Il Sole 28.10.16
La corsa all’Eliseo. L’approvazione tra il 4 e il 9 per il capo di stato
La solitudine del presidente I socialisti scaricano Hollande
di Marco Moussanet
Parigi
Codice rosso, direbbero in ospedale. Caso disperato, con funzioni
vitali ad alto rischio. I socialisti francesi hanno finalmente
realizzato davvero, cioè accettato di capire, quello che i sondaggi
dicono da tempo: il partito che da cinque anni governa il Paese non ha
alcuna possibilità di superare il primo turno delle elezioni
presidenziali che si svolgeranno tra sei mesi.
Stando alle ultime
rilevazioni, il presidente François Hollande arriverebbe addirittura al
quinto posto, con un misero 10%, alle spalle di Marine Le Pen, del
candidato del centro-destra (che si tratti di Alain Juppé o Nicolas
Sarkozy), dell’ex ministro liberal Emmanuel Macron (che sta pian piano
strutturando il proprio movimento En Marche) e del leader della sinistra
radicale Jean-Luc Mélenchon. Una situazione ben più drammatica di
quella della vigilia delle presidenziali del 2002, quando il candidato
socialista Lionel Jospin, nello sconcerto totale, venne superato
dall’allora leader dell’estrema destra Jean-Marie Le Pen, che poi al
ballottaggio venne spazzato via da Jacques Chirac.
Un Hollande che
non cessa di battere record di impopolarità. I francesi che giudicano
favorevolmente la sua presidenza sono ormai scesi a quote che oscillano,
a seconda dei sondaggi, tra il 4 e il 9 per cento. Un nuovo crollo
legato alla pubblicazione, quindici giorni fa, del libro “Un presidente
non dovrebbe dirlo”, con le confidenze raccolte in questi anni da due
giornalisti di Le Monde, Gérard Davet e Fabrice Lhomme.
La lista
di quello che un presidente non dovrebbe mai dire, soprattutto a dei
giornalisti, è lunga. Ma ci sono alcune vere e proprie perle. Per
esempio le battute sui magistrati «vigliacchi», che hanno costretto
Hollande a scrivere una umiliante lettera di scuse ai vertici e ai
sindacati della magistratura. O la previsione che «la donna velata di
oggi sarà la Marianna di domani», cioè il futuro simbolo della Francia.
Che il Partito socialista andrebbe «liquidato». Che nei giorni,
drammatici, del referendum in Grecia sul debito e l’Europa, il
presidente russo Vladimir Putin gli avrebbe confidato che Alexis Tsipras
avrebbe chiesto a Mosca la disponibilità a stampare dracme
(costringendo il premier greco a smentire di aver mai coltivato il
progetto di abbandonare l’euro). Che l’aeroporto di
Notre-Dame-des-Landes, sul quale è in corso un violento braccio di ferro
tra il Governo e gli oppositori, «non si farà mai», nonostante un
referendum popolare voluto proprio da Hollande lo abbia approvato e il
premier Manuel Valls sia in prima linea nel difenderlo. Che, infine, ha
personalmente ordinato l’uccisione di quattro terroristi, in palese
violazione del segreto militare e dei trattati internazionali firmati da
Parigi.
Tanto da far pensare, e ormai dire apertamente, a molti
parlamentari e dirigenti socialisti (tra cui il presidente della Camera
Claude Bartolone e lo stesso segretario del Ps Jean-Cristophe
Cambadélis) che Hollande non è più in grado di “incarnare” la funzione
presidenziale e quindi non è il «candidato naturale» del Ps alla propria
successione. In Parlamento circola persino, un po’ clandestinamente,
una raccolta di firme per chiedere al presidente di fare un passo
indietro. Non va dimenticato che Hollande ha accettato – meglio, ha
dovuto accettare – di partecipare alle primarie socialiste che si
svolgeranno a gennaio. Dove, sempre secondo i sondaggi, potrebbe essere
clamorosamente battuto dall’ex ministro Arnaud Montebourg.
Già, ma
qual è l’alternativa? Tutti gli sguardi si volgono verso Valls, che per
il momento continua a ribadire la sua fedeltà al presidente pur
cercando abilmente di smarcarsi e di costruirsi un’immagine appunto di
“presidenziabile” (con la moltiplicazione per esempio di viaggi
all’estero quando Hollande va a Roissy a inaugurare un nuovo
investimento di Fedex, bizzarra inversione dei ruoli).
L’ipotesi
Valls ha certo un qualche interesse, ma anche molte controindicazioni.
Il premier – arrivato quinto e ultimo, con un misero 5,6%, alle primarie
socialiste del 2011 – è visto come il fumo negli occhi dalla sinistra
del partito. E l’opinione pubblica ha difficoltà a separarlo nettamente
dal presidente, tant’è che i sondaggi gli assegnano le stesse
percentuali di Hollande.
Quest’ultimo, dal canto suo, non ha
alcuna intenzione di farsi da parte (sarebbe peraltro un fatto del tutto
inedito, visto che nella storia recente della Francia il presidente
uscente si è sempre ripresentato). Ribadisce che annuncerà la propria
decisione all’inizio di dicembre (la data limite per la presentazione
delle candidature alle primarie è il 15) e approfitta di ogni
apparizione pubblica per far capire che lui ci sarà, eccome. A maggior
ragione dopo gli ultimi dati sulla disoccupazione. Hollande ha sempre
detto che la sua candidatura sarebbe dipesa dall’inversione della curva
del numero dei senza lavoro. E secondo tutti gli esperti questa
inversione ormai c’è: 67mila disoccupati in meno a settembre, 80mila in
meno da gennaio (cioè al di là delle incerte fluttuazioni mensili).
Se
quindi, è il ragionamento di Hollande, l’obiettivo prioritario è
raggiunto e nessun altro sembra in grado di fare meglio di me, perché
mai non dovrei candidarmi? E così, a meno di clamorose sorprese, sarà.