venerdì 21 ottobre 2016

Il Sole 21.10.16
Scenari Globali
Quale modello di crescita per l’Africa
L’Europa deve favorire uno sviluppo civile e culturale oltre che economico
di Adriana Castagnoli

Come ha affermato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama allo US-Africa business forum svoltosi recentemente a New York, l’Africa è «on the move» e questo ne fa una regione decisiva nella competizione globale, cooperativa o meno, fra Cina e Stati Uniti. Tanto più in una fase di inversione della globalizzazione caratterizzata come ora da spinte protezioniste e rallentamento degli scambi.
L’Africa sub-sahariana è una delle regioni a più rapida crescita del mondo. Malgrado la sua economia sia stata messa a dura prova da bassi prezzi delle commodity, stretta monetaria americana, siccità, carenza di infrastrutture, corruzione, minacce terroristiche, conflitti, disordini sociali e politici, ben sette delle economie contraddistinte da una consistente performance nel mondo sono africane. Nel 2016, pur rallentata rispetto all’anno precedente, la crescita del Pil regionale (+ 3,2%) risulta seconda soltanto a quella dell’Asia. Con Paesi come l’Etiopia che si sono sviluppati a un ritmo superiore (+ 10%) a quello di colossi quali Cina e India.
Peraltro, l’Etiopia è emblematica della posta in gioco nel confronto in atto fra Washington e Pechino. Ossia fra l’affermazione di un modello di sviluppo che garantisca anche libertà politiche e diritti umani e un modello di crescita dirigistico, gestito da un regime autoritario di ispirazione marxista come è quello al potere ad Addis Abeba da venticinque anni. Infatti, la Cina è stata, fino a oggi, il maggior driver della crescita economica del Corno d’Africa con forti investimenti nel settore delle costruzioni e delle grandi infrastrutture quale la linea ferroviaria che congiunge la capitale al porto di Gibuti in cui Pechino ha una partecipazione strategica.
Il passaggio da un modello politico autoritario a uno democratico, se sorretto da consistenti investimenti occidentali, potrebbe rafforzare notevolmente lo sviluppo dell’Etiopia rinsaldando i legami con gli Stati Uniti e la Ue. Tuttavia, l’invito in tal senso espresso dal presidente Obama l’anno scorso è stato lasciato cadere dal governo di Addis Abeba. Così, la cancelliera Angela Merkel, nel recente tour fra Mali, Niger ed Etiopia per trovare opportunità di investimento e per ridurre i flussi migratori verso il Vecchio continente, ha dovuto perorare ancora una volta la causa dei diritti umani e delle libertà politiche per le opposizioni.
Di fronte alla incapacità della Ue di gestire unitariamente la crisi dei migranti, Merkel ha inoltre annunciato che l’Africa sarà l’obiettivo prioritario del prossimo G20 a presidenza tedesca.
Va detto che in Africa, sinora, l’Ue con 3,5 miliardi di euro di investimenti (e un piano Junker che prevede 44 miliardi per il futuro però da definire per quanto riguarda i capitali privati) è ben al di sotto sia dell’impegno finanziario cinese (oltre 200 miliardi di dollari più 60 stanziati nel dicembre 2015) che di quello americano.
Negli ultimi otto anni, gli Stati Uniti hanno enormemente ampliato la loro presenza economica in Africa con una serie di leggi, misure e istituzioni che mirano a rafforzare i legami commerciali, finanziari, produttivi e tecnologici fra le due regioni. Perché sinora solo il 2% dell’export americano è stato diretto in Africa. Il progetto più ambizioso è “Power Africa” che ha destinato oltre 52 miliardi di dollari per raddoppiare l’accesso all’elettricità nell’Africa sub-sahariana. Gli investimenti Usa sono cresciuti del 70% e recenti, nuovi accordi hanno destinato altri 9 miliardi per incrementare gli scambi fra le due aree.
D’altronde, molte economie africane sono dipendenti dall’export di commodity. Ma importanti trasformazioni nelle specifiche strategie di crescita di Cina e Stati Uniti, più le difficoltà del ciclo internazionale hanno smorzato parecchio la domanda per diverse materie prime. Malgrado le potenzialità e lo sviluppo di Paesi come Nigeria, Sud Africa, Angola e Kenya che da soli contribuiscono ai tre quarti del Pil regionale, l’intero Pil dell’Africa raggiunge appena quello della Francia.
Un importante cambio di passo in campo civile e culturale deve, pertanto, essere compiuto innanzitutto dalle stesse élite africane: per dare spazio alla gioventù africana e per abbattere le molte barriere che frenano gli scambi all’interno del continente. Alla Ue resta il compito di favorire in concreto un modello di crescita che non sia esclusivamente economico come quello proposto finora da Pechino.