Il Sole 21.10.16
Con Hillary può nascere il primo argine al populismo
di Mario Platero
C’è
una partita non americana in queste elezioni per la Casa Bianca del
2016: è la partita per la credibilità del populismo internazionale come
alternativa politica innovatrice. Non c'è alcun dubbio che Trump sia
diventato il volto, il simbolo anche a livello internazionale di quel
populismo che protesta su tutto e contro tutto. Una sua sconfitta,
soprattutto una sconfitta bruciante, da ieri non impossibile, potrebbe
avere un effetto traino negativo su un movimento che da minoritario, di
frangia, sta cercando un po’ dappertutto e certamente in Italia di fare
il salto maggioritario.
Sappiamo che i populismi, sia quello
americano alla Trump che quelli europei sono il sintomo molto reale di
malcontento, di insofferenza nei confronti di una classe politica
litigiosa e inefficace, di preoccupazione per un’economia stagnante, di
paura per l’arrivo di ondate crescenti di immigrati. Ma la vocazione
populista radicale, la “rottura” con un modo informato di fare politica,
rispettoso degli accordi internazionali, del libero mercato e del
libero commercio per ora ha un seguito solo in una parte della
popolazione.
Il fatto che in America, il Paese leader
dell’Occidente, si potesse avere un rigurgito populista con l’impatto
che ha avuto Trump vincendo la nomination del partito repubblicano ha
rappresentato una svolta storica. L’esempio Trump, la sua faciloneria, i
suoi messaggi molto concreti per la costruzione di un “muro”, per la
deportazione di milioni di immigrati illegali, per lo stralcio di
accordi commerciali, di accordi politici o per la difesa, come la Nato,
hanno raccolto molti assensi. Ma quando si è trattato di portare la
causa populista al grande pubblico, fuori dalla frange minoritarie ma
rumorosissime dell’attivismo estremista, Trump ha cominciato ad avere
problemi di comunicazione, credibilità e preparazione che non aveva mai
avuto nel novero ristretto delle primarie. E mercoledì sera, nel terzo
dibattito presidenziale, in quello che doveva essere il suo ultimo
appello per ribaltare le carte sul tavolo elettorale Trump è rimasto
vittima del suo stesso populismo, del suo innato istinto a spingersi
sempre un pochino più in là: ha rifiutato di accettare a priori la
validità dei risultati elettorali contando sul fatto che il malcontento
potesse estendersi fino a scuotere nelle sue fondamenta la democrazia
americana.
Alcuni mesi fa, in tempi ancora non sospetti avevamo
scritto su queste pagine che Trump avrebbe perso perché la sua
promulgazione di valori lontani da quelli dei padri fondatori non
sarebbe stata raccolta dalla grande America: per quanto scontenti
insomma, gli americani non avrebbero attraversato quel ponte su cui li
portava Trump per sperimentare un viaggio verso la novità ma anche verso
l’ignoto.
Non è un caso che questa democrazia regga senza
cambiamenti da 240 anni. Gli americani si trovano spesso su fronti
opposti, combattono duramente, soprattutto negli ultimi anni, su
questioni ideologiche come le tasse, il ruolo dello stato, l’aborto. Ma
sono straordinariamente uniti attorno ai loro documenti sacri: la
Dichiarazione di Indipendenza o la Costituzione. Trump, nella sua
straordinaria sicurezza di onnipotenza, parlava del suo “movimento” come
di un fenomeno che avrebbe rifondato l’America. E non solo i
democratici, ma anche i repubblicani hanno intuito la portata del
pericolo Trump. E insieme chiamato il bluff. Da noi questo ancora non
succede: le spaccature fra partiti mainstream e all’interno di partiti
mainstream prevalgono sull’unità contro le promesse facili della
protesta creando confusione.
Ma da ieri, e anche un pochino già
dopo il primo dibattito e dopo il filmato scandalo sulle sue prodezze
sessuali con le donne, anche gli elettori della Grande America delle
periferie e delle sterminate pianure hanno capito nella loro pienezza la
vacuità, la superficialità del populismo antiamericano di Trump. E in
maggioranza gli voteranno contro. Si tratterà di capire con quale
maggioranza, perché una vittoria a valanga darebbe un messaggio di
leadership americana anche alle maggioranze incerte nostrane: il
dilettantismo può essere divertente, affascinante, come diceva una
vecchia trasmissione radiofonica, ma porta
allo sbaraglio.