martedì 4 ottobre 2016

il manifesto 4.10.16
Il premier gioca a rimpiattino: «Nuove proposte? Non spetta al Pd»
Legge elettorale. Il presidente del consiglio rilancia la palla nel campo delle opposizioni. Per prendere ancora tempo
di Andrea Colombo

ROMA Nessuna nuova proposta di legge elettorale. Renzi ci ha ripensato: «Non spetta al Pd». L’Italicum, dichiara ai microfoni di Radio popolare, «per me è ottimo, ma se tutti dicono di riaprire il tema siamo pronti non a presentare un’altra proposta ma a confrontarci veramente». Significa che dovranno essere tutte le forze politiche, probabilmente in apposita sessione parlamentare, a squadernare le loro alternative alla legge di Renzi.
Si tratta, in tutta evidenza, di un modo appena camuffato per bloccare o rinviare tutto. Se ci fosse una proposta unitaria di tutte le altre forze politiche il governo potrebbe confrontarsi e mediare. Ce ne saranno però diverse e incompatibili e a quel punto per Renzi sarà facilissimo dire che bisogna rinviare, aspettare e solo dopo il referendum, eventualmente, il governo potrebbe provare a tirare le fila.
Se Renzi mira a gettare la palla fuori dal campo non è solo per rinviare una scelta difficile. E’ soprattutto perché una proposta che gli vada bene quanto l’Italicum né lui né i suoi tecnici l’hanno trovata. Quelle della minoranza Pd, il Mattarellum riveduto e corretto da Speranza, e di Grillo, il proporzionale, non le può accettare perché lo costringerebbero a un’alleanza di governo con Berlusconi, il contrario esatto di quello a cui mira e un regalo di lusso per M5S. Il doppio turno di coalizione con ballottaggio, cioè l’unica ipotesi che il Nazareno prenda in considerazione, è una rosa con pochi petali e molte spine: costringe a dichiarare in anticipo le alleanze, col rischio di perdere valanghe di voti su un versante o sull’altro. Tenere insieme la sinistra radicale, Alfano e Verdini non è dato in politica. Allora meglio dimostrare alla minoranza Pd che la loro proposta purtroppo non incontra i favori necessari. Però senza alzare barricate. Lo spiraglio deve restare aperto sino al referendum per ostacolare la campagna che denuncia il combinato disposto riforma-Italicum. La legge elettorale, a parole, può cambiare. La riforma è ciò che davvero conta: «La legge elettorale è meno importante e se bisogna cambiarla la si cambia».
In ballo ci sono quel 50% di indecisi che potrebbero ancora salvare la riforma e il governo, prima di tutto andando a votare, che l’astensionismo è per palazzo Chigi il vero incubo, e poi votando un Sì che Renzi fa il possibile per svincolare dalla sua persona: «Ho fatto un errore a personalizzare ma ora qualcun altro persevera». Basteranno la non disinteressata retromarcia e la finta apertura sulla legge elettorale? Certamente no ma possono aiutare.
Il resto lo farà la paura o almeno così spera il fronte del Sì, che spande terrorismo a piene mani. Non pago di aver addirittura scritto nel Def che il previsto aumento dell’1% del Pil nel 2017 dipende dalla vittoria dei Sì, il ministro Padoan torna alla carica: «Se si vota No non si dice no solo alla riforma ma all’intera spinta riformatrice». Insomma prima la recessione, poi la palude. Capita purtroppo che, almeno stando a Bankitalia e alla Corte dei Conti, la palude non abbia bisogno del referendum per inghiottire la «spinta»: entrambe ritengono che quell’1% fissato per il 2017 sia un po’ troppo ottimistico.
Non che a seminare panico ci provino solo i governanti. Pietro Salini, Ad e primo azionista di Impregilo, l’uomo del Ponte, fa sapere che in caso di vittoria del No lui, con «ampia parte del settore», valuterebbe sul serio l’idea di levare le tende dal Paese ingrato. Lo afferma in un’intervista al Financial Times ed è giusto: sono gli stessi toni adoperati ai tempi della Brexit. Si sa come è andata.