il manifesto 19.10.16
Serve una scossa d’informazione
di Vincenzo Vita
Serve
una scossa. È indispensabile programmare una giornata di iniziative
sull’informazione, sulle agguerrite tecniche manipolatorie utilizzate
dai media radiotelevisivi nella campagna referendaria.
In arrivo i
dati, finalmente, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Quelli dell’Osservatorio di Pavia sono stati appena resi noti. Ma già si
può anticipare la tendenza, rilevata anche dallo specifico gruppo di
lavoro messo in piedi dal Comitato per il No.
Sul piano
quantitativo le percentuali si avvicinano (del resto a qualcosa saranno
pure servite le proteste), ma su quello qualitativo le misure cambiano.
Infatti,
mentre il Sì è avvolto nell’aura dell’ufficialità e parla con la voce
«rassicurante» del governo, il No è presentato come un mosaico eclettico
formato da forze politiche tra di loro lontanissime. Mentre la presenza
dei giuristi che hanno animato l’opposizione alla «riforma» rimane
sporadica e residuale.
Non solo. Il voto positivo alla
consultazione è spesso il naturale punto di arrivo di una notizia. O,
peggio, è l’arma segreta della conferenza stampa sulla legge di
bilancio, il cui sottotesto è proprio il rapporto tra le misure
finanziarie e la scadenza di dicembre. Per non dire della vera e propria
epopea di regime che ha fatto da cornice alla visita di Renzi negli
Stati uniti, con il momento cult della conferenza stampa con Obama,
laddove il voto italiano prevaleva bizzarramente sul prossimo election
day americano.
Veniva il magone a sentire persino Obama, indotto a
recitare la parte del papà buono che riconosce i meriti del «capo»
docile di un paese della periferia dell’impero. Che si ricorda per il
cibo, la moda e i vini. E per Sophia Loren. Ci mancherebbe.
Scomparse
o ridotte a riempitivo, invece, le notizie hard sul brusco calo dei
contratti a tempo indeterminato, sull’aumento dei licenziamenti, sul
triste primato dei voucher del nuovo schiavismo. O, più ancora,
sull’impressionante aumento delle povertà.
L’informazione,
insomma, è assai manipolata e il referendum è fatto vivere come un
immaginifico toccasana: lo spettacolo della politica al massimo della
sua espressione.
I regolamenti sulla campagna referendaria varati
dall’Agcom e dalla Commissione parlamentare di vigilanza sono,
purtroppo, una stanca riedizione dei loro omologhi precedenti. Peccato
che qui non si tratta di un periodo elettorale delimitato, bensì di otto
mesi di contesa sui valori fondanti della democrazia.
Ad esempio,
lo spot illustrativo del governo, che va avanti imperterrito ancorché
sia una forma di pubblicità ingannevole, dovrebbe essere curato da
un’entità autonoma e indipendente, non dagli uffici di Palazzo Chigi.
Così,
la verifica dei tempi assegnati ai due schieramenti mediante le
apposite tabelle richiede tempestività e non la cadenza di quattordici
giorni. Così, soprattutto in prossimità del voto, le possibilità di
riequilibrio in caso di violazione della par condicio svaniscono
completamente. Le sanzioni arrivano, cioè, per i posteri.
Ecco
perché è indispensabile una giornata di lotta e di risveglio delle
coscienze, con manifestazioni, proteste pubbliche e sit in. In accordo
con le organizzazioni sindacali che stanno giustamente protestando
contro il ricorso della Rai agli appalti esterni per diverse
trasmissioni, mortificando le risorse interne.
Quanto al servizio
pubblico, affidato ad un amministratore delegato preso dal mercato, è
curioso che non si sia levata alcuna voce, quando Renzi ha annunciato la
diminuzione del canone per il prossimo anno di dieci euro: 180 milioni
in meno. Comincia lo spezzatino?