il manifesto 8.10.16
Propaganda Pd, la macchina ingolfata
Un investimento economico notevolissimo
di Micaela Bongi
Un
investimento economico notevolissimo da parte del Pd: quasi 3 milioni;
400 mila euro soltanto per il del guru Jim Messina. Una strategia
mediatica studiata da mesi nel dettaglio. Per la campagna referendaria
Matteo Renzi non ha lasciato nulla al caso. Si è parlato persino di una
struttura «parallela» insediata direttamente a palazzo Chigi (oggetto di
un’interrogazione di Sel) per curare la comunicazione capillarmente
sulla rete e sul territorio.
L’esistenza di questa task force è
stata negata da Maria Elena Boschi, ma a solo sentirne pronunciare il
nome – «La Bestia» – correvano brividi lungo la schiena dei sostenitori
del No, impotenti di fronte all’invincibile armata. Senza contare la
capacità di «moral suasion» di cui può essere capace un premier nei
confronti di dirigenti tv da lui stesso selezionati.
Tutto sotto
controllo, dunque? Non si direbbe. «La Bestia» (o chi per lei) sembra
scorrazzare a briglia sciolta. Le performance della ministra Boschi
scatenano sempre fiumi di polemiche poco propizie alla causa del Sì:
l’Anpi messa sullo stesso piano di Casa Pound, la trasferta elettorale
in Sud America coinvolgendo le ambasciate. Fino al balletto di ieri
(«vado», «non vado»), finito con la capitolazione a Matteo Salvini
(«vado»), nientemeno.
E che dire di Renzi? La personalizzazione,
le scuse per aver personalizzato, il tour in Italia corredato di foto
che lo immortalano mentre incontra imprenditori, stringe mani a operai,
accarezza bambini neanche fosse Kim Jong-un, e scusate se sembra quasi
una personalizzazione. Mentre il parlamento è praticamente in ferie. E
sul fronte televisivo, la Rai renziana che si avvita nella gaffe (lo
spot del fiore all’occhiello subito sfiorito, «Politics», sui supporter
del No balbettanti) e subisce le intemerate di Cantone. E gli scivoloni
come quello sull’invito di «Radio anch’io» a Gianfranco Pasquino, poi
ritirato: semplice modifica della scaltetta, equivoco? Comunque una
brutta figura per il premier. E la notizia (riportata dal Fatto)
dell’avvio del boicottaggio di La 7 per l’insofferenza mai placata nei
confronti di Floris-Giannini. Risultato del diabolico piano: la «buca»
di Boschi a Gruber, e poi l’imbarazzata e imbarazzante retromarcia.
Renzi
come Berlusconi, dunque? Non proprio. Al pur talentuoso premier mancano
le basi: non è a capo di un impero. Il che, tra i tanti vantaggi
(vendere solo propaganda non è come «regalare» anche i bellissimi di
Rete4 o i successi del Milan, per dire) conta anche quello di suscitare
un certo timore reverenziale. Ma per fortuna anche Renzi ha un amico
Fedele, Confalonieri. E a Fedele (e soprattutto a Berlusconi) un amico a
palazzo Chigi può sempre tornare utile. Allora almeno Mediaset, forse,
riuscirà a domare «La Bestia».