il manifesto 19.10.16
Alternanza scuola/lavoro
Stage in azienda, precari già da piccoli
di Roberto Ciccarelli
Primi
dati sul primo anno obbligatorio voluto dalla "Buona scuola" di Renzi:
gli studenti coinvolti aumentano del 139%. Obiettivo: portare 1 milione e
mezzo di studenti a fare uno stage in azienda. Il monitoraggio di Cgil,
Flc Cgil e Rete degli Studenti Medi e Fondazione Di Vittorio svela il
carattere occasionale dell'alternanza e la mancanza di un progetto
complessivo. La protesta degli studenti del Fronte della gioventù
comunista
Roma, la protesta degli studenti contro l'alternanza scuola/lavoro
Sull’alternanza
scuola-lavoro il governo ha puntato molte carte della «Buona Scuola».
In ballo c’è il progetto che sta nel cuore di tutti i «riformatori»
dell’istruzione da vent’anni: la sua contaminazione con la formazione
professionale e l’idea che la scuola deve servire a imparare un
mestiere, a entrare nel mercato del lavoro dove praticare le nozioni
apprese tra i banchi. Se il futuro di uno studente oggi in Italia
dev’essere quello di fare l’apprendista ed entrare nel mondo del lavoro,
è bene confrontare le ambizioni ideali con la realtà dei numeri. Il
risultato non è confortante.
Ieri il ministro dell’Istruzione
Stefania Giannini ha presentato i dati sull’«alternanza scuola-lavoro» e
i risultati del primo anno di attuazione obbligatoria. Gli studenti
coinvolti sono aumentati: 652.641, contro i 273 mila del 2014-15, con
una crescita del 139%. L’obiettivo per il secondo anno dell’obbligo è
arrivare a 1.150.000 di studenti, 1,5 milioni a regime. L’anno scorso
gli studenti delle classi terze coinvolti sono stati il 90,6%. Nei licei
l’aumento è stato del 50%. Un «vero e proprio boom» sottolineano dal
ministero.
Un bilancio di questa esperienza è stato fornito dal
monitoraggio promosso da Cgil, Flc Cgil e Rete degli Studenti Medi,
realizzato dalla Fondazione Di Vittorio e presentato ieri a Roma. Gli
elementi preoccupanti sono numerosi: l’alternanza ha ancora un carattere
occasionale, manca un progetto complessivo. Un ragazzo su 4 è fuori da
percorsi di qualità, il 10% ha partecipato solo ad attività
propedeutiche, il 14% solo ad esperienze di lavoro. Nell’80% dei casi
queste esperienze sono state fatte d’estate, quando l’attività didattica
è sospesa. La stragrande maggioranza è nata in modo occasionale e non
risponde a una progettazione pluriennale. Il 90% dei giovani è stato
ospitato in piccole o microimprese: il 50% fino a 9 dipendenti e il 40%
sotto i 50 lavoratori. Questo non aiuta il controllo sul valore
formativo dell’esperienza, come non aiuta il fatto che non siano stati
definiti criteri e procedure di accreditamento delle capacità formative
delle strutture ospitanti. Non è stato inoltre attivato il registro
nazionale delle imprese dal quale le scuole sono obbligate a individuare
il soggetto ospitante. Si conferma infine la separazione tra istituti
tecnici e licei: i primi hanno convenzioni con le imprese, i secondi con
gli enti pubblici. L’impostazione aziendalista è nuova. Vecchissima la
distinzione tra chi deve «fare» e chi deve «pensare».
Per la Cgia
di Mestre, dall’inizio della crisi (2009) al 2015 gli apprendisti
occupati solo nelle aziende artigiane sono diminuiti del 45 per cento.
Le regioni più colpite sono state quelle meridionali (-61%), seguono il
Centro (-44), il Nordovest (-43) e il Nordest (-33). Il crollo è
avvenuto in tutti i settori. Questa prospettiva interessa da vicino gli
studenti che saranno immessi su questo mercato del lavoro. In un paese
dove dilagano i voucher si capisce la ragione per cui alcuni di loro
pensino che la professionalizzazione dell’istruzione abbia lo scopo di
fargli assaporare il precariato da piccoli. «L’alternanza deve insegnare
il valore del lavoro, non prepararci a sfruttamento, precarietà e
assenza di diritti» hanno detto ieri a Roma gli studenti del Fronte
della Gioventù Comunista che hanno contestato il convegno
sull’alternanza.