il manifesto 18.10.16
I più poveri d’Europa
Caritas. Dopo
la Grecia, l’Italia è il paese europeo dove la povertà è aumentata di
più dal 2008. Al Sud ci sono più italiani che stranieri nei centri
Caritas. Cresce la miseria tra i giovani senza lavoro. La caritas chiede
un piano universale entro il 2020, ma il governo ha approvato una
misura per soli due anni con fondi insufficienti per affrontare
l’emergenza
di Roberto Ciccarelli
Siamo il paese
dove il rischio povertà è aumentato di più in Europa. Tra il 2008 e il
2015 – i primi sette anni di una crisi che durerà almeno per la prossima
generazione – la percentuale delle persone a rischio povertà è salita
dal 25,5% al 28,7%. Peggio di noi ha fatto solo la Grecia, passata dal
28,1% del 2008 al 35,7%. La fotografia scattata dall’Eurostat in
occasione della giornata mondiale contro la povertà, va vista insieme al
rapporto Caritas 2016 su povertà ed esclusione sociale presentato ieri.
In Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione 582 mila
famiglie, 4,6 milioni di persone. È il numero più alto dal 2005 ad oggi.
Senza contare coloro che sono in «povertà relativa»: 8 milioni 307
mila, pari al 13,7% delle persone residenti. Nel 2014 erano il 12,9% in
un settore dove si registrano le «nuove povertà» dei «working poors»,
chi lavora e non arriva alla fine del mese.
La povertà si sta
trasformando e colpisce trasversalmente alle appartenenze nazionali, i
ceti sociali e le professioni. Di solito sono gli stranieri a chiedere
aiuto ai centri Caritas. Nel 2015, soprattutto a Sud, per la prima volta
la percentuale degli italiani ha superato di gran lunga quella degli
immigrati. Se a livello nazionale il peso degli stranieri continua a
essere maggioritario (57,2%), nel Mezzogiorno sono il 66,6%. Cambia
inoltre la composizione anagrafica dei poveri. Rispetto al vecchio
modello della rappresentazione che considerava più indigenti gli
anziani, oggi la povertà «assoluta» colpisce giovani e giovanissimi in
cerca di occupazione e gli adulti rimasti senza impiego. Senza contare
la povertà infantile, ricorda Save The Children: un milione di minori
vive in povertà assoluta, mentre altri 2 in povertà relativa.Un bambino
su 10 non può permettersi un abito nuobvo, uno su 20 non riceve un pasto
proteico al giorno. Percorrendo lo spettro dell’esclusione sociale si
arriva la margine estremo: profughi e richiedenti asilo. Sui 153.842
arrivati in Italia, nel 2015 7.770 si sono rivolti alla Caritas: il
61,2% è in povertà economica (61,2%), il 55,8% soffre di disagio
abitativo.
Il sistema Caritas è tra quelli che supplisce alla
totale mancanza di assistenza e integrazione di queste persone.
L’organizzazione ritiene che il governo Renzi abbia «scardinato» lo
storico disinteresse della politica nei confronti della povertà
stanziando 1,1 miliardi in due anni, più i 500 milioni aggiunti di
recente. Ne servirebbero sette per affrontare solo la povertà assoluta.
Dati sufficienti per escludere che le due misure transitorie, il
sostegno per l’inclusione attiva (Sia) e l’assegno per la disoccupazione
(Asdi) che nel 2017 diventeranno reddito di inclusione (Rei),
costituiscano una «misura universale di contrasto alla povertà». Questo
ha detto ieri il ministro del lavoro Poletti chiudendo il cerchio di una
lunga operazione di confusione operata dal governo tra gli strumenti di
contrasto alla povertà, il reddito minimo e il reddito di base
universale. Il Rei è un mix dei primi due ed è stato presentato da
Poletti come «un sostegno economico condizionato all’attivazione di
percorsi verso l’autonomia». Di «universale» tuttavia non ha nulla
perché l’erogazione di un sussidio fino ai 400 euro sottoporrà famiglie
numerose e disagiate a un’intesa attività di profilazione, controllo e
coazione da parte dei servizi sociali e per l’impiego. Il tutto per
accettare un lavoro (quale?). Questo è l’approccio settoriale e
categoriale che non ha nulla a che vedere con il reddito minimo
garantito richiesto dall’Unione Europea sin dal 1992. L’Italia è l’unico
paese europeo, insieme alla Grecia, a non avere un simile strumento.
Per dare l’idea della sproporzione dei mezzi, per il solo RSA (Revenu de
solidaritè) la Francia spende 10 miliardi di euro l’anno. Stando ai
calcoli dell’Istat un reddito di questo tipo costerebbe in Italia tra i
14,9 e i 23,5 miliardi di euro all’anno. Cifre realistiche e alla
portata di mano. Se solo il governo avesse usato i 10 miliardi degli 80
euro e gli 11 (e anche più) miliardi di sgravi inutilmente erogati alle
imprese per il Jobs Act.
La Caritas è consapevole dei limiti
dell’operazione e si augura che il governo metta in campo «un piano che
porti all’adozione di una misura universalistica e ben congegnata contro
la povertà assoluta» entro il 2020. «Ora si tratta di capire – aggiunge
– se quanto realizzato sin qui esaurirà il percorso riformatore –
lasciandolo così perlopiù incompiuto – o invece verrà seguito dal passo
che segue: la progressiva estensione del Rei a tutti gli indigenti» e il
coinvolgimento degli enti locali. Dalle slide di Renzi sulla manovra
non sembra emergere alcun piano pluriennale di questo tipo. Per com’è
stato concepito il «Rei» potrebbe essere un altro passo per mettere al
lavoro (alcuni) poveri in condizione di ricattabilità e estrema
subordinazione.