il manifesto 5.10.16
Editoria, un raggio di sole
Ri-mediamo.
La legge varata rischiara un po’ l’orizzonte, ma solo un po’. Quello
che rimane inquietante ed emblematico è la quantità di deleghe al
governo contenute nell’articolato, nonché di regolamenti
di Vincenzo Vita
Un
raggio di sole, per dirla con Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.
Così appare la piccola riforma dell’editoria, approvata in via
definitiva in terza lettura dalla Camera dei deputati: rispetto
all’inquietante scenario che la post-democrazia dei e nei media ci
sbatte in faccia. Tanto per dire, il centro studi del Parlamento europeo
denuncia il peso minaccioso sulla libertà di informazione della
debolezza economica del settore. E l’ultimo rapporto del Censis ci offre
un quadro disperante, con i quotidiani in caduta libera: -26,5% dei
lettori tra il 2007 e il 2016 con una riduzione continua del consumo,
ora al 40,5% degli italiani rispetto al 97,5% della televisione e alla
crescita di Internet. Insomma, piove a dirotto e si avvicina l’inverno
del nostro scontento. Insomma, la legge varata rischiara un po’
l’orizzonte, ma solo un po’.
Il testo non è stato modificato,
rispetto alla versione approvata dal Senato lo scorso 15 settembre e già
commentata da il manifesto. A parte le considerazioni specifiche,
quello che rimane inquietante ed emblematico è la quantità di deleghe al
governo contenute nell’articolato, nonché di regolamenti.
Indispensabili per mettere in moto una macchina che, quindi, al momento è
solo ai blocchi di partenza mentre il traguardo rimane lontano. E
saranno guai, se l’istituito Fondo per il pluralismo e l’innovazione non
verrà immediatamente rimpinguato, essendo oggi vicino allo zero.
Paradossalmente, le norme di immediata entrata in vigore riguardano la
Rai. Il riferimento è al rinvio al 31 gennaio della nuova concessione
con lo Stato e al tetto per gli stipendi di 240.000 euro. Quest’ultimo è
ormai in vigore e va applicato senza furbizie.
Tuttavia, la
delusione viene dall’evidente spiazzamento rispetto alla cruda
fotografia della realtà. Si è sempre criticata la routine giuridica per
la sua tendenza alla riproduzione conservativa dei fatti. Qui è peggio.
Il rapporto con gli sconvolgimenti in atto o non esiste o è solo
virtuale. Nulla si fa a fronte dei grandi aggregatori di contenuti, i
veri editori-oligarchi dell’era digitale. Non aver messo gli occhi
nell’epoca giusta su temi come il copyright o il diritto all’oblio
espone il dopo-analogico a turbolenze enormi. Per non parlare del
capitolo cruciale della privatizzazione della conoscenza determinato dal
crescente e incontrollato predominio degli algoritmi. E poi, risulta
ormai inadeguata la fisiologia dei vincoli antitrust, visto
l’arrembaggio in corso. Tra l’altro, è persino imbarazzante assistere
alla repentina “caduta degli dei”.
Il glorioso gruppo
“Espresso-Finegil” deve cedere testate locali per rientrare nel tetto
della l.416 dopo l’unificazione tra Stampa e Repubblica, ma chi sono gli
acquirenti? L’assurda vicenda de La Città di Salerno, ceduta a una
cordata di imprenditori tra cui figura quello del quotidiano campano
Metropolis dove due giornalisti sono stati aggrediti ed altri insultati,
è una terribile avvisaglia che prefigura un rinnovato medioevo. O, su
un altro versante, le botte da orbi che si segnalano nella crisi del
Sole 24 Ore ci ammoniscono su una certa inattendibilità dello stesso
tabernacolo del capitalismo italiano, che nel quotidiano economico ha la
sua storica epifania.
Se è giusto, quindi, salutare positivamente
il passaggio della riforma, è altrettanto doveroso non lasciarsi andare
ai festeggiamenti. Se mai, la gioia effimera si trasformi in un
progetto di effettivo riordino del sistema, risucchiato altrimenti verso
le zone basse del villaggio globale.