il manifesto 19.10.16
Aleppo e Mosul, due facce dello stesso conflitto. E la Turchia fa da “ponte” bellico
Medio
Oriente. In Iraq governo e peshmerga avanzano più lentamente, l’Isis
usa i kamikaze come difesa e i turchi mandano i caccia. In Siria la
Russia propone da sola una tregua ma le opposizioni rifiutano di
slegarsi da al-Nusra
di Chiara Cruciati
Aleppo e
Mosul sono facce della stessa medaglia, quella della ridefinizione dei
confini e le aree di influenza in Medio Oriente. Difficile separare la
guerra civile in corso in Siria con l’operazione lanciata lunedì su
Mosul: gli attori in campo sono quasi gli stessi, le conflittuali agende
anche. Uno dei “ponti” tra le due città è la Turchia e l’interventismo
bellico scelto da Erdogan come strategia politica.
Ieri il primo
ministro turco Yildirim ha annunciato il nuovo livello raggiunto dalle
truppe turche in Iraq: «La nostra aviazione prende parte alle operazioni
aeree della coalizione a Mosul». Ora, dunque, non ci sono solo un
migliaio di soldati a dieci chilometri dalla città ma anche i caccia.
L’obiettivo è avere un ruolo di primo piano nel futuro della città,
facendosi aprire la porta dalla Erbil del presidente Barzani, ed
escludere le milizie sciite legate all’Iran.
Un’agenda palese che
provoca la reazione del religioso sciita Moqtada al-Sadr: il leader
delle Brigate della Pace ha chiamato alla protesta davanti
all’ambasciata turca a Baghdad e ieri in 10mila hanno risposto
all’appello. I manifestanti hanno chiesto il ritiro turco dalla base di
Bashiqa e una posizione più ferma del proprio governo in merito.
Ma
Baghdad preferisce una soluzione più morbida: una delegazione
governativa volerà in Turchia nel fine settimana per spegnere le
tensioni tra i due paesi. Sul tavolo delle offerte Baghdad potrebbe
mettere il freno alle milizie sciite, incorporate nell’esercito e da
questo stipendiate perché essenziali sul piano militare, ma
problematiche su quello settario.
Ieri è stata Amnesty a tornare
sugli abusi commessi contro le comunità sunnite liberate dall’Isis e
finite dentro un altro incubo. Se dovesse succedere anche a Mosul, e
Baghdad lo sa bene, le tensioni settarie potrebbero far crollare la
speranza di mantenere intatti i confini nazionali, a favore delle forze
che premono per una divisione del paese (Stati Uniti e Turchia in
testa).
Sul campo, intanto, le operazioni rallentano: la 9°
Divisione dell’esercito iracheno si è avvicinata alla città cristiana di
Qaraqosh (da cui i residenti fuggirono in una sola notte verso il
Kurdistan iracheno) e il fronte anti-Isis ha liberato una ventina di
villaggi a sud, dove operano i governativi, e ad est, dove avanzano i
peshmerga. Ma si trova davanti alla resistenza islamista nella periferia
est di Mosul, portata avanti con una decina di attacchi kamikaze.
In
città il “califfato” sta innalzando barricate e riempiendo le trincee
di benzina, a cui dare fuoco per rallentare la futura avanzata
governativa. Ma si prepara anche a fuggire, raggiunto il punto di non
ritorno: secondo il piano della coalizione internazionale, i fronti di
attacco saranno a nord, sud e est, lasciando aperto il lato occidentale.
Una sorta di corridoio per la fuga, l’evacuazione dei 3-5mila miliziani
presenti, che saranno naturalmente diretti verso la Siria come già
accade da settimane.
La denuncia arriva anche da Damasco che
accusa la coalizione di aver previsto un passaggio sicuro degli
islamisti dentro il territorio siriano. Tutti verso Raqqa dove, più che
ingabbiati, potrebbero essere liberi di rafforzare le difese della loro
“capitale”, per la cui liberazione i progetti non sembrano
concretizzarsi. Per gli attori della guerra civile siriana è più
importante Aleppo, la città che deciderà il conflitto.
La Russia
continua a ballare da sola: dopo il fallimentare incontro di Losanna, lo
scorso sabato, Mosca ha deciso insieme a Damasco di interrompere i raid
sui quartieri orientali in mano alle opposizioni: nessun bombardamento
in vista della pausa militare di otto ore prevista per domani. Due gli
obiettivi, dice il Ministero della Difesa russo: permettere ai civili di
uscire in sicurezza dalla zona est e garantire il passaggio dei
miliziani che si arrenderanno.
Mosca si fa forte dell’accordo che
avrebbe raggiunto con il fronte anti-Assad (Turchia, Arabia Saudita e
Qatar) perché costringa i gruppi ribelli alleati a rompere le relazioni
con l’ex al-Nusra. A renderlo noto è l’ambasciatore russo all’Onu che
lunedì ha riportato di un accordo tra i tre paesi, la Russia e gli Stati
Uniti: «Hanno espresso la loro intenzione a lavorare con le opposizioni
moderate così che si separino da al-Nusra», ha detto Churkin.
Ma
ieri è giunta la reazione delle opposizioni: Ahrar al-Sham, gruppo
salafita invitato al negoziato di Ginevra, e Fastaqim, parte
dell’Esercito Libero Siriano, hanno rifiutato la proposta e negato
qualsiasi ritiro da Aleppo. Dichiarazioni che portano l’Onu a precisare
di non poter intervenire con corridoi umanitari o consegna degli aiuti
visto il mancato accordo tra le parti.
Rifiutano anche Washington e
Londra: Usa e Gran Bretagna hanno rigettato l’offerta russa di una
pausa per riavviare il dialogo perché «troppo breve e poco credibile».