Corriere 28.10.16
Francia
Le manie suicide delle sinistre
di Jean-Marie Colombani
Il
quinquennato del presidente François Hollande, a termine nel maggio
2017, potrebbe passare alla storia come quello del suicidio della
sinistra francese. Ne è testimonianza il pronostico emesso da
Jean-Christophe Cambadélis, primo segretario del Partito socialista, per
cui la sinistra rimarrà esclusa dal secondo scrutinio delle elezioni
presidenziali. La realtà politica odierna corrisponde in effetti a un
secondo scrutinio, tra colui che uscirà vincitore dalle primarie della
destra e il presidente del Front National, Marine Le Pen, al quinto
posto tra le personalità politiche più popolari in Francia. Una parte
dell’elettorato di sinistra sarà tentato di andare a votare alle
primarie della destra, per far sì che il vantaggio vada ad Alain Juppé,
anziché a Nicolas Sarkozy. Solo l’ex primo ministro di Jacques Chirac
sembra oggi in grado di battere decisamente Marine Le Pen. Il risultato
dello scrutinio, nel caso di un duello tra Sarkozy e Le Pen, non è
invece altrettanto scontato.
La sinistra istituzionale, ma anche i
suoi elettori e simpatizzanti, ha già metabolizzato non solo la
prospettiva di una sconfitta, ma anche quella di una vera e propria
retrocessione, che è destinata a durare. La situazione attuale è più
grave del 1993 o del 2002. Il centro di gravità si è spostato verso
destra, lasciando spazi sempre più ampi all’estrema destra. La
responsabilità di tutto ciò è da ricondurre non tanto alla crisi e alle
sue conseguenze (disoccupazione alle stelle), quanto al rifiuto
dell’immigrazione (leva determinante nell’avanzata dell’estrema destra)
e, con il contributo degli attentati terroristici, a un’esigenza di
autorità che flirta pericolosamente con l’aspirazione verso un regime
autoritario. Peraltro la responsabilità maggiore in questo disastro
annunciato appartiene alla sinistra stessa. Non solo si è divisa, ma è
esplosa in mille frammenti. Le ostilità contro François Hollande sono
iniziate in effetti sin dai primi giorni del suo mandato, sotto la
spinta di un’estrema sinistra radicalizzata e populista. Così Jean-Luc
Mélenchon, a capo del Partito di Sinistra, oltre agli insulti quotidiani
per Hollande, ormai si scaglia contro quei «lavoratori distaccati»
(nella Ue) che «rubano il lavoro ai francesi»! La peggiore estrema
destra non saprebbe trovare di meglio. Dal canto suo, Olivier
Besancenot, già leader del partito trotzkista, a lungo adulato dai
media, dichiara che la «politica istituzionale» è ormai «ammuffita». E
così per cinque anni ci si è accaniti senza sosta a massacrare il nemico
numero uno dell’estrema sinistra, ovvero la sinistra di governo.
La
staffetta poi è passata a una parte dei deputati socialisti (circa un
terzo del totale), autoproclamatisi «frondeurs» (ribelli). Costoro hanno
inscenato una guerriglia parlamentare permanente contro Hollande e il
primo ministro Manuel Valls. Se si aggiunge l’ostilità nei confronti del
presidente e delle candidature alla presidenza in nome di una semplice
logica personale (gli ex ministri Arnaud Montebourg, Benoît Hamon e
Emmanuel Macron) finisce che trotzkismo e narcisismo diventano i fautori
ideologici di una sinistra avversa alle riforme di Hollande.
Da
ultimo, non esiste più alcuna ecologia politica: il partito dei Verdi,
che godeva di ampia rappresentanza all’Assemblea, si è trasformato in
qualcosa di gruppuscolare e al contempo crepuscolare. Mai dimenticare
tuttavia che nel registro delle tentazioni suicidarie si inserisce ormai
anche il libro confessione dello stesso presidente, che è andato ad
alimentare, grazie a una vera e propria operazione di autoscreditamento,
il multiforme disagio della sinistra.
Al di là delle circostanze,
ciò che rende inevitabile e profonda la spaccatura tra l’estrema
sinistra e la sinistra di governo è il posto occupato dal modello
Syriza, ovvero un’estrema sinistra che è riuscita a rimpiazzare i
socialdemocratici, i quali sembrano sprofondati nel dimenticatoio della
storia. E questo malgrado l’impopolarità del governo Tsipras. Se i greci
dovessero votare oggi, la destra si farebbe sentire con forza. La
situazione dei socialisti francesi non è scindibile da un contesto più
generale di crisi profonda. I laburisti britannici, fino a ieri modello
(assieme ai socialdemocratici tedeschi) di una sinistra capace di
attuare riforme, sono quelli che si sono spinti più avanti verso
l’autodistruzione. I socialisti spagnoli, sotto la pressione di Podemos,
si sono quasi annientati per ostacolare il sistema, prima di
riprendersi. In Italia, Matteo Renzi incontra in seno al Partito
democratico la stessa ribellione ostile che Hollande deve fronteggiare
nel Partito socialista. I socialisti austriaci si sono gravemente
compromessi in passato con l’estrema destra, mentre i socialdemocratici
tedeschi hanno dovuto a lungo chinare il capo davanti a Merkel.
Quasi
ovunque la socialdemocrazia fa fatica a ridefinirsi e a incarnare
l’alternativa alle politiche tipicamente liberali della destra. Si trova
schiacciata tra la garanzia dei diritti acquisiti, che vuole
salvaguardare, e la necessità di accompagnare gli sconvolgimenti
economici e strategici che oggi la società attraversa. Davanti
all’avanzata dell’era digitale, che rimette in causa persino i
meccanismi della rappresentanza politica, la socialdemocrazia non sembra
capace di elaborare un software per l’avvenire. Più di altri
schieramenti politici, essa risente del malessere che ha colpito la
classe media, malessere che deriva non tanto dalle disuguaglianze
sociali, quanto dall’assenza di prospettive chiare per quel che riguarda
il miglioramento delle condizioni di vita e di status sociale riservato
ai giovani. Questa linea politica non ha saputo escogitare nessuna
soluzione originale per evitare il grande divorzio tra metropoli e
periferie, sia urbane che rurali; un divorzio illustrato in modo
tristemente eclatante dal voto a favore della Brexit.
La grande e
unica questione che dovrebbe mobilitare tutte le sinistre è la necessità
di alzare le barriere contro l’avanzata dei populismi. Come far
retrocedere populismo e protezionismo? Questo è il dilemma. Il paradosso
è che, per trovare la risposta giusta, occorre cercare dal lato di un
socialismo rinnovato attorno a uno Stato stratega, con l’aiuto di
un’Europa nuovamente lanciata verso crescita e investimenti.
(Traduzione di Rita Baldassarre)