Il Sole 11.10.16
La Chiesa globale di Francesco
La nomina dei cardinali elettori
di Carlo Marroni
Cresce la componente extra-europea - Gesuiti pronti all’elezione del «papa nero»
Un
cardinale che viene da Mauritius, che prenderà la berretta rossa
accanto a quello di Chicago: un vescovo che cura le anime di poche
decine di migliaia di anime in mezzo all’oceano, che siederà in San
Pietro accanto a quello che governa una delle maggiori e più potenti
diocesi al mondo. La Chiesa di Francesco si globalizza a tappe forzate,
ridisegnando la mappa del Sacro Collegio, che sarà chiamato un domani a
eleggere il nuovo pontefice. Sono 13 nuovi cardinali elettori, il
prossimo 19 novembre, che porteranno la quota dei potenziali votanti a
121, appena sopra la soglia indicata decenni fa da Paolo VI. Come aveva
annunciato (in coerenza con la sua linea) è stata privilegiata la
componente extra-europea del collegio cardinalizio: Asia, Africa,
America latina e Oceania periferica sono state al centro dell’elenco, ma
anche gli Stati Uniti hanno visto ben tre nuove berrette rosse. Per
quanto riguarda l’Italia il Papa ha “creato” un nunzio apostolico, Mario
Zenari, che rappresenta la Santa Sede in Siria, a dimostrazione della
vicinanza del Papa alle sofferenze della popolazione che vive la guerra e
le privazioni da anni. Una decisione sorprendente visto che mai un
nunzio, quindi un ambasciatore, è stato fatto cardinale ed è rimasto al
suo posto, senza quindi avere incarichi di Curia o in diocesi di
prestigio. Un’altra anomalia del sistema-Francesco, che continua a
creare nuove consuetudini pastorali, interrompendo prassi consolidate di
governo. L’Italia, in ogni caso, è un capitolo a parte. Questo è il
terzo concistoro di Bergoglio, e sin dall’inizio ha reso esplicito che
non intendeva promuovere automaticamente gli arcivescovi delle grandi
città italiane: è accaduto per Torino e Venezia (vescovi arrivati in
diocesi sotto la gestione Benedetto XVI), e sta accadendo anche per
Bologna e Palermo, presuli da lui nominati di recente. Al contrario ha
messo la berretta agli arcivescovi di Perugia, Ancona e Agrigento,
considerate non cardinalizie. Insomma, le sue scelte sono mirate alle
persone, che non sempre conosce, anzi. Ascolta, prende informazioni, e
poi decide. L’Italia – tra Curia e diocesi – resta il maggior gruppo di
cardinali, ben 25 elettori, ma questo non significa un forte peso
elettorale spendibile in Conclave: spesso vale il contrario e gli
italiani di rado si muovono insieme. Del resto queste logiche
infastidiscono Bergoglio, e lo dice chiaramente quando deve parlare alle
gerarchie, condannando il carrierismo e le “cordate”. Naturalmente ci
potranno essere delle eccezioni: quando lascerà l’arcivescovo di Milano
Angelo Scola – tra un mese compie 75 anni, ma resterà in carica
certamente per un certo periodo di tempo – il suo successore con ogni
probabilità diverrà cardinale: si tratta di una delle diocesi più grandi
e importanti al mondo.
Poi c’è il tema
degli Usa. Ben tre sono i nuovi cardinali statunitensi, a conferma che
Francesco non vuole penalizzare la grande Chiesa americana – che conta
quasi 70 milioni di cattolici – ma al tempo stesso con la sua scelta dei
nomi, indica una strada. Una strada da lui indicata nel discorso di
Washington del settembre 2015, quando invitò i presuli del Paese a
voltare pagina e cambiare sguardo, a non usare un «linguaggio bellicoso»
né a limitarsi solo ai «proclami». Insomma, basta con le battaglie sui
temi di vita e famiglia e concentrarsi più sulle profonde questioni
pastorali. E così ha assegnato le “porpore” a Kevin Joseph Farrell,
appena nominato Prefetto del nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e
la Vita, ex legionario di Cristo e vescovo di Dallas molto vicino alla
gente e ai problemi reali. Poi a Blase Cupich, abile guida di Chicago da
due anni, anche lui poco incline alla chiesa law and order dei suoi
predecessori, così come Joseph William Tobin, arcivescovo di
Indianapolis, allontanato dalla Curia romana dopo appena due anni da
segretario della Congregazione per i religiosi perché – è stato rilevato
da Vatican Insider – considerato troppo «morbido» con le suore
americane progressiste.
Ma un’altra nomina
importante si approssima. È quella del cosiddetto “Papa Nero”, il
superiore generale dei gesuiti, che sarà decisa venerdì prossimo dalla
Congregazione generale dell’ordine, lo stesso da cui proviene Bergoglio.
Il metodo è unico al mondo, e codificato da Ignazio di Loyola nel 500 e
funziona ancora alla grande. Si basa sulle “murmurationes”, incontri a
tu per tu tra i 212 delegati gesuiti di tutto il mondo riuniti a Roma da
domenica scorsa, tra cui gli italiani Federico Lombardi e Antonio
Spadaro. Impossibile dire che sono i candidati, anche se molti scommetto
su un gesuita che verrà dal cosiddetto global south (in particolare
Asia e Africa) e di Paesi come l’India, il cui peso è cresciuto molto.
Ma dentro la grande curia generalizia di Borgo Santo Spirito vige una
regola ferrea: «Qualsiasi campagna o strategia elettorale pro o contro
qualcuno è severamente vietata, e qualsiasi membro della Congregazione
che venga a conoscenza di qualcuno che cerchi la carica di Superiore
Generale, per sé o per altri, è tenuto a segnalare tale infrazione a
un’apposita commissione», denominata “de ambitu” per indicare che,
appunto, le ambizioni personali vengono stroncate. La maggioranza dei
partecipanti si incontra per la prima volta in quest’occasione, e anche
il superiore uscente, Adolfo Nicolas – spagnolo ma con un trascorso
quasi interamente in Estremo Oriente – fu eletto nel 2008 senza che
nessuno, fuori dal conclave dei gesuiti, avesse ipotizzato il suo nome.
Lui si è dimesso, e questo è possibile (lo avevano fatto i suoi due
predecessori), ma la carica è a vita.