il manifesto 15.10.16
La guerra sporca dell’Italia in Yemen
Export
di morte. «La ditta Rwm Italia ha esportato in Arabia Saudita in forza
di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente». I dati sulle
esportazioni degli armamenti made in Italy sono opachi, ma dalla
ministra della Difesa Pinotti arriva la conferma indiretta del nostro
coinvolgimento nei bombardamenti della coalizione a guida saudita che
fanno strage di civili
di Giorgio Beretta
Potrebbero
essere di fabbricazione italiana le bombe che sabato scorso hanno
colpito l’edificio a Sana’a in Yemen dove era in corso una cerimonia
funebre causando 155 morti e più di 530 feriti. Il corrispondente della
tv britannica ITV, Neil Connery, che è entrato nell’edifico poco dopo il
bombardamento, ha infatti pubblicato via twitter la foto di una
componente di una bomba che, secondo un ufficiale yemenita, sarebbe del
tipo Mark 82 (MK 82).
Altre immagini pubblicate via twitter sono
più precise: riportano la targhetta staccatasi da una bomba con la
scritta: «For use on MK82, FIN guided bomb». Segue un numero seriale:
96214ASSY837760-4. L’ordigno sarebbe stato prodotto su licenza
dell’azienda statunitense Raytheon per essere usato su una bomba MK82.
Ma non è chiara l’azienda produttrice e il paese esportatore. Che
potrebbe essere anche l’Italia.
Bombe del tipo MK82, infatti, sono
prodotte nella fabbrica di Domusnovas in Sardegna dalla Rwm Italia,
azienda tedesca del colosso Rheinmetall, che ha la sua sede legale a
Ghedi, in provincia di Brescia. E sono state esportate dall’Italia, con
l’autorizzazione da parte dell’Unità per le autorizzazioni di materiali
d’armamento (Uama).
La conferma, seppur in modo indiretto, l’ha
data mercoledì scorso (il 12 ottobre) la ministra della Difesa, Roberta
Pinotti, rispondendo a una interrogazione del deputato Luca Frusone
(M5S): «La ditta Rwm Italia – ha detto la ministra Pinotti – ha
esportato in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base
alla normativa vigente».
All’azienda Rwm Italia nel biennio
2012-13 sono state infatti rilasciate da parte dell’Uama autorizzazioni
all’esportazione per bombe aeree di tipo MK82 e MK83 destinate
all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 86 milioni di
euro. Impossibile invece sapere quante e quali bombe siano state
esportate dall’Italia all’Arabia Saudita nell’ultimo biennio: le
voluminose relazioni inviate al parlamento dal governo Renzi riportano
infatti solo il valore complessivo delle autorizzazioni all’esportazione
verso i singoli paesi e le generiche tipologie di armamento (munizioni,
veicoli terrestri, navi, aeromobili, ecc.).
Nel biennio 2014-15
il ministero degli Esteri ha autorizzato l’esportazione verso l’Arabia
Saudita di un vero arsenale militare per un valore complessivo di quasi
420 milioni di euro. Tra questi figurano «armi automatiche» che possono
essere utilizzate per la repressione interna, «munizioni», «bombe,
siluri, razzi e missili», «apparecchiature per la direzione del tiro»,
«esplosivi», «aeromobili» tra cui componenti per gli Eurifighter «Al
Salam», i Tornado «Al Yamamah» e gli elicotteri EH-101, «apparecchiature
elettroniche» e «apparecchiatire specializzate per l’addestramenti
militare». Nel medesimo biennio sono stati consegnati alle reali forze
armate saudite sistemi e materiali militari per oltre 478 milioni di
euro.
Anche le dettagliate tabelle compilate dal ministero degli
Esteri allegate alla relazione governativa che riportano tutte le
singole autorizzazioni rilasciate alle aziende produttrici mancano di un
dato fondamentale: il paese destinatario. Si può cioè sapere, ad
esempio, che nel 2015 alla Rwm Italia sono state rilasciate 24
autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 28 milioni di euro, ma
non si possono sapere i paesi destinatari.
