Il Sole 21.10.16
il verdetto sui conti
La priorità italiana nell’Europa multi-crisi
di Adriana Cerretelli
Prospettive
dei rapporti con la Russia di Vladimir Putin senza escludere nuove
sanzioni per fermare la macelleria di Aleppo. Strategia comune sui
flussi migratori. Brexit. Destino della politica commerciale Ue tra
l’accordo con il Canada di incerta ratifica, quelli con Giappone e Stati
Uniti in bilico e il rischio concreto di aprire alla Cina a mani nude,
senza adeguati strumenti di difesa commerciale, come l’antidumping, con
tutti i pericoli del caso per la tenuta dell’industria europea.
Sono
tutti nodi cruciali da sciogliere per disegnare l’Europa di domani, la
sua stabilità geo-politica, sociale, economica e finanziaria
neutralizzando i germi della regressione: tutti al centro del vertice
dei 28 leader dell’Unione riuniti da ieri a Bruxelles.
C’è però un
altro tema fondamentale, assente dall’agenda ufficiale, ad animare le
conversazioni di corridoio del gotha europeo: la questione italiana.
Cioè la stabilità politica, economica e finanziaria della terza economia
dell’euro in un momento in cui proliferano i moltiplicatori di
incertezza e di vulnerabilità non solo nell’Europa multi-crisi, i
mercati sono nervosi, l’altalena dei tassi è possibile ma non si
intravedono né volonterosi pompieri né solide dighe in grado di
controllare i primi e mettere in sicurezza l’Unione.
L’Italia non è
la Grecia: è “too big to fail”, troppo grande per fallire ma è anche
troppo grande per essere salvata con gli aiuti condizionati dell’Esm, il
Fondo Salvastati. Dopo Brexit, la tenuta del bastione italiano è
diventata decisiva per non far scattare la cosiddetta equazione
dell’Apocalisse.
Già la decisione della Gran Bretagna di lasciare
l’Unione è uno shock tutto da metabolizzare e da scoprire nelle sue
ricadute più o meno pesanti e centrifughe. Sommato a un’eventuale deriva
italiana, il trauma britannico potrebbe dare il colpo di grazia
all’intero progetto europeo: due grandi Paesi sui quattro dell’Ue
affacciati a una finestra sul buio.
Gli altri due, Francia e
Germania, da tempo legati da un’intesa fragile, indeboliti dalle
incognite del voto elettorale dell’anno prossimo, per questo
profondamente allergici a imprevisti e scossoni nell’Europa che di crisi
da gestire ne ha già in abbondanza.
Senza contare la variabile
americana sullo sfondo, i grandi punti interrogativi sull’imminente
cambio della guardia alla Casa Bianca, sul futuro delle relazioni
transatlantiche, la tenuta degli accordi di sicurezza collettiva e del
modello di sviluppo fondato sul libero scambio. Tralasciando la Russia
di Putin che lucra sui vuoti di potere altrui mentre la Cina programma
con metodo il cambio degli equilibri globali. Troppe le incognite
aperte.
Per questo un corto circuito anglo-italiano potrebbe scatenare il disastro. Da prevenire accuratamente.
Pur
non risparmiandogli critiche, l’Europa che conta vota dunque per la
tenuta del Governo e segue con ansia la partita del 4 dicembre. «Se
abbandoniamo Renzi, abbandoniamo l’Europa» avrebbe affermato Jean-Claude
Juncker, il presidente della Commissione Ue, in una riunione interna.
Proprio perché a sua volta teme la catena dell’instabilità europea,
forse più di quella siriana, anche l’America di Barak Obama gli ha
regalato pubblico e pieno sostegno.
L’obiettivo è chiaro, i mezzi
per raggiungerlo meno. Nasce anche da qui il grande imbarazzo di
Bruxelles sul giudizio da dare alla Finanziaria italiana 2017 e, al
tempo stesso, la sua ricerca di una copertura politica dal vertice in
corso per uscire ancora una volta dal seminato del patto di stabilità.
La manovra espansiva dell’Italia ha la sua ragion d’essere nell’esigenza
vitale di stimolare crescita, investimenti, competitività e lavoro per
ritrovare uno sviluppo robusto e assicurare alla lunga la sostenibilità
dell’iper-debito. Ma costruzione e contenuti suscitano diversi dubbi e
perplessità. Aggravati dalla disinvoltura con cui il deficit strutturale
non cala ma aumenta, il debito non si muove nonostante le regole del
patto e gli impegni presi.
Se per l’Europa oggi la stabilità
italiana è davvero la priorità superiore, i margini per richiamarla
all’ordine sono strettissimi. Anche se di recente con Spagna e
Portogallo si è usata la manica larga e prima, più che mai, con la
Francia. Si avvicinano però le elezioni tedesche e Angela Merkel è
debole: per questo va salvata la faccia se non proprio la sostanza, del
rigore. Pressochè ineludibile, quindi, la richiesta di qualche
correttivo, magari quasi tutto simbolico, ma solo previo il tacito
avallo politico della massima istanza europea. La salvaguardia della
stabilità del terzo Grande dell’eurozona val bene qualche spericolato
equilibrismo all’italiana. Tanto più che sull’emergenza migranti gli si
concede poco, su Cina e patti commerciali ancora meno e con danni
evidenti: ma in ossequio ai superiori egoismi del fronte del Nord. Tra
un do ut des e l’altro l’Europa conclude poco, ai suoi vertici saltella
di crisi in crisi spesso girando in tondo. Ora però è costretta a
scomodarsi agendo in punta di piedi per disinnestare la mina italiana.