Il Sole 13.10.16
Russia
Quella tragica sindrome da isolamento
di Antonella Scott
L’escalation
tra Mosca e l’Occidente vive su tre piani: quello militare in Siria,
dov’è la guerra vera; quello della diplomazia, una spirale in cui i toni
salgono pericolosamente di livello ogni giorno, rischiando di arrivare
davvero a materializzare un confronto; e poi c’è il fronte interno
russo. In cui parlare di “clima di guerra” è francamente esagerato.
Esercitazioni
della Protezione civile, scorte di grano messe da parte a Pietroburgo:
tutto questo, si fa notare, avviene da diversi anni. È vero però che il
Cremlino cavalca
una linea che va a tutto vantaggio della
popolarità di Vladimir Putin: il ritorno della Crimea alla Federazione
Russa, che ha lanciato il presidente russo oltre l’80% nei sondaggi, ne è
stata la prova generale.
È la sindrome della Russia isolata e
tenuta sotto assedio dall’Occidente, del Paese capace di pagare prezzi
altissimi per resistere agli attacchi nemici come avvenne con gli
svedesi, con Napoleone e soprattutto nella Seconda guerra mondiale, che
non a caso i russi chiamano la Grande guerra patriottica. Quando Putin
nei giorni scorsi sospese l’accordo stretto con Washington per
smantellare gli arsenali di plutonio, fece un elenco delle ragioni
all’origine di questo senso di accerchiamento: la presenza di
installazioni Nato nei Paesi dell’Est Europa, le sanzioni che
danneggiano l’economia russa. Ieri, parlando a Mosca, il presidente
russo ha lasciato intravedere più volte il bisogno di essere considerato
partner alla pari dagli Stati Uniti.
La sindrome da
accerchiamento, però, diventa pericolosa nelle mani di burocrati o
megafoni zelanti del regime che la amplificano nei titoli a senso unico
dei siti online più vicini al Cremlino, o nella propaganda
irresponsabile delle tv che evocano la possibilità di un attacco
nucleare americano: «Il comportamento offensivo nei confronti della
Russia ha una dimensione nucleare», è arrivato a dire Dmitrij Kiseljov
nel programma che la domenica sera costituisce il picco della propaganda
anti-occidentale. Che si traduce poi nelle convinzioni di
telespettatori privi di altre fonti di informazione, convinti che gli
Stati Uniti stiano manovrando insieme ai terroristi dell’Isis per radere
al suolo la Siria e poi, attraverso l’Afghanistan, dilagare in Russia.
Più
pericoloso ancora, in questo momento, è lo scenario diplomatico:
fallito il tentativo di trovare una soluzione per la Siria da perseguire
insieme, russi e americani si sono avvitati in una spirale che può
sfuggire al controllo. Con il fallimento della tregua,russi e siriani
scatenano l’inferno su Aleppo; gli americani rompono i contatti, e
accusano Mosca per crimini di guerra. Putin sospende gli accordi sul
disarmo, Washington torna a parlare di sanzioni. I russi spostano
batterie di missili a Kaliningrad, e rendono permanente la base navale
siriana di Tartus. La Casa Bianca formalizza l’accusa di interferenze da
parte di hacker russi, il ministro degli Esteri Serghej Lavrov parla di
azioni che «mettono a rischio la sicurezza nazionale». In pochi giorni,
il baratro si è allargato, e la possibilità di trovare un approccio
comune per salvare Aleppo si è orribilmente trasformata nel rischio di
un confronto con i russi. C’è chi non si arrende: Lavrov e John Kerry,
il segretario di Stato americano, torneranno a vedersi a Losanna, sabato
prossimo. La Casa Bianca minimizza le aspettative mentre, sul fronte
ucraino, da Berlino si torna a
lavorare a un incontro del
“quartetto normanno” tra Angela Merkel, Putin, il presidente francese
François Hollande e l’ucraino Petro Poroshenko. Fili fragilissimi di
speranza a cui è ormai difficile credere: ma in questo momento è tutto
quello che rimane, per contrastare i tamburi di guerra.