mercoledì 12 ottobre 2016

Il Sole 12.10.16
Riparte la discesa del renminbi
Il mercato dei cambi. La moneta è ai livelli più bassi degli ultimi sei anni nei confronti del dollaro
La Banca centrale difende lo yuan dopo l’ingresso nel paniere Fmi
di Rita Fatiguso

Pechino Le sofferenze bancarie toccano 1.700 miliardi, parte la megaconversione del debito, ma il dato senz’altro più fastidioso per l’assetto finanziario cinese è la lunga serie di cali inanellati dallo yuan in due anni, accentuati dall’ingresso nel paniere delle valute del Fondo monetario avvenuto il 1° ottobre scorso.
Facile la scommessa di chi puntava sulla svalutazione, lo yuan ha perso in effetti lo 0,08 per cento a 6,7222 sul dollaro e quello onshore ha fatto ancora peggio, scendendo al minimo negli ultimi sei anni.
Il primo a gettare acqua sul fuoco è stato Zhang Tao, da qualche giorno ex vice governatore della Banca centrale, l’emergente teorico dell’utilizzo dei diritti speciali di prelievo come moneta vera e propria (si veda Il Sole24Ore del 30 settembre), assurto ai vertici del Fondo monetario. Per Zhang Tao la svalutazione è un fatto fisiologico, prevedibile, una sorta di contraltare alla decisione di inserire il biglietto rosso nel paniere delle valute dell’Fmi. Sarà. Ma è un fatto, ancora una volta la Banca centrale è stata costretta a intervenire per sostenere la valuta nazionale, e ricordiamo che appena qualche giorno fa gli stessi organi cinesi hanno ammesso un calo delle riserve per il terzo mese consecutivo, anche questo «non particolarmente preoccupante». Le riserve in valuta estera – il famoso tesoretto cinese - si sono ridotte a 3.170 miliardi il mese scorso, il livello più basso dal 2011, chiara indicazione che la Banca centrale stava vendendo dollari per sostenere lo yuan ancor prima che la moneta finisse nel paniere delle valute del Fondo monetario. La questione dell’assottigliamento delle riserve valutarie va di pari passo con quella del debito rampante e soprattutto della crescita del debito rispetto al Pil.
Pechino continua a sminuire la questione sottolineando che esistono ampi margini di manovra. Idem per le riserve valutarie, anche se gli interventi della Banca centrale continuano ad essere molto, forse troppo onerosi anche per un Paese dalle risorse immense come la Cina.
Fatto sta che tra tassi di riferimento tarati sulla debolezza dello yuan e affini alla fine si è arrivati a un calo superiore al 6,7. Tutto ciò sarebbe da imputare all’ingresso nel paniere del Fondo. Com’è ovvio è aumentata anche la corsa all’esportazione di valuta delle quali in questi giorni è difficile quantificare il flusso reale.
Lo yuan deprezzato non è un buon asset in casa propria, l’idea generalizzata è di trovare qualsiasi altro modo per farlo fruttare, anche ricorrendo a escamotages che pescano in una linea grigia. Ancora una volta le operazioni crossborder si rivelano quelle più adatte alla bisogna.
Yuan e sterlina per ragioni diversissime stanno seguendo un percorso opposto al dollaro statunitense che invece continua a rafforzarsi. Si scommette sull’incremento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, un’aspettativa che contribuisce al rafforzamento del biglietto verde, salito dello 0,2 dopo l’impennata dell’1% della scorsa settimana.
Non è semplice per la Banca centrale cinese mollare le redini e lasciare che il mercato faccia la sua parte anche a scapito della stabilità e della prudenza lungamente predicate da Pechino. Ma l’ingresso nel paniere è una chiara dimostrazione che la Cina vuol arrivare a una gestione globale della propria valuta, l’obiettivo di medio percorso, infatti, è la convertibilità entro il 2020. L’ultimo spunto in ordine di tempo è stato l’hub per il clearing dello yuan a Macao, ex protettorato portoghese tornato come la britannica Hong Kong alla Cina, un’area microscopica che durante la Golden week appena conclusa è stata visitata da oltre un milioni di cinesi finanziariamente molto ben dotati.