il manifesto 27.10.16
Gorino
Perché la paura prende la strada dell’idiozia
di Alessandro Dal Lago
La
 rivolta del paesotto del Ferrarese contro dodici donne e otto bambini è
 stata definita dalla curia una «notte ripugnante». Non si potrebbe 
chiamare altrimenti. Bisognerebbe andare a vedere con che faccia questa 
brava gente di Gorino, o come diavolo di chiama il villaggio, andrà a 
messa, domenica prima di pranzo, e confesserà qualche peccatuccio o 
toccatina e farà la comunione e se ne tornerà a casa a divorare un bel 
piatto di lasagne. Abbiamo paura! Ecco il grido rituale che risuona da 
venticinque anni nel regno di Padania, aizzato da politicanti con la 
bava alla bocca e giornalacci scandalistici.
Paura di dodici 
donne, tra cui una incinta, e otto bambini? Eh già, ma poi arrivano i 
padri, i mariti, i fratelli e con loro i criminali, gli imam e poi i 
tagliagole dell’Isis… Come no. Una ventina d’anni fa i sociologi 
scrivevano che i migranti delinquono perché sono senza famiglia, allo 
sbando. Se invece le famiglie si riuniscono, dilaga la poligamia. Se 
arrivano uomini, sono potenziali terroristi. Se arrivano le donne, sono 
avanguardia di un’invasione. Se tutti questi difensori ringhianti del 
campanile e dell’orto di casa avessero il coraggio di dire che provano 
disgusto per neri, marocchini, siriani e qualsiasi altro alieno perché è
 alieno, punto e basta, tutto sarebbe più onesto e più semplice.
E invece no, mica sono razzisti, loro. Hanno paura.
Ma
 avranno provato a immaginare la paura di quelle donne e quei bambini 
quando, sopravvissuti a deserti e tempeste, venivano sballottati tra 
autobus e caserme dei carabinieri?
Certo, tutti a singhiozzare 
davanti al corpicino della bambina su una spiaggia turca. Però, che 
questi orrori restino là, a qualche migliaia di chilometri dai nostri 
paesini operosi, o sulle remote spiagge di Sicilia, perché qui non li 
vogliamo, i loro bambini. E così, grazie alle mitologie della paura, la 
parola “profugo”, che significa una persona che fugge, una vittima, è 
diventata sinonimo di minaccia. Di fronte alla quale, chiunque si 
barrica in casa e afferra, per ora solo metaforicamente, lo schioppo.
Qualche
 giorno fa, un giornale tedesco, e nemmeno troppo di sinistra, davanti 
all’ennesima manifestazione dei partiti xenofobi (Pegida, Afd ecc.), si è
 chiesto con un gran titolo: “Ma i tedeschi sono idioti?” E ha risposto:
 sì, i cittadini che manifestano sono idioti, la polizia è brutale e i 
politici sono entrambe le cose. Se consideriamo la situazione europea, 
dall’Egeo alla Manica, dal mare del nord al Mediterraneo, dovremmo 
ammettete che l’idiozia dilaga, nelle forme più creative e pittoresche. 
Il filo spinato macedone, i muri di Orbàn, il cattolicesimo 
ultra-reazionario e iper-nazionalista polacco, le rivolte in Sassonia 
contro i profughi, il referendum svizzero contro i comaschi, la chiusura
 del campo di Calais, il Brexit contro gli operai polacchi. Dico idiozia
 perché quasi tutte queste decisioni o proteste si ritorcono alla lunga 
contro chi le promuove. L’Europa si sta decomponendo e questo non 
faciliterà la vita nemmeno agli elettori di Orbàn, né agli xenofobi 
sassoni, né ai pensionati di Gorino. E tantomeno ai furbissimi inglesi 
che hanno votato contro l’Europa e ora rischiano, nell’acre 
soddisfazione dei continentali, di andare alla deriva con la loro isola 
sempre più ridimensionata.
Ma in realtà non si tratta di idiozia, 
tranne che in alcuni casi di leader politici. Su tratta di un movimento 
sinistro che sta montando nel ventre d’Europa contro gli stranieri, 
ingrossato anche da anziani, soggetti socialmente deboli e diseredati, 
che scaricano su quelli che non conoscono la disoccupazione, la 
precarietà, la frustrazione, la solitudine o la mancanza di prospettive.
 E questo è un frutto avvelenato, potenzialmente letale, del cedimento 
dei governi, socialdemocratici in testa, alla voracità delle banche, dei
 cosiddetti mercati e del capitalismo globale.
La xenofobia può 
erompere nei villaggi, ma le sue motivazioni ultime sono da cercare 
nelle metropoli globalizzate e nelle roccaforti del potere politico e 
finanziario.
 
