,5 milioni di belgi francofoni a far naufragare l’accordo di libero scambio raggiunto da Unione europea e Canada? Il veto della Vallonia potrebbe rendere inutile il vertice del 27 e 28 ottobre nel corso del quale il primo ministro canadese Justin Trudeau e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker dovrebbero firmare il Ceta. È difficile negare l’esasperazione dell’opinione pubblica europea di fronte a una globalizzazione che non rende tutti felici. Questo ritorno del protezionismo avviene, curiosamente, soprattutto nei paesi le cui élite hanno difeso con più fervore il libero scambio: nel Regno Unito il voto a favore della Brexit si spiega in buona parte con la rivolta dei dimenticati della globalizzazione. Allo stesso modo, nei Paesi Bassi, storicamente aperti al commercio, i cittadini hanno respinto in primavera l’accordo d’associazione tra l’Unione europea e l’Ucraina, che riguarda soprattutto il libero scambio. Questo fenomeno interessa anche i paesi ricchi e a piena occupazione, come la Germania, dove l’opposizione al Ceta o al Ttip, il progetto di un trattato con gli Stati Uniti, è molto più forte che in Francia, Italia, Spagna o Portogallo. La disaffezione dell’opinione pubblica ha una spiegazione semplice: la perdita di posti di lavoro legata all’apertura delle frontiere è immediata e colpisce i più deboli, mentre i vantaggi arrivano più tardi e solo alle persone più istruite e più ricche. Ovviamente si può ribattere che la globalizzazione ha portato grandi benefici al resto del pianeta. I cittadini europei però non votano in India o in Brasile, ma qui e ora, e l’egoismo è il valore più condiviso al mondo. L’Unione europea, ontologicamente convinta delle virtù del libero scambio, così come lo sono i governi di cui non è altro che il riflesso, deve fare attenzione: il rifiuto della globalizzazione va di pari passo con il rifiuto dell’Europa, percepita come il suo cavallo di Troia. La fuga in avanti verso il libero scambio finirà contro il muro del nazionalismo.