sabato 22 ottobre 2016

il manifesto 22.10.16
Evangelici. In Brasile la cifra più alta
Brasile, il potente capo delle chiese evangeliche, Eduardo Cunha
di Geraldina Colotti

Caracas. Nei pressi del metro Bellas Artes, due gruppi si fronteggiano sotto un grande murale che celebra il socialismo bolivariano: da una parte gli evangelici, dall’altra i movimenti Lgbt. Dopo qualche scaramuccia, la polizia li divide. La manifestazione prosegue e “accerchia” il Parlamento: per chiedere che non venga discussa la legge sul matrimonio ugualitario, che la sinistra chavista non è ancora riuscita a far passare. Un appuntamento rinviato a data da destinarsi, dopo la vittoria delle destre in Parlamento, il 6 dicembre scorso. La marcia a cui abbiamo assistito si è svolta nell’estate del 2015.
Anche in Venezuela – dove trovano spazio molti culti religiosi, moltiplicati dalla presenza di 34 popolazioni indigene e dagli afrodiscendenti – le chiese evangeliche sono in aumento. Negli ultimi 16 anni, hanno avuto una crescita di circa il 7%, e coprono – secondo il Consiglio evangelico de Venezuela (Cev) -, il 17% della popolazione (che è di oltre 33 milioni). Gestiscono radio di quartiere e canali televisivi e intervengono nella contesa politica: a favore o contro il socialismo bolivariano, configurato da un blocco sociale variegato, ma a dominanza «plebea». E qui, le chiese evangeliche, come quella cattolica, trovano duro. Per far proseliti nelle comunità, devono contenere i bollenti spiriti conservatori: intanto per la forte presenza delle donne e del femminismo, poi perché le «misiones» le fa già il chavismo – ma per organizzare politicamente le “moltitudini”, non per addomesticarle – e inoltre perché qualunque dio s’inalberi, dovrà marciare verso il bolivariano raggiungimento del «massimo di felicità possibile», non della rinuncia.
Di sicuro, però, ha sbagliato pronostico Carlos Mariategui, il grande pensatore marxista peruviano che considerava concluso il ciclo di crescita del protestantesimo in America latina già nel 1928. Oggi, è di religione evangelica circa il 20% del continente, contro il 69% di cattolici. Nel 1900, i protestanti erano circa 50.000: solo l’1% del Latinoamerica, mentre il 94% era cattolico. Nel 1930, erano diventati un milione, 50 milioni negli anni ’80. E nel 2000 erano saliti a circa 100 milioni.
Il Paraguay è il paese con meno evangelici (circa l’8%), il Brasile quello dove la proporzione è più alta e più forte è l’influenza conservatrice delle chiese pentecostali e neopentecostali. Lo si avverte durante le campagne elettorali e nelle scelte politiche dei candidati, nell’economia e nella comunicazione. In Brasile, gay e lesbiche possono sposarsi dal maggio 2013, per decisione della Corte Suprema, che però può essere messa in causa da un giudice conservatore. E il matrimonio ugualitario è stato il principale cavallo di battaglia delle potenti chiese pentecostali, assunto dalla candidata anti-Dilma Rousseff, Marina Silva, nel 2014.
Un’inchiesta di Le Monde diplomatique ha evidenziato i termini di questa poderosa forza socio-politica, che in soli 40 anni è passata dal 5% al 22% di fedeli. Il cuore del suo potere risiede nel Congresso. Ogni mercoledì, i deputati si riuniscono per pregare in una sala plenaria del Congresso, intonando canti e giaculatorie. Durante l’impeachment a Dilma, hanno animato una vergognosa cagnara maschilista e reazionaria, in nome di «dio, patria e famiglia».
Il sistema politico brasiliano, oltre all’estrema frammentarietà, ha anche la particolarità di premiare le persone famose, che consentono alla formazione che li candida di ottenere più seggi nel computo finale. E i predicatori sono i preferiti. Nel 2010, il deputato federale più votato del paese è stato il «pagliaccio Tiririca».
Con 123 milioni di fedeli, il Brasile resta il primo paese cattolico al mondo. Entro il 2030, le due religioni saranno però alla pari.