il manifesto 19.10.16
Unesco: Israele rispetti status quo sulla Spianata delle Moschee
Gerusalemme.
L'Agenzia dell'Onu ha approvato in via definitiva la risoluzione
contestata dal governo Netanyahu che denuncia la negazione dei diritti
degli ebrei sul luogo santo
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Via libera definitivo dei 58 Paesi membri del Consiglio esecutivo
dell’Unesco, riuniti ieri a Parigi, alla risoluzione su Gerusalemme Est e
lo status della Spianata delle Moschee presentata dai palestinesi e da
alcuni Paesi arabi (Egitto, Algeria, Marocco, Libano, Oman, Qatar e
Sudan) e fortemente osteggiata da Israele che ha sospeso le relazioni
con l’agenzia dell’Onu per l’istruzione, la cultura e la tutela del
patrimonio storico-archeologico nel mondo. Rispetto al voto della scorsa
settimana sul testo preliminare – 24 paesi si dissero favorevoli e 6
contrari (Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda.
L’Italia si era astenuta) – ieri il Messico ha cambiato idea e si è
unito al gruppo degli astenuti. Questa decisione però non ha avuto alcun
impatto sulla adozione definitiva della risoluzione.
Forti le
reazioni di Israele che, come la scorsa settimana, accusa l’Unesco di
non riconoscere i legami tra gli ebrei e il Monte del Tempio che secondo
la tradizione ebraica corrisponde al sito della Spianata delle Moschee
((Haram al Sharif in arabo). Lo Stato ebraico ribadisce che il testo
della risoluzione usa sempre la terminologia araba per definire luoghi
che vengono chiamati in modo diverso da musulmani ed ebrei e non
affronta la questione se il Muro del Pianto sia un luogo sacro per gli
ebrei oppure no. Il premier Netanyahu nei giorni scorsi aveva definito
«assurda» la posizione dell’Unesco che, spiegava, equivale a dire che
«la Cina non ha legami con la Grande Muraglia o l’Egitto con le
Piramidi».
Il paragone non regge ma le proteste di Israele stanno
raccogliendo larghi consensi in giro per il mondo, anche tra i
parlamentari ed esponenti politici italiani. E questo spingerà il
governo Netanyahu ad intensificare le accuse contro la decisione presa
dall’Unesco che, ad una lettura più attenta, ha finalità politiche e non
religiose. In sintesi non mira ad affermare i diritti dei musulmani e a
negare, come afferma Israele, quelli degli ebrei. Piuttosto vuole
condannare le violazioni avvenute sulla Spianata delle Moschee e
richiamare lo Stato ebraico al rispetto assoluto dello status quo del
luogo santo che formalmente è ancora sotto giurisdizione giordana.
La
risoluzione si sofferma su due aspetti. Il primo riguarda il fatto che
attivisti della destra ebraica – che Israele descrive come “turisti” –
sempre più spesso vanno alla Spianata delle mosche rivendicando il
diritto a pregare al sito del Tempio che sorgeva in quel luogo prima di
essere distrutto dai romani nel 70 dopo Cristo. L’Unesco perciò condanna
queste presunte visite di preghiera che, peraltro, fanno salire la
tensione tra ebrei e musulmani, e chiede a Israele, potenza occupante,
di adottare misure per prevenire provocazioni che violano l’integrità
delle moschee. Il secondo punto riguarda la denuncia degli scavi fatti e
le infrastrutture costruite unilateralmente dalle autorità israeliane
nell’area che riguarda anche la Spianata delle Moschee nonchè «il
crescendo di aggressioni e di misure illegali contro la libertà di
preghiera dei musulmani nei loro luoghi santi». L’Unesco in sintesi
invoca il rispetto dello status quo concordato tra Israele e la
Giordania dopo la guerra del ’67 e l’occupazione di Gerusalemme Est che,
comunque, garantisce agli ebrei la possibilità di visitare il luogo
santo ma non di pregarvi e riserva questo diritto ai musulmani. Status
quo che nel settembre 2000, occorre ricordare, fu messo in discussione
dalla famosa “passeggiata” dell’ex premier israeliano Ariel Sharon sulla
Spianata che con 16 anni di anticipo rivendicava il diritto degli ebrei
a pregare sul Monte del Tempio. Un gesto che innescò la seconda
Intifada palestinese. Infine il documento approvato ieri dall’Unesco
ribadisce che Israele è la potenza occupante a Gerusalemme est. Il testo
perciò è in linea con il diritto internazionale e le risoluzioni
dell’Onu 242 e 338 votate dopo la Guerra dei Sei Giorni.
Al di là
delle polemiche sorte intorno al tono della risoluzione denunciato con
forza da Israele, il governo Netanyahu prova ad erodere, poco alla
volta, lo status quo del luogo santo, facendo leva sui sentimenti
religiosi dei cittadini ebrei e sulla solidarietà che riceve dai Paesi
occidentali. L’obiettivo sembra essere quello di ottenere in futuro il
controllo, anche solo parziale, della Spianata nel quadro di un accordo
internazionale che dovrebbe prendere il posto di quello bilaterale con
la Giordania. È difficile che Amman accetti questa possibilità, visto
che la monarchia hashemita si considera custode di Haram al Sharif. Più
di tutto questo progetto è pericoloso in una città dove gli equilibri
religiosi sono sempre molto delicati e le “visite” degli attivisti della
destra israeliana sulla Spianata delle Moschee rischiano di innescare
un incendio disastroso.