sabato 29 ottobre 2016

Il Sole 29.10.16
Lo scontro Ue tra valori fondanti e armi spuntate
di Gerardo Pelosi

Veti impossibili, vuote minacce, saprattutto visioni diverse (se non opposte) dell’Europa. C’è questo, ma non solo, dietro l’ultimo scambio di accuse tra il premier ungherese Orban a il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi su crisi dei migranti e conti pubblici. Si fronteggiano, come raramente è successo, populismo e nazionalismo dell’Est con le battaglie di Renzi per un’Europa dei valori che guardi oltre la disciplina fiscale. Ma c’è anche una diversa lettura delle norme che regolano il funzionamento dell’Unione su una materia, quella dei migranti, che è terreno privilegiato degli scontri politici nazionali.
Cominciamo dall’inizio. «L’Italia – dice Renzi contestando le posizioni del premier ungherese Orban sui migranti – ogni anno dà 20 miliardi all’Europa e ne recupera 12. D’ora in avanti metterà il veto su qualsiasi bilancio che non contempli stessi oneri e stessi onori. L’Italia non è più il salvadanaio da cui andare a prendere i soldi». Il saldo netto strutturalmente negativo con Bruxelles per l’Italia deriva dal fatto che il nostro Pil, dopo quello di Germania e Francia, è il più alto in Europa. Nel negoziato del 2013 con la Commissione Ue quello sbilancio si è ridotto. Un saldo negativo per 8 miliardi come quello che Renzi sostiene esservi “ogni anno” può al massimo essere stato un caso eccezionale per un utilizzo di fondi Ue molto ridotto, ma la media normale del saldo negativo dal 2013 si attesta sulla metà, circa 4 miliardi.
Quanto al possibile veto al bilancio Ue, Renzi sa perfettamente (e lo sanno anche gli ungheresi) che il bilancio annuale prossimamente in votazione a Bruxelles viene approvato a maggioranza, quindi il veto non si può mettere. Diverso è il discorso per il “quadro finanziario pluriennale” che viene approvato all’unanimità ogni cinque anni e che deve prevedere il fabbisogno finanziario dell’Unione (l’1% del Pil globale, circa mille miliardi di euro). L’ultimo quadro finanziario scadrà nel 2020 quindi il prossimo comincerà ad essere negoziato nel 2019. Fino ad allora nessuna concreta possibilità di mettere “veti”.
Diversa la minaccia di veto ungherese contro, la cosiddetta “relocation” ossia la distribuzione nei vari Paesi europei di migranti richiedenti asilo di alcune nazionalità. Non ci sono nei Trattati strumenti per rendere la “relocation” obbligatoria e vincolante. Orban minaccia il veto contro le quote e ventila la possibilità di adire la Corte di Giustizia contro la Commissione Ue. Orban in sostanza dice ad alta voce sull’Italia quello che altri Paesi pensano in silenzio. Ed ossia che dietro “l’agitazione” di Renzi si celano le difficoltà nei conti pubblici e la mancanza di adeguati controlli per gli ingressi dei migranti nell’area Schengen «nonostante si tratti di un compito che, per quanto arduo non è impossibile». Mentre l’Ungheria finora ha speso circa 500 milioni per difendere le frontiere esterne dell’Unione europea.
Le critiche del premier italiano ai quattro Paesi di Visegrad (Ungheria, Cechia, Polonia e Slovacchia) sui muri anti migranti vengono da lontano e recentemente Renzi si è augurato che una procedura di infrazione arrivi non all’Italia per il mancato rispetto del Patto di stabilità ma a quei Paesi dell’Est che non hanno accettato la “relocation”. Ma la Commissione Ue ha chiarito che per una procedura di infrazione si dovrà attendere la verifica biennale degli impegni.
Renzi sfida poi la Commissione a dimostrare che le spese per ricostruzione post terremoto e accoglienza di 150mila migranti l’anno non rientrino in quelle “circostanze eccezionali” riconosciute dallo stesso Patto di stabilità. E qui Renzi ha nuovamente forzato la mano. Se non si cambia tenore l’Italia «impedirà a fine 2017 l’inserimento del Fiscal compact nei Trattati». Ma il fiscal compact è un Trattato internazionale e non ha una scadenza. All’ultimo articolo si stabilisce che a fine 2017 si valuterà se inserirlo nei Trattati. Insomma un possibile ”upgrading” ma nessuna scadenza.
Alla fine, tra veti e minacce a vuoto, il nostro Paese rischia di venire nuovamente marginalizzato. Peccato perché le premesse erano buone.