Il Sole 18.10.16
Mercati globali
La corsa del surplus commerciale
L’Italia è salita al quinto posto mondiale per l’attivo con l’estero
di Marco Fortis
Nonostante
il rallentamento degli scambi internazionali (che pesa su tutti i Paesi
esportatori), anche nel 2015 l’Italia si è aggiudicata il miglior
numero di piazzamenti per competitività nel commercio mondiale subito
dopo la Germania in base alla graduatoria dell’International trade
centre (Itc) di Ginevra. Un secondo posto assoluto molto significativo,
costruito non soltanto sui primati nei prodotti tradizionali del nostro
Paese ma, anche da numerosi secondi posti che l’Italia ha conquistato a
poco a poco in settori dove la Germania è il benchmark mondiale di
riferimento per tecnologia e innovazione. Una ulteriore prova che il
made in Italy ormai è un fenomeno molto più complesso e variegato
rispetto al consueto stereotipo che ci vede produttori prevalentemente
di abiti, scarpe e cibo, che pure restano dei pilastri della nostra
economia.
L’agenzia congiunta di Unctad e Wto ha esaminato le
performance competitive dei Paesi del mondo in 14 settori del commercio
internazionale, di cui 2 rappresentati da materie prime (minerali
energetici e non energetici e prodotti alimentari freschi) e 12
costituiti da diverse tipologie di manufatti. I posizionamenti
competitivi di ciascun Paese originano da 5 sotto-indici che misurano
per ogni settore: la quota di mercato mondiale nell’export; la bilancia
commerciale; l’export pro capite; la differenziazione dei prodotti; la
differenziazione dei mercati.
Se nella classifica dell’Itc la
Germania si è imposta nel 2015 con ben 8 prime posizioni (praticamente
in tutti i settori manifatturieri esclusi quelli della moda e
l’elettronica di consumo-telecomunicazioni) nonché con un terzo posto
(nel tessile), l’Italia si è confermata la seconda nazione al mondo con 3
primi posti (tessile, abbigliamento, cuoio-calzature), 4 secondi posti
(manufatti di base, apparecchiature elettriche, meccanica non
elettronica e mezzi di trasporto), un quarto posto (altri manufatti
vari, che includono gioielleria, occhiali, articoli in materie
plastiche) e un quinto posto (alimentari trasformati). Seguono per
numero di migliori piazzamenti la Cina, la Corea del Sud e il Giappone.
La
Cina può vantare 3 secondi posti (tessile, abbigliamento,
cuoio-calzature, alle spalle dell’Italia), un quarto posto (manufatti di
base), un quinto posto (mezzi di trasporto), un sesto posto (meccanica
non elettronica) e due ottavi posti (elettronica di
consumo-telecomunicazioni e manufatti vari). La Corea del Sud a sua
volta conquista 2 terzi posti (mezzi di trasporto e manufatti di base),
un quinto posto (tessile), un settimo posto (meccanica non elettronica) e
2 noni posti (elettronica di consumo-telecomunicazioni e
chimica-farmaceutica). Infine, il Giappone si aggiudica un quinto posto
(apparecchiature elettriche), un sesto posto (manufatti di base), un
ottavo posto (chimica-farmaceutica) e un decimo posto (manufatti vari).
Tra gli altri grandi Paesi deludono gli Stati Uniti (solo un quinto
posto negli alimentari freschi) e il Regno Unito (nessun posizionamento
tra i primi 10 in nessun settore). Mentre la Francia non sfigura con un
secondo posto (chimica-farmaceutica), un terzo posto (alimentari
trasformati) e un decimo posto (mezzi di trasporto).
L’ottimo
piazzamento dell’Italia nelle classifiche dell’Itc si fonda sempre più
sulle eccellenze del nostro Paese nella meccanica (in molte tipologie di
macchinari e apparecchi abbiamo superato la stessa Germania) e nei
mezzi di trasporto (dove al miglioramento recente dell’auto si
accompagnano i primati italiani nell’elicotteristica, nella nautica e
nelle navi da crociera). Inoltre, in questi ultimi anni l’Italia ha
migliorato il suo posizionamento internazionale anche in vari comparti
della chimica-farmaceutica. Dal 2013, ad esempio, la bilancia
commerciale dell’Italia per i prodotti farmaceutici, che era sempre
stata deficitaria, è ormai strutturalmente in surplus.
Tutto ciò,
unitamente al riposizionamento delle imprese italiane su valori aggiunti
sempre più alti nella moda, nell’arredo-casa e negli alimentari-vini,
ha permesso al nostro Paese di compiere un vero e proprio “miracolo” in
termini di bilancia commerciale, che solo in parte è stato aiutato dal
calo del prezzo del petrolio (calo di cui, peraltro, hanno potuto godere
tutte le economie importatrici di greggio e gas, non solo la nostra).
La
bilancia commerciale italiana con l’estero, infatti, fino al 2011 era
negativa (dal 2004). Poi, in base alle Trade map dell’Itc, nel 2012 è
divenuta attiva risultando in quell’anno la trentunesima a livello
mondiale. Nel 2013 è risultata la sedicesima, nel 2014 la decima e nel
2015 l’ottava. Non solo. In base ai dati del primo trimestre di
quest’anno, nel periodo di dodici mesi che va da aprile 2015 a marzo
2016 la bilancia commerciale italiana è stata addirittura la sesta
migliore al mondo per valore del surplus (52 miliardi di dollari) dopo
quelle di Cina, Germania, Russia, Corea del Sud ed Olanda. Che in realtà
è come dire essere quinti, dato che l’attivo olandese non origina da
merci prodotte in quel Paese, ma prevalentemente da transiti nei porti
di Rotterdam ed Amsterdam.