il manifesto 12.10.16
Il work in progress di una teoria
«I
Grundrisse di Karl Marx. I lineamenti fondamentali della critica
dell’economia politica 150 anni dopo», a cura di Marcello Musto,
edizioni Ets
di Stefano Petrucciani
In quel
grande cantiere che è l’opera di Marx, i Lineamenti fondamentali della
critica dell’economia politica (ai quali ci si riferisce di solito con
la prima parola del titolo tedesco, Grundrisse) occupano una posizione
davvero molto peculiare. Oggi per chiarire il significato di questo
testo, i suoi temi principali e, soprattutto, la storia della sua
fortuna, possiamo servirci di un corposo volume curato da Marcello Musto
(I Grundrisse di Karl Marx. I Lineamenti fondamentali della critica
dell’economia politica 150 anni dopo, Ets) dove le questioni e le
vicende di quest’opera marxiana sono ripercorse da molti e diversi punti
di vista.
I Grundrisse sono un’opera importante e singolare per
diverse ragioni. La principale è che essi costituiscono la prima
esposizione del sistema marxiano della critica dell’economia politica.
Come è noto, Marx scrisse e riscrisse più volte quello che poi sarebbe
diventato Il Capitale. La prima edizione di questo testo, che uscì nel
1867, fu preceduta da un lungo lavoro preparatorio, di cui i Grundrisse,
scritti a Londra tra il 1857 e il 1858, sono la prima e decisiva tappa;
e fu seguita da una serie di rielaborazioni, alle quali Marx si dedicò
per diversi anni della sua vita.
Il primo libro del Capitale fu da
lui rimaneggiato nelle edizioni che seguirono alla prima, mentre il
secondo e il terzo libro rimasero allo stato di abbozzo, e furono
sistemati e completati solo da Engels dopo la morte dell’amico. La
critica marxiana dell’economia è dunque un gigantesco work in progress,
un lavoro non finito. E i Grundrisse – primo tentativo di esposizione
sistematica della teoria – ci consentono proprio per questo di osservare
molto da vicino questioni decisive e problemi essenziali, che nelle
opere più compiute talvolta rimangono sotto traccia.
Ma c’è almeno
un’altra ragione che rende i Grundrisse un testo così affascinante: ed è
il fatto che, nei Lineamenti molto più che nel Capitale, il modo
marxiano di esposizione segue assai da vicino il modello argomentativo
che era stato sviluppato da Hegel, cioè si sforza di presentare i
contenuti secondo uno svolgimento dialettico, dove ogni categoria
economica viene sviluppata attraverso l’analisi delle contraddizioni di
quelle che la precedono. Questo è un punto fondamentale che implica
diverse conseguenze. L’hegelismo che li pervade fa dei Grundrisse un
testo destinato ad essere molto apprezzato dai filosofi; per il
linguaggio e il modo di argomentare, infatti, è molto più vicino alla
loro sensibilità di quanto non lo sia il Capitale. Un interessante
interprete francese, Henri Denis, sostiene non senza qualche buona
ragione (anche se forse radicalizza un po’ troppo la sua tesi) che Marx è
costantemente combattuto tra Hegel e Ricardo e che, mentre nei
Grundrisse prevale il primo, nel Capitale è il secondo ad avere la
meglio.
Molti interpreti marxisti non condividono questa tesi. Ma
non ci sono dubbi che la fortuna dei Grundrisse sia stata anche legata
alla affascinante dialettica hegelianizzante cui Marx dà vita in quelle
pagine.
Nel volume curato da Musto, le vicende legata alla
diffusione e alle traduzioni dei Grundrisse sono ripercorse con una
ricchezza di informazione e di analisi che non è dato trovare altrove.
Venti capitoli scritti da altrettanti studiosi (per l’Italia c’è Mario
Tronti) sono consacrati alla disseminazione dei Grundrisse su scala
planetaria, dall’Europa, all’Asia, all’America latina. È una storia
molto interessante.
Pubblicati per la prima volta a Mosca nel
1939-1941, i Grundrisse cominciarono a entrare in circolo nella cultura
europea diversi anni dopo, con l’edizione tedesco-orientale del 1953. Ma
si trattava ancora di un testo accessibile a una ristretta cerchia di
studiosi. Perché se ne avesse una conoscenza più ampia, si sarebbero
dovute attendere le traduzioni nelle principali lingue europee, che
erano ancora di là da venire. Ciò che è interessante ricordare, però, è
che dai Grundrisse vennero abbastanza presto estrapolati alcuni blocchi,
che furono presi quasi come dei testi a sé. A parte la «Introduzione»
relativa al metodo dell’economia politica, che era stata pubblicata da
Kautsky già nel 1903, due soprattutto furono i frammenti dei Grundrisse
che attirarono l’attenzione. In primo luogo quello dedicato alle Forme
che precedono la produzione capitalistica, pubblicato in Italia nel 1956
e in Inghilterra nel 1964, con la prefazione di Hobsbawm: un testo dove
si poteva trovare una versione del materialismo storico molto diversa
da quella canonica.
Un altro brano che fece epoca fu il cosiddetto
Frammento sulle macchine, che, come ricorda Tronti nel suo saggio, fu
pubblicato nel 1964 da Raniero Panzieri sui «Quaderni rossi», nella
traduzione di Renato Solmi. Un testo eccezionale e profetico, dove Marx
preconizzava l’automazione della produzione, il superamento del lavoro
materiale come base della ricchezza e la centralità del general
intellect. Il Frammento è stato uno dei testi decisivi per l’operaismo
italiano. Ma è solo verso la fine degli anni 60 che i Grundrisse vengono
finalmente letti nella loro interezza: in Italia nella traduzione di
Enzo Grillo, che esce presso la Nuova Italia in due volumi, nel 1968 e
nel 1970. In Francia vengono pubblicati nel 1967-68, ma un’edizione più
affidabile arriva solo nel 1980 (come spiega nel suo contributo André
Tosel). A seguire vennero tante altre edizioni in tutto il mondo, sulle
quali il volume curato da Musto esaurientemente ci informa.
Ma il
volume non è solo una storia della fortuna o degli effetti. Anzi, nella
prima parte troviamo diverse analisi dedicate ai temi più rilevanti del
testo marxiano, dovute a studiosi di alto profilo internazionale. Non li
possiamo citare tutti, ma ricordiamo le riflessioni di Terrell Carver
sull’alienazione, quelle di Enrique Dussel sul plusvalore, quelle di
Ellen Meiksins Wood sul materialismo storico, di Iring Fetscher sulla
società post-capitalistica; e per finire il testo di Moishe Postone che
riassume la sua originale interpretazione del marxismo centrata sulla
questione del governo del tempo. Nel complesso, si tratta di un volume
ricchissimo, frutto di un lavoro prezioso. Se un dubbio si può
sollevare, è solo questo: tra tante analisi interessanti, sono poche
quelle che mettono a fuoco difficoltà, aporie o punti deboli del testo
marxiano. E invece anche questo è necessario, se con l’opera del
pensatore di Treviri si vuole intrattenere un rapporto veramente
critico.