domenica 16 ottobre 2016

il manifesto 16.10.16
Una manovra di bilancio extraistituzionale
di Alfonso Gianni

È bastata un’ora al Consiglio dei Ministri per licenziare la nuova manovra di bilancio di 26,5 miliardi di euro, che porta il rapporto deficit/pil al 2,3%. Il resto è stato lo slide show di Renzi in sala stampa. Non c’è da stupirsi di tanta rapidità. Il succo era stato già deciso prima. Fuori dalle sedi istituzionali. Si dice legge di stabilità ma in controluce si vede il cosiddetto Patto per la competitività, siglato giovedì dai Presidenti della Confindustria italiana e di quella tedesca, su input diretto ricevuto dal summit fra Renzi e Merkel di fine agosto a Maranello. Scelta del luogo davvero significativa.
«Diciamo agli imprenditori: noi vi diamo gli incentivi, ora tocca a voi» è stato il passaggio chiave di Renzi. Infatti il piano Industria 4.0, la digitalizzazione delle imprese e il superammortamento per chi investe in macchinari e beni strumentali pari al 140%, che sale al 200% per nuove tecnologie, vengono orgogliosamente presentati come i piatti forti della manovra.
Il decreto legge che l’accompagna fa sparire Equitalia, tanto odiata dalla destra, e istituisce un Fondo per le piccole e medie imprese. Mentre le coperture per l’operazione si appoggiano sul rientro dei capitali illegalmente portati all’estero a sanzioni ridotte, la voluntary disclosure, che viene dilatata almeno a tutto il 2015.
Il messaggio è forte e preciso. Il governo intende agire sempre e solo dal lato degli stimoli e delle facilitazioni alle imprese.
Non solo, ma torna a strizzare l’occhio ai trafugatori di capitali e agli evasori fiscali. Mentre conferma che l’Ires, la tassazione che interessa le imprese, scende dal 27,5% al 24%, aliquota cui possono accedere anche negozianti e artigiani, mentre un intervento perequativo generale sull’Irpef è rimandato a data da destinarsi.
I poveri invece dovrebbero attendere i successi della spending review, sui quali Bankitalia ha già espresso seri dubbi, da cui eventualmente ricavare non più di 500 milioni di incremento del loro fondo. I lavoratori del pubblico impiego si dovranno accontentare per il rinnovo dei contratti di 1,9 miliardi (spartendoli con il comparto Polizia e Forze Armate), una cifra giudicata del tutto insufficiente dai sindacati del settore che promettono battaglia (speriamo). Per i pensionati non c’è niente da gioire. La cifra a loro dedicata sale un poco nell’arco del triennio a venire per fare posto all’intervento sulla quattordicesima, contestato per la sua diseguale efficacia dallo stesso Tito Boeri. Mentre la famosa Ape, cioè l’anticipazione pensionistica viene confermata in misura e modalità che lasciano del tutto insoddisfatta quanto meno la Cgil. Infatti il requisito dei 20 anni di contributi per andare in pensione dai 63 anni e fino a tre anni e sette mesi prima, viene alzato a 30 anni per disoccupati, disabili o con disabili a carico e a 35 anni per i lavoratori attivi, anche se in lavori gravosi e usuranti.
L’impresentabile ministra Lorenzin, e il suo angelo protettore Alfano, gridano vittoria per avere riportato 2 miliardi al Fondo della sanità. In realtà questo, che avrebbe dovuto essere di 115 miliardi, riceve ugualmente un taglio, seppure inferiore, e resta pur sempre di 112 mld poiché l’ulteriore miliardo è già vincolato per spese di assunzioni e di vaccini.
Vedremo come si concluderà il contrasto con l’Ufficio parlamentare di bilancio, assai critico sulle previsioni di crescita del governo e quale sarà la reazione della Ue sul deficit maggiorato (ma Moscovici si è dimostrato comprensivo). Quello che è certo che ci sono pochi dubbi sul segno sociale e politico della legge di bilancio.
Renzi aveva detto che il referendum si vince a destra. E lo si vede bene da questa manovra.