giovedì 20 ottobre 2016

Il Sole 20.10.16
Una crescita del 6,7% per l’economia cinese
Confermate le aspettative del terzo trimestre, restano i dubbi di fondo sull’hard landing
di Rita Fatiguso

Pechino L’anno si avvia al finale e Pechino sta per chiudere i conti della crescita del 2016 e anche quest’anno il dato del Pil deve essere in linea con le previsioni indicate lo scorso 5 marzo dal premier Li Keqiang, ovvero una percentuale ricompresa tra il 6,5 e il 7% (laddove il 6,5% è considerata la bottom line, ovvero il limite al di sotto del quale non si può scendere). La crescita del Pil è un obiettivo che va ben al di là delle politiche adottate di volta in volta ma è anche un dato che, al pari di altri indicatori cinesi, è caratterizzato dall’opacità dei metodi di calcolo.
Ebbene, ieri l’Istituto nazionale di statistica ha rivelato che nel periodo gennaio-settembre, la crescita della Cina è stata del 6,7%, mentre la produzione industriale è cresciuta, a settembre, del 6,1% su anno. Un risultato inferiore alle attese degli analisti, che puntavano, almeno, al 6,4 per cento. La crescita sul mese, invece, si ferma allo 0,4 per cento.
Si tira il fiato, insomma, dato che il Pil si è attestato sullo stesso livello di crescita dei precedenti due trimestri, mentre su base congiunturale è cresciuto nel terzo trimestre dell'1,8 per cento.
Ma il tracollo dell’export (che ha registrato una caduta del 10% nel mese di settembre su base annua) e specialmente delle importazioni registrato la scorsa settimana, non è stato affatto archiviato, il Governo ha rilasciato le linee guida per ridurre il debito locale, ma gli impegni del passato sono stati spesso ignorati ciò che resta è il surriscaldamento del real estate, i prezzi delle case in aumento nelle grandi città nonostante gli sforzi, specie a livello locale, di introdurre paletti alla speculazione immobiliare. D’altronde in Cina si è tornati a puntare sugli immobili anche a seguito del tracollo della borsa dell’estate del 2015, un baratro che ha trascinato 5mila miliardi di dollari di risorse.
Anche il continuo deprezzamento della moneta di Pechino è un elemento latente che crea preoccupazione, spingendo la Banca centrale a sostenere la stabilità con dispendiosi acquisti di yuan sul mercato in cambio di dollari prelevati dalle riserve in valuta internazionale che, non a caso, si vanno assottigliando di mese in mese. In parallelo Pechino deve vigilare sul fiume di risorse che lascia il Paese nei modi più impensati, specialmente il fronte crossborder resta quello privilegiato (e quindi ancora una volta la piazza di Hong Kong) perché mantenere risorse in Cina non conviene.
Per tutti questi motivi tiepida, quindi, è arrivata la reazione dei mercati azionari, l’indice Composite di Shanghai ha chiuso a +0,03%, a 3.084,72 punti, mentre quello di Shenzhen si è attestato sotto del 0,14%, a quota 2.053,79.
L’indice Hang Seng a Hong Kong è scivolato dello 0,4 %, gli investitori di Mainland China hanno stretto i cordoni della borsa, un altro segnale negativo anche in relazione ai rapporti tra le due borse quella di Shanghai e di Hong Kong unite da due anni ormai dalla cosiddetta Stock connection.
Questo dato sul Pil che evidentemente impatta anche la crescita speculativa del mercato immobiliare, crea tuttavia un effetto di stabilizzazione che lascia spazi alle politiche rivolte al contenimento dei rischi finanziari eccessivi.
Se la crescita cinese si mantiene costante ma è alimentata dal credito facile, da un mercato immobiliare surriscaldato e dalle altre misure di stimolo, c’è il rischio, sottolineato invece da altre correnti di pensiero che il sistema vada incontro a seri pericoli. La reale forza o debolezza dell’economia cinese resta sempre un'incognita.
I dati pubblicati ieri mostrano che, anche per evitare un hard landing, la Cina sta sostenendo la propria crescita facendo ampiamente leva sulla spesa pubblica, cresciuta nei primi nove mesi del 2016 dell 12,5% su base annua. Nello stesso periodo, il deficit è così più che raddoppiato da 625 a 1.460 miliardi di yuan.