E si può sapere che,
sempre nel 2015, alla RWM Italia è stata concessa la licenza ad
esportare 250 bombe inerti MK82 da 500 libbre insieme ad altre 150 bombe
inerti MK 84 per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro, ma
la tabella ministeriale non riporta il paese acquirente, rendendo così
impossibile il controllo parlamentare e dei centri di ricerca.
Informazioni che erano invece riportate fin dai tempi delle prime
relazioni inviate al parlamento dai governi Andreotti. E che,
incrociando le tabelle dei vari ministeri, si potevano evincere fino ai
governi Berlusconi.
Ha un bel dire la ministra Pinotti che la
relazione governativa al parlamento consentirebbe «l’attività di
verifica e di controllo così come spetta al parlamento»: se non sa cosa
di preciso si esporta verso un paese, come fa il Parlamento a
controllare?
Un dato però è certo: nel biennio 2014-5 il governo
Renzi ha autorizzato esportazioni verso l’Arabia Saudita per un valore
complessivo di quasi 419 milioni di euro: un chiaro “salto di qualità”
se si pensa che una decina di anni fa le autorizzazioni per armamenti
destinati alle forze militari saudite non superavano i dieci milioni di
euro.
Ma c’è un altro fatto certo. Nei mesi tra ottobre e dicembre
dello scorso anno dall’aeroporto civile di Elmas a Cagliari sono
partiti almeno quattro aerei Boeing 747 cargo della compagnia azera Silk
Way carichi di bombe prodotte nella fabbrica Rwm Italia di Domusnovas
in Sardegna: i cargo sono atterrati alla base della Royal Saudi Air
Force di Taif in Arabia Saudita. È proprio su queste spedizioni e su
tutti i sistemi militari che l’Italia sta inviando in Arabia Saudita che
lo scorso gennaio la Rete italiana per il disarmo ha presentato un
esposto in varie Procure. Esposto sul quale in Viceprocuratore di
Brescia, Fabio Salamone, ha aperto un’inchiesta “verso ignoti” per
presunte violazioni della legge sulle esportazioni di materiali miliari.
La Legge n. 185 del 9 luglio 1990 sancisce che l’esportazione «di
materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di
produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa
dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato
secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La Legge
vieta specificamente l’esportazione di materiali di armamento «verso i
Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi
dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il
rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse
deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere
delle Camere», nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i
principi dell’articolo 11 della Costituzione».
Dal marzo del 2015,
infatti, l’Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione che,
senza alcun mandato internazionale, è intervenuta militarmente nel
conflitto in corso in Yemen. La risoluzione n. 2216 approvata il 14
aprile del 2015 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu non legittima, né
condanna, l’intervento della coalizione a guida saudita: solo «prende
atto» della richiesta del presidente dello Yemen agli Stati del
Consiglio di cooperazione del Golfo di «intervenire con tutti i mezzi
necessari, compreso quello militare, per proteggere lo Yemen e la sua
popolazione dall’aggressione degli Houti».
Gli effetti delle bombe piovute sabato scorso su Sana’a (foto Reuters)
Cosa
sia successo da quel momento è sotto gli occhi di tutti: ad oggi sono
almeno 4.125 i civili uccisi e oltre 7.200 i feriti. Il segretario
generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha ripetutamente condannato i raid aerei
sauditi che hanno colpito centri abitati, scuole, mercati e strutture
ospedaliere, come quelle di Medici senza Frontiere: un terzo dei loro
raid ha fatto centro proprio su obiettivi civili. «Effetti collaterali»,
hanno commentato i sauditi.
Lo scorso agosto, l’Alto commissario
per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra’ad Al Hussein ha chiesto di
avviare un’inchiesta indipendente e imparziale sulle violazioni del
diritto umanitario perpetrare da tutte le parti attive nel conflitto in
Yemen. La richiesta era sostenuta dai paesi dell’Unione europea, tra cui
l’Italia, ma poi è stata ritirata dall’Ue senza alcuna motivