mercoledì 26 ottobre 2016

Il Sole 26.10.16
La campagna referendaria sui tagli alla casta che elude il tema dell’utilità della politica
La «rincorsa» sui costi, il nodo della credibilità

di Lina Palmerini
La guerra di ieri alla Camera sui costi dei parlamentari elude un tema cruciale. Come fa la politica a riacquistare un senso di utilità verso i cittadini? Anche 5mila euro possono diventare troppi senza un recupero di credibilità.
La campagna referendaria sta mettendo al centro della battaglia tra “sì” e “no” la questione dei costi della politica. Matteo Renzi lo fa quando spiega i risparmi dovuti alla fine del bicameralismo paritario e alla trasformazione del Senato – da 315 senatori a 100 – e il Movimento 5 Stelle rilancia proponendo una legge per tagliare gli stipendi dei parlamentari dimezzando l’indennità. Ieri è stata un po’ la giornata clou di questa contesa con una scia di polemiche nell’Aula di Montecitorio che ha rinviato la discussione della legge dei grillini. Il fatto è che questo duello elude il vero tema che riguarda la classe politica: la sua utilità. La percezione dei cittadini rispetto al merito e all’utilità dei parlamentari è ai minimi termini – come raccontano i sondaggi - ed è difficile che riducendo i costi automaticamente si alzi la considerazione per la classe politica, benché più povera. Il rischio insomma è che se i partiti non si danno come obiettivo quello di riacquistare una funzione “utile”, anche i 5mila euro lordi – come propongono i 5 Stelle – possono diventare troppi. Una spesa inutile, appunto, perché inutile viene ritenuto il servizio che la politica rende al popolo.
Una volta, durante la prima repubblica, la considerazione verso la classe dirigente seguiva altre traiettorie. Da un lato veniva riconosciuta un’autorità morale o intellettuale ad alcuni politici del passato che, invece, si fa fatica ad attribuire ai leader attuali; dall’altro la politica provvedeva - con grande dispendio di risorse pubbliche – ad andare incontro ai bisogni dell’elettorato. Il legame con il territorio era molto stretto, c’erano le preferenze e i voti di scambio, e soprattutto i partiti assolvevano alla funzione di grandi uffici di collocamento. Non era un’idea alta di politica, certo, ma le forze politiche svolgevano un ruolo che faceva comodo a tutti e dunque nessuno lo metteva in discussione. Una parte dell’esplosione del debito pubblico ha avuto origine da lì e, finché si è potuto, il patto tra elettori e parlamentari ha retto.
Oggi che quel patto non può più avere le dimensioni del passato, che la spesa pubblica ha i suoi paletti, che la corruzione ha compromesso la credibilità della politica, è in crisi l’intero rapporto tra cittadino e parlamentare. Il legame si è perso. E questo è il risultato anche di leggi elettorali sbagliate, come il Porcellum, che ha imposto a cittadini una lista di “nominati”, di parlamentari quasi estranei, che spesso non avevano nulla a che fare con i territori a cui chiedevano i voti ma che venivano imposti dalle segreterie di partito. Un difetto che ha anche l’Italicum nonostante resti intatto il dilemma su come ricostruire un rapporto di fiducia.
Può passare solo dal risparmio dei costi? A giudicare da questa campagna referendaria i partiti pensano di sì. Ma il taglio degli stipendi può diventare una rincorsa senza fine se manca il senso di utilità della politica. Se il Pd di Renzi non riesce a gestire un tema come l’immigrazione o portare risultati sul fronte del lavoro, non c’è taglio di indennità che tenga. Se il centro-destra non ricostruisce una piattaforma politica per i suoi elettori, ogni risparmio non sarà mai abbastanza. E se la Raggi non riesce a produrre risultati su Roma, uno stipendio – anche se dimezzato - sarà sempre una spesa inutile.