il manifesto 9.10.16
Renzi e il capitale: il destabilizzatore non sopravvive all’emergenza
Renzinomics. Renzi è come la maschera di Fedro. Non ha cervello (politico)
di Michele Prospero
L’oro
di Moscovici non cancella l’affondo del Financial Times contro le
riforme costituzionali del Pd che spingono verso il nulla. Una logica
c’è nella giravolta del foglio della finanza che denuncia in Renzi il
vero destabilizzatore. Il capitale adora chi elimina la traccia residua
dei nemici di classe. Ma, ancor più, predilige il politico che
garantisce un lavoro di semplificazione liberista fatto con destrezza, e
cioè nella conservazione di un ordine minimo, senza di cui gli affari
languono. Il pasticciaccio di un premier che, in nome della stabilità,
produce emergenze continue non è perciò gradito.
Contestando
l’asserzione di Carl Schmitt, quella per cui la politica è la ricerca
della situazione di eccezione, Luhmann notava che, quando un politico
entra, con la sua condotta, in una condizione di emergenza, ha già
perso. La politica è, infatti, una costruzione positiva che serve per
evitare di scivolare nelle zone estreme che sfuggono al controllo della
norma. E quando un politico, per un mero calcolo di potenza, determina
la fase di emergenza ha sospeso il carattere più significativo della
direzione statale, che è la rimozione dei rischi dell’incertezza.
Renzi
ha fatto il contrario del politico responsabile. Con il plebiscito ha
scelto la strada dell’emergenza che sospende la Carta come un bene
condiviso e fattore di consolidamento democratico. È chiaro che,
puntando verso l’eccezione di una investitura tramite la forza d’urto
del plebiscito, egli espone il sistema ai rischi della
de-costituzionalizzazione che indebolisce alla radice le capacità di
funzionamento del potere.
Se vince lo scontro contro i gufi o chi
coltiva odio per la «poltroncina mancata» – dimenticando l’invito di
Machiavelli al politico prudente di astenersi «dall’obbrobrio delle
parole» rivolte al «nimico» – Renzi avrà rinsaldato le sue ambizioni
personali di potere. Al prezzo, però, di una lacerazione delle
istituzioni destinata a lasciare ferite nell’ordinamento e quindi nella
reale capacità di decisione.
Se dalla contesa esce sconfitto, ha
comunque sospinto la repubblica in una prova infuocata che, anche per i
fogli della finanza, non pare giustificata dagli effettivi benefici del
disegno di manipolazione costituzionale.
Il calcolo dei costi e
benefici che, a partire da Machiavelli, è il corredo di un politico
realista, avrebbe dovuto suggerire a Renzi di evitare di perseguire il
disegno personale di supremazia imboccando le vie della sfida alla
legalità che rovina gli ordini repubblicani e rende precarie le basi
costituzionali della convivenza.
In caso di successo del sì, Renzi
ottiene il consolidamento della propria ambizione di potere ma la paga
con la disintegrazione di ciò che rimane del suo partito, con le macerie
della costituzione, che perde ogni normatività se diventa
manifestazione di una volontà di potenza personale. Con una vittoria del
no, verrebbe interrotta la carriera politica del premier e però la
Carta sarebbe di nuovo salva, schivando le prove di eversione
plebiscitaria di un leader di minoranza.
Un politico che porta in
una condizione di emergenza, su questioni non dirimenti come il senato
dei dopolavoristi, ha comunque perso perché, per esperimenti di
arroganza, ha infranto le fondamenta di un condiviso patriottismo
costituzionale.
E i poteri forti, che pure celebrano la furia
rottamatrice quando piega i sindacati, poi si irrigidiscono sino al
disincanto quando il loro governo dei sogni diventa un arnese di
produzione di incertezza.
Il capitale apprezza chi fa pulizia
delle ultime resistenze al dominio della merce come paradigma di ogni
rapporto sociale, ma poi non accetta che il leader combini troppi guai
tramutando il disordine in condizione normale.
Dopo aver cantato
le lodi del corpo del leader energico, adesso si aspettano
ragionevolezza e non vocazione alla emergenza. Ma, purtroppo per i
poteri forti e i burocrati di Bruxelles dispensatori di oro per frenare
la sfida dei populisti (cioè quasi tutti gli ex presidenti della
Consulta, la Cgil, i più autorevoli costituzionalisti, alcuni ex
premier), Renzi è come la maschera di Fedro. Non ha cervello (politico).