martedì 18 ottobre 2016

Il Sole 18.10.16
Riforme, braccio di ferro nel Pd
Bersani: rottamiamo l’Italicum o si ferma tutto - Franceschini: confronto ma non si riparte da zeroVerso il referendum. Il ricorso di M5S-Si in discussione al Tar Lazio, attesa per la decisione - Salvini: «Avanti a spiegare il no, non vedrò Berlusconi»
di Barbara Fiammeri

Roma La scheda per il voto sul referendum costituzionale è pronta. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ieri l’ha mostrata per la prima volta. Un gesto che arriva nelle stesse ore in cui il quesito referendario è sul tavolo del Tar del Lazio che ieri, dopo una lunga Camera di Consiglio, ha deciso di rinviare a oggi la decisione sul ricorso proposto da M5S e da SI. In attesa di conoscere il verdetto dei giudici (si veda l’articolo a destra), la campagna referendaria non si arresta.
Protagonista ancora una volta lo scontro interno al Pd. «O rottamiamo l’Italicum o si ferma la riforma costituzionale», ribadisce Pier Luigi Bersani confermando così il suo No. Una scelta che ormai appare scontata e che, di fatto, boccia sul nascere il tentativo di arrivare a un’intesa attraverso la commissione varata dall’ultima direzione del Pd, a cui partecipa anche un esponente di rilievo della minoranza quale Gianni Cuperlo che, invece, vuole andare «a vedere le carte» prima di confermare lo strappo.
Dario Franceschini però avverte: «Va bene modificare l’Italicum, introducendo il premio alla coalizione, ma non si può ricominciare sempre daccapo». Il ministro della Cultura, pur sostenendo che non bisogna legare «la sorte del Governo» al voto del 4 dicembre, ha ammonito che la vittoria del No produrrebbe un grave danno all’Italia perché «gli investitori aspettano il referendum per vedere se ci sarà una stagione di ingovernabilità o meno». Anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti definisce un «errore» legare la vita del Governo all’esito del referendum ma avverte: «Non facciamo ancora una volta il gioco dell’oca, che alla fine si tirano i dadi e si torna alla casella di partenza. Non è la riforma del Pd, non è nemmeno la riforma del governo», sottolinea, ricordando che non solo «tutti i partiti dal 1983 hanno tentato senza riuscirci di fare le riforme» ma che il ddl Boschi «all’inizio aveva anche una larga maggioranza».
Una lettura che lascia indifferenti le opposizioni. M5s, Lega e Fi attaccano Renzi sulla legge di Bilancio bollandola come una «manovra elettorale per tentare di far vincere il Sì». Una battaglia che però il premier perderà - sostiene il leader della Lega Matteo Salvini - «nonostante il lavaggio del cervello attuato dal premier». Nel centrodestra però le acque continuano ad essere agitate. Salvini ha detto di non voler partecipare ad alcun vertice con Berlusconi: «Non è più tempo di vertici ma di lavorare», ha tuonato il leader della Lega confermando il disappunto per l’atteggiamento ritenuto troppo timido del Cavaliere e soprattutto per l’endorsement a favore del sì del presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, appoggiato ieri anche dall’ex allenatore del Milan e Ct della nazionale di calcio Arrigo Sacchi («Ho sempre seguito e votato Berlusconi ma sul referendum voterò Sì,stavolta Berlusconi sbaglia»).
Intanto Beppe Grillo, sul suo blog, ha ribadito un concetto ripetuto diverse volte in questi giorni: «Il No che noi diciamo è la più alta espressione della politica che si può avere oggi. Ci siamo ridotti così per aver detto sempre Sì negli anni passati».