Corriere 20.10.16
Luoghi santi contesi
Monte del Tempio per gli ebrei, Spianata delle Moschee per gli arabi
Storia, mito e guerre di religione
di Davide Frattini
I
l naso rivolto all’insù, gli occhi spalancati, lo sguardo commosso
verso le pietre più contese tra le pietre contese di Gerusalemme.
Yitzthak Yifat tiene l’elmetto tra le mani, assieme ai commilitoni ha
combattuto per le strade della Città Vecchia, è tra i primi israeliani
ad arrivare davanti al Muro del Pianto: è il 7 giugno del 1967, i
macigni incastrati uno sopra l’altro puntellano da un paio di millenni
la speranza e la volontà degli ebrei di tornare a pregare qui, ormai
sorreggono anche la Spianata delle Moschee, il terzo luogo più sacro per
l’islam.
Che Yifat, oggi ostetrico e ginecologo, ripeta in
pubblico «se serve per la pace, dobbiamo restituire quello che ho
aiutato a conquistare» non basta a sciogliere le tensioni e le violenze
pietrificate in questi metri quadrati.
La Sura 17 del Corano
racconta della notte in cui Maometto fuggì sulla bestia mitologica
chiamata Buraq alla «moschea più lontana» dove guidò in preghiera un
gruppo di profeti prima di ascendere in cielo. Nel 691, quasi
sessant’anni dopo la sua morte, il califfo Abd Al-Malik ibn Marwan diede
ordine di costruire una moschea sulla roccia al centro del monte a 740
metri sul livello del mare.
Nella tradizione ebraica quella roccia
è il punto d’incontro tra il Cielo e la Terra, è la rupe a cui Abramo
ha legato Isacco, è il basamento del Primo e del Secondo Tempio, che
venne distrutto dai romani nel 70. Quando in questi giorni Benjamin
Netanyahu, il premier israeliano, ha polemizzato con i diplomatici che
hanno sostenuto la risoluzione dell’Unesco — «cancella la nostra storia»
— li ha invitati a visitare l’Arco di Tito a Roma: sul marmo è inciso
ed esaltato il saccheggio di Gerusalemme, il bottino di guerra che
comprendeva anche la menorah a sette bracci. Il candelabro a olio acceso
dai sacerdoti per illuminare il Secondo Tempio è ancora il simbolo di
Israele.
È il Saladino — dopo aver ripreso la città agli
ottantotto anni di dominio crociato nel 1187 — a fondare il Waqf,
l’organizzazione islamica che gestisce i luoghi sacri. Più devoti che
archeologi, questi guardiani oltranzisti hanno mantenuto l’incarico
sotto gli ottomani, i britannici, i giordani e adesso gli israeliani.
Perché Moshe Dayan, nominato ministro della Difesa poco prima della
Guerra dei Sei giorni, era «riluttante — racconta Uzi Narkis, uno degli
ufficiali che ha combattuto con lui — a infilarsi nella Città Vecchia,
dentro le mura vedeva un mosaico minaccioso di moschee e chiese, di
infiniti problemi religiosi». Così il generale dalla benda nera
sull’occhio sinistro vuole liberarsi di quello che ha appena liberato
dal controllo giordano: considera — e lo scrive — il Monte del Tempio
«un luogo storico e del passato per gli ebrei, mentre è per i musulmani
una questione di culto». Decide di lasciare l’amministrazione della
Spianata delle Moschee al Waqf e definisce le regole di quello che resta
tuttora lo «status quo»: gli ebrei possono visitare l’area ma non
pregarvi, Israele è responsabile per la sicurezza della struttura.
Al
matrimonio di Tzipi Hotovely, giovane deputata del Likud e viceministro
nel governo di Netanyahu, Yehuda Glick si è presentato un paio di anni
fa con in tasca il dono più prezioso per lui e per i festeggiati: la
terra raccolta sul Monte del Tempio. La sposa condivide con Glick un
paio di convinzioni incendiarie quanto la barba e i capelli rossi del
rabbino: gli ebrei devono tornare a pregare tra le moschee sulla
Spianata, i palestinesi non avranno mai uno Stato. Glick — ferito
nell’ottobre del 2014 da un estremista arabo che gli ha sparato al petto
— e parlamentari della destra come Moshe Feiglin agitano i gruppi
radicali ebrei che vogliono modificare gli accordi stretti da Dayan con
la Giordania. Gli attivisti più ostinati cercano di aggirare i controlli
della polizia israeliana, provano a indossare lo scialle e a intonare i
salmi rituali in mezzo ai musulmani inginocchiati.
Qualunque
provocazione viene interpretata dai palestinesi — e dalla comunità
islamica nel mondo — come una mossa da parte del governo israeliano per
riprendersi i luoghi sacri. Le smentite di Netanyahu — ha ordinato ai
deputati del Likud e ai ministri di non visitare la Spianata — non
bastano a spegnere le teorie della cospirazione che servono a
trasformare lo scontro tra i due popoli in conflitto religioso.