il manifesto 18.10.16
Referendum, il titolo parlante davanti ai giudici del Tar
Attesa
per la decisione dei magistrati amministrativi sul testo del quesito
pubblicato sulla scheda, che i sostenitori del No giudicano ingannevole.
C'è l'ipotesi del rinvio. Intanto gli avvocati dello stato danno
ragione a chi critica la riforma: non si tratta di una revione puntuale e
limitata della Costituzione come prevista dalla legge sul referendum
costituzionale
di Andrea Fabozzi
ROMA Resisterà
il «titolo parlante»? La definizione è presa dalla memoria degli
avvocati dello stato, che ieri mattina davanti alla seconda sezione bis
del Tribunale amministrativo del Lazio hanno difeso la formula scelta
dal governo per battezzare la riforma costituzionale Renzi-Boschi e per
chiamare al referendum del 4 dicembre i cittadini. Per i parlamentari di
Sinistra italiana e Movimento 5 Stelle De Petris e Toninelli, e per gli
avvocati Bozzi e Palumbo (difesi da Vasques), quel titolo che parla di
«superamento del bicameralismo, riduzione dei parlamentari e
contenimento dei costi delle istituzioni» è ingannevole per gli
elettori, essendo formulato – senza i riferimenti, previsti dalla legge,
agli articoli modificati della Costituzione – come un invito a votare
Sì. Il Tar, dopo un pomeriggio di camera di consiglio, ieri sera non
aveva ancora comunicato la sua decisione. Dalla quale dipende non solo
la sorte del quesito «governativo» ma anche quella del referendum, che
potrebbe al limite slittare.
Il Tar, infatti, potrebbe decidere di
fissare un’altra udienza per riunire l’esame del ricorso con quelli
analoghi proposti dal Codacons e dall’ex presidente della Corte
costituzionale Onida. E (anche in relazione a questa esigenza)
sospendere la validità del decreto del presidente della Repubblica che
ha fissato le urne e formalizzato il quesito: ne risulterebbe un
clamoroso rinvio del referendum. Ma potrebbe anche decidere nel merito
con una sentenza di rigetto o di accoglimento (in questo caso disponendo
una nuova formulazione del quesito). Potrebbe persino rimettere la
questione della costituzionalità della legge sul referendum alla Corte
costituzionale. La quale ha tempi lunghi, ma – sostiene Onida – potrebbe
eventualmente sospendere per cautela le urne.
La decisione
arriverà nelle prossime ore, forse oggi. Gli avvocati del comitato del
Sì, intervenuti ieri contro le tesi dei ricorrenti, hanno però
riconosciuto l’opportunità di affiggere in tutti i seggi il testo delle
effettive modifiche alla Costituzione, non desumibili dal quesito sulla
schede. Schede che, ha informato ieri Alfano sventolando un facsimile,
sono comunque già in fase di stampa da parte del Poligrafico.
Gli
avvocati del governo hanno difeso la correttezza del quesito. Hanno
chiesto al Tar di rigettare i ricorsi per difetto di giurisdizione,
perché il decreto del presidente della Repubblica dev’essere considerato
un «atto vincolato» dalle decisioni della Cassazione e del Consiglio
dei ministri, dunque insindacabile. Ieri, però, proprio gli avvocati
dello stato hanno prodotto una copia della deliberazione del Consiglio
dei ministri del 26 settembre, quello che ha fissato la data del
referendum al 4 dicembre. Si è così scoperto che in quell’atto non c’è
traccia del quesito da stampare sulla scheda, quello che i ricorrenti
considerano «fuorviante»: dunque sarebbe «nato» al Quirinale,
direttamente nel decreto del presidente, con la formula vistata dalla
Cassazione.
L’avvocatura dello stato, inoltre, ha difeso la scelta
di definire sulla scheda del referendum la Renzi-Boschi «legge
costituzionale» in luogo di quella più corretta di «legge di revisione
costituzionale». Per farlo, però, ha finito con avvalorare una delle
tesi dei sostenitori del No. È vero, hanno in sostanza riconosciuto, che
nella legge del 1970 che ha introdotto il referendum si parla a questo
proposito di «revisione costituzionale». Ma all’epoca si immaginavano
interventi sulla Costituzione «puntuali e limitati», mentre la
Renzi-Boschi modifica «interi istituti costituzionali»; è un riscrittura
della Carta così vasta da potersi ben chiamare «legge costituzionale».