Il Sole 21.10.16
Renzi e l’«utile» braccio di ferro con l’Ue
di Lina Palmerini
Il
vertice Ue non ha nulla a che fare con il prossimo referendum ma è una
ribalta da cui Renzi prova a ottenere un “profitto” politico interno. In
questa chiave, al premier fa più gioco un braccio di ferro, una sfida
con l’Europa perchè gli apre spazi di interlocuzione con
quell’elettorato di destra con cui, come ha detto, può vincere la sfida
del 4 dicembre. «L’Europa preoccupa il mondo», avrebbe detto Matteo
Renzi ieri a Bruxelles. Ma intanto l’Europa preoccupa anche lui che deve
affrontare un test popolare ravvicinato e ha bisogno di declinare il
suo rapporto con l’Ue senza allontanarsi troppo dal sentimento
dell’opinione pubblica. Soprattutto di quella moderata, vicina a Forza
Italia, che sembra la più propensa a votare «Sì» al referendum ma che è
stata la più critica verso i governi Monti e Letta. E che ha quindi
bisogno da Renzi di una prova di leadership che cambi registro su
Berlino e Bruxelles e riaffermi un interesse tutto italiano. Quello che
si chiede è che il premier si faccia “sindacalista” delle convenienze
nazionali e dei prezzi che il Paese sta pagando sul fronte
dell’immigrazione così come su quello dell’economia.
E questa
sembra la missione che si è dato Renzi: rappresentare un mondo da cui
non ha avuto un’investitura popolare ma a cui la chiede con il
referendum del 4 dicembre.
Il tentativo di avvicinarsi a
elettorati diversi l’ha fatto con la legge di Bilancio. Tanti sono i
capitoli di spesa con cui prova il dialogo con mondi lontani dal Pd e il
braccio di ferro con l’Europa diventa perfino necessario per
“drammatizzare” il suo sforzo di rappresentanza e di tutela
dell’interesse italiano. Non è l’unico premier che si fa sindacalista,
ma è quello che ha la scadenza elettorale più ravvicinata. Prima di
Hollande, prima della Merkel. E sa di poter usare le urne del referendum
come un’arma nella trattativa con l’Europa. La sua sconfitta
diventerebbe la vittoria delle forze politiche euroscettiche, dei 5
Stelle e di Salvini, leader e partiti pronti a mettere in discussione la
regola del 3% e andare ben al di là degli spazi di deficit che il
Governo si è preso con l’attuale manovra.
Alla fine tanto ha
bisogno Renzi dell’investitura popolare nel referendum quanto ne ha
bisogno Bruxelles. E il calcolo del premier è chiaro: segnare la massima
distanza tra lui e gli altri premier non eletti che lo hanno preceduto.
Una distanza che vuole sia evidente non solo sul fronte delle politiche
interne ma soprattutto nel rapporto con l’Europa che non è mai stato
così dialettico come in questi mesi. Lo sforzo è quindi mostrare la
distanza più ampia con Mario Monti, che peraltro ha dichiarato di voler
votare “no” al referendum del 4 dicembre.
La discontinuità con il
passato è il registro in cui si muove il leader del Pd. Vale per la
riforma costituzionale, deve valere per l’Europa. E la discontinuità per
essere credibile deve alimentarsi di scontri, di sfide, di negoziati.
Il racconto di questi giorni a Bruxelles sarà quello della sfida
italiana, sull’economia, sui migranti. Forse ci sarebbe stata lo stesso,
anche senza il voto del 4 dicembre, ma la necessità politica di oggi è
di enfatizzarla al massimo. Per arrivare anche a quegli elettori che non
vogliono più governi Monti.