Il Sole 8.10.16
Italia, il gap nella domanda interna
di Luca Orlando
Macchinari,
attrezzature e prodotti vari. Scorrendo le componenti del Pil italiano
del secondo trimestre non è difficile individuare il principale
“colpevole” della crescita zero. Su base congiunturale si tratta infatti
del dato peggiore (-0,9%) mentre in termini tendenziali (-0,7%) è
l’unica voce negativa. Una prudenza negli investimenti del resto
confermata dal tiraggio del credito, con le nuove operazioni di
finanziamento per le imprese che dopo un promettente balzo nel 2015
tornano ora a contrarsi, una riduzione del 6,6% che in termini assoluti
vale 17 miliardi.
Scorrendo i dati Istat altrove, tuttavia, non
c’è troppo da rallegrarsi. In termini di contributi al Pil, variazione
delle scorte (-0,3%) e domanda estera netta si equilibrano
perfettamente, così come sono perfettamente allineati, sul livello zero,
consumi finali e investimenti globali.Anche se in termini di
misurazione statistica gli indici di fiducia si mantengono su livelli
elevati, nelle scelte concrete di famiglie e imprese pare prevalere una
forte dose di prudenza. Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, la
netta divaricazione nei trend di reddito disponibile e consumi, questi
ultimi nettamente meno tonici nel secondo trimestre a beneficio di una
brusca impennata (+0,9%) della propensione al risparmio, mai così alta
da sei anni.
Mettere da parte risorse in vista di possibili
problemi è certamente scelta saggia ma l’effetto immediato sull’economia
è depressivo, così come negativa è la stasi degli investimenti.Il
quadro globale, da questo punto di vista, non è particolarmente
brillante,a cominciare dalla situazione oltreconfine. Guerre, attentati,
svalutazioni e crollo delle commodity rappresentano il contesto di
contorno su cui si innesta la frenata corale dei Brics, una riduzione
delle importazioni ben evidente nei risultati deludenti del made in
Italy nel 2016.
Un quadro internazionale non eccitante, dunque,
che tuttavia non opera discriminazioni tra economie: Italia, Francia e
Germania da questo punto di vista affrontano lo stesso mondo. I gap, non
marginali rispetto all’Europa, stanno però soprattutto altrove, nella
domanda interna.L’occupazione è oggettivamente in crescita, e per questa
via arriva in effetti un sostegno alla capacità di spesa globale delle
famiglie, ma la distanza dai nostri partner in termini assoluti resta
elevata. L’11,4% di disoccupazione in Italia si confronta con una media
Ue inferiore di quasi tre punti: in Europa soltanto Cipro, Croazia,
Spagna e Grecia fanno peggio di noi, in Germania i senza lavoro sono il
4,2%.
Altro nodo che limita le potenzialità della domanda interna è
la debolezza nelle costruzioni. Che non riguarda solo mattoni e cemento
ma anche caldaie e infissi, rubinetti e valvole, piastrelle e domotica,
mobili ed elettrodomestici. Filiere industriali “pesanti” per il made
in Italy che non possono certo gioire nel vedere l’indice di produzione
nelle costruzioni ancora 34 punti al di sotto dei livelli 2010, soglia
quasi raggiunta dall’intera Europa. Frenata dell’export e debolezza
interna impediscono alla produzione industriale italiana (peraltro non
brillante fino a luglio neppure in Francia e Germania) di ritrovare
slancio (+0,6% in sette mesi), comprimendola quasi otto punti al di
sotto dei livelli 2010, un gap di 12 punti se il confronto è con la
media Ue attuale.
Riconferma degli sgravi per l’edilizia e
soprattutto deciso rafforzamento degli incentivi ad investire
(rifinanziamento della Sabatini-bis, conferma del superammortamento al
140%, iperammortamento al 250% per i beni di Industria 4.0)
rappresentano la strada scelta dal Governo per rianimare l’economia.
Decisione corretta, salutata con favore anche dalle imprese. Anche se,
ci ricorda un imprenditore delle macchine utensili, «per chi investe il
bonus aiuta, ma anzitutto occorre avere un mercato».di Luca Orlando