il manifesto 28.10.16
La democrazia del conflitto nello scontro referendario
Non
è che manchino nel dibattito tra le forze del No, le voci che fanno
vivere una critica da sinistra, ma esse non configurano un polo
attrattivo né un discorso politico
di Fausto Bertinotti
Penso
che continui ad essere trascurato, nella vicenda referendaria – e nel
suo esito -, il peso di una presenza percepibile di una posizione
classicamente di sinistra: quella capace di legare indissolubilmente la
questione democratica alla questione sociale.
Come affermato nelle
costituzioni democratiche, la democrazia che si è voluta affermare dopo
la vittoria contro il nazifascismo vive nella lotta alla
diseguaglianza.
Secondo una tradizione del movimento operaio si
evidenzia la necessità di affermare un’idea di «democrazia sostanziale»
per superare la fragilità intrinseca alla democrazia formale. Questa
ispirazione si radicalizza come necessità storica nell’attuale fase di
affermazione del regno della diseguaglianza e di costruzione di
ordinamenti oligarchici. Perciò sarebbe necessario vedere protagonista
proprio quel punto di vista critico presente, bene o male, in tutta la
storia politica del paese, in particolare dopo la Liberazione, e che
oggi rischia di uscire del tutto di scena. Una ispirazione che, per
essere riproposta, andrebbe fortemente rielaborata. Solo così
restituendo un senso alla contesa e a quella parte della popolazione che
altrimenti non la può vivere per la condizione di deprivazione
politica, di spoliazione e di sfruttamento sociale a cui è sottoposta.
LA
PERCEZIONE della natura politico-sociale delle forze in campo è sempre
inseparabile dai contenuti specifici della contesa. Non trascurando che
qui è il partito del centrosinistra, con il sostegno di tutto il centro
sinistra europeo e nord-americano ad essere il protagonista di questa
riforma costituzionale sulla quale investe la sua stessa sorte.
L’avversario
politico principale del fronte del No è, dunque, il partito di Renzi.
Il problema da che versante esso venga criticato si pone perciò con
tutta evidenza. Non è che manchino nel dibattito tra le forze del No, le
voci che fanno vivere una critica da sinistra, ma esse non configurano
un polo attrattivo né un discorso politico. Il tema è quello del
rapporto tra la democrazia ed eguaglianza. La costituzione materiale ha
fatto strame delle conquiste sociali che il conflitto e la politica
avevano realizzato. Così quel panorama è stato desertificato, tanto che
oggi è assai difficile che la Costituzione possa, nella vita reale,
essere associata al contratto di lavoro, al diritto allo studio, alla
sanità pubblica, all’ambiente. Il rapporto perduto va dunque
riconquistato per dare credibilità a un qualsiasi discorso
costituzionale.
MA DA CHI E COME? L’attuale schieramento del No
non lo può fare, non lo sa fare e, di fatto, non lo fa. Bastano le foto
di gruppo che siamo costretti a vedere a dirci quanto questo handicap
sia pesante. Esso si riverbera sui contenuti, sulla piattaforma della
lotta che, infatti, è scivolata sul terreno scelto dall’avversario: la
personalizzazione del conflitto e il suo risucchio sul terreno
politicista e istituzionalista. È proprio la questione cruciale della
contesa – il rapporto tra ordinamento costituzionale e costituzione
materiale – che così esce di scena, e non c’è più chi la possa riportare
al suo posto.
Certo lo scontro tra il partito del Sì e quello del
No è aspro. Ma non è dalla durezza nell’opposizione al Sì che si possa
ricavare un suo carattere di sinistra. Esso può prendere corpo solo
dalla rottura del recinto politico-istituzionale che delimita oggi la
contesa, per aggiungere la connessione tra sistema politico
istituzionale (la democrazia rappresentativa) e sistema
economico-sociale (il tema della giustizia sociale). Diventerebbe
rilevante affrontare il nodo tra l’attualità politica e la storia del
paese.
LA PRIMA QUESTIONE dovrebbe riguardare la plausibilità
stessa di una riforma costituzionale in questo nostro tempo. No, non ci
sono le condizioni storiche perché questa strada possa essere
intrapresa. Introdurre nel dibattito il peso della storia – sociale e
politica insieme – diventa decisivo per rivelare il segno dei tempi. Chi
sei tu per porre mano alla Costituzione proprio adesso? È proprio in
questo «adesso» che si consuma in tutta Europa una crisi di civiltà e il
rovesciamento del conflitto di classe. Perciò le regole scritte oggi
sono quelle dei pessimi vincitori nell’oggi.
LA SECONDA QUESTIONE
dovrebbe riguardare il “da dove” dovrebbe cominciare un discorso di
riforma costituzionale. Chi volesse intraprendere oggi un cammino di
riforma dovrebbe applicarsi non già a quella Costituzione repubblicana
già sovvertita nell’ultimo quarto di secolo, bensì alla costituzione
materiale che ha riempito il corso sociale, politico e istituzionale. Ne
aveva piena coscienza un protagonista della storia dell’Italia del
dopoguerra come Bruno Trentin, che nei già bui anni ’90 scriveva:
«Rovescerei i tempi e i termini della ricerca sulle riforme
istituzionali lavorando a un progetto davvero di “grande riforma” che
cominci da una legislazione sui diritti individuali, da una nuova
regolamentazione dei diritti collettivi, dalla definizione delle regole
di rappresentanza che devono vincolare le associazioni volontarie (come
il sindacato)». Aver scelto il cammino opposto se non denota una
propensione fascistizzante, è l’espressione – pericolosa – di
un’adesione organica a quella tendenza neoautoritaria e concretamente
oligarchica che l’avvento del capitalismo finanziario globale sta
realizzando in tutta Europa.
LA TERZA QUESTIONE investe il
rapporto tra la democrazia e la tanto perseguita governabilità. Le
assolutizzazioni della governabilità e della consorella stabilità
costituiscono il retroterra della riforma proposta da Renzi. Ma sono
incompatibili con la democrazia e con la partecipazione democratica, il
fatto che la governabilità e la stabilità siano diventate parti decisive
della cultura istituzionale prevalente in pressoché tutto il campo
delle forze politiche di centrosinistra come di centrodestra, non riduce
ma anzi aggrava la drammaticità della questione. Tra democrazia e
governabilità, invece, bisogna scegliere. Le classi dirigenti europee,
tra queste quella italiana, puntano ciecamente sull’assolutizzazione del
tema della governabilità, senza vedere che essa sta generando,
sistematicamente, il suo contrario, cioè l’instabilità. Le classi
subalterne dovrebbero allora agire in essa per costruire dal basso nuova
socialità e nuova democrazia, in un processo costituente che muova dal
profondo della società e costituisca le soggettività critiche necessarie
per uscire dalla crisi.
GUARDANDO a questa possibilità la
rivendicazione del valore fondativo della democrazia del conflitto e
della partecipazione andrebbero rivendicati anche nella contesa
referendaria.