Il Sole 8.10.16
Renzi e la mina Giustizia
Quindici giorni per uscire dall’impasse
di Donatella Stasio
Quindici
giorni: è il tempo che si è preso Matteo Renzi per «trovare una
soluzione» all’intricata vicenda della riforma della giustizia penale,
presentata nel 2014 come fiore all’occhiello del governo ma ora
diventata una pesante zavorra politica.
La campagna referendaria
ci ha messo del suo e la bulimia legislativa pure, visto che il Ddl è
diventato di 40 articoli che spaziano dall’aumento di pena per alcuni
reati (furti, scippi, rapine, voto di scambio elettorale politico
mafioso) all’allungamento della prescrizione, dalle impugnazioni a un
nuovo sistema penitenziario non più carcerocentrico; passando per la
stretta sulle intercettazioni, l’«indagine breve», l’estensione dei
processi in videoconferenza. Molta carne al fuoco, che però non ha
saziato tutti gli appetiti e per di più ha suscitato tanti mal di
pancia. Troppi, secondo Renzi, che perciò finora non ha voluto giocare
la carta della fiducia sponsorizzata dal ministro della Giustizia Andrea
Orlando, temendo per la tenuta del governo, in un momento in cui
l’imperativo è arrivare al referendum del 4 dicembre senza intoppi. E
senza inciampare in misure «impopolari» a destra e a sinistra, tra
maggioranza e opposizione, tra magistrati e avvocati (ovviamente per
ragioni diverse).
Ma ecco che, per uscire dall’angolo, il premier
ha tirato fuori dal cappello «gli amici magistrati» e il «capo dell’Anm»
Piercamillo Davigo: non si può non tener conto delle loro critiche, ha
detto la settimana scorsa. Davigo l’ha preso in parola, rilanciando le
richieste già espresse dall’Anm un anno fa, più altri due dossier: sulla
penuria di cancellieri e magistrati, che sta portando i Tribunali alla
«paralisi», e sul decreto legge che proroga i vertici della Cassazione e
modifica i tempi della formazione, del tirocinio, di permanenza delle
toghe negli uffici giudiziari per tamponare l’emorragia di magistrati
prepensionati. Tre dossier sui quali l’Anm minaccia uno sciopero. Che
per ora Davigo è riuscito a evitare chiedendo a Renzi e a Orlando un
incontro. Richiesta formalizzata mercoledì scorso.
«Volentieri
ascolteremo le valutazioni dell’Anm e quelle di tutti gli altri» ha
risposto ieri il premier, prendendosi 15 giorni di tempo per «lavorare a
una soluzione» e sostenendo che «la riforma ha molti aspetti positivi» e
nel mondo della giustizia gode di molto consenso». Quanto alla fiducia,
ha fatto sapere che il governo deciderà «sulla base di com’è la
discussione parlamentare», accontentando così Orlando, secondo cui il
Senato deve votare salvo, in caso di inciampi su un voto segreto (sono
170), ricorrere alla fiducia.
La riforma dovrebbe riprendere a
camminare martedì ma è invece probabile un cambiamento del calendario.
Del resto, Renzi ha chiesto 15 giorni di tempo per ascoltare «tutti»... E
i primi saranno i magistrati. Che si giocano tre carte. Quella
politicamente più indigesta riguarda la riforma della giustizia penale,
là dove impone ai Pm di chiedere l’archiviazione o il rinvio a giudizio
«entro 3 mesi» dalla conclusione delle indagini, pena l’avocazione da
parte del Procuratore generale. L’Anm si accontenterebbe di un aumento a
6 mesi, ma finora c’è stato l’altolà di Alfano e di mezzo Pd. Nel
mirino, poi, c’è anche la norma che impone al Pm di iscrivere
«immediatamente» una notizia di reato, pena segnalazione disciplinare.
Ma anche qui, finora, non ci sono state aperture politiche.
Sul
fronte del personale di cancelleria (in alcuni casi le scoperture
toccano il 50% degli organici), il governo metterà sul tavolo
l’«inversione di tendenza» dopo 20 anni di blocco delle assunzione,
avendo appena avviato il reclutamento di 1000 cancellieri. Una goccia
nel mare, replica l’Anm, visto che ne mancano 9mila e la mobilità si è
rivelata un boomerang perché ha portato nei Tribunali personale
inadeguato(dai portantini agli ingegneri) a svolgere il lavoro
giudiziario. Perciò chiede quanto meno una programmazione delle
assunzioni. Quanto alla carenza di magistrati, imputabile alla scelta
del governo di abbassare l’età pensionabile da 75 a 70 anni senza alcuna
gradualità (salvo due proroghe), l’Anm chiede di portare a 72 anni
l’età pensionabile, per tutti i magistrati, e di non cambiare le carte
in tavola sulla permanenza minima negli uffici. Richiesta finora
inascoltata: la Camera (dove il Dl è stato appena approvato) ha
confermato l’impostazione del governo. Di più, per compensare le uscite
ha ridotto anche la durata della formazione delle giovani toghe presso
la Scuola della magistratura, ridotta da 6 mesi ad uno. La Scuola l’ha
presa male e certo non è un buon segnale in tempi in cui alla
magistratura si chiede la più ampia professionalità e apertura
culturale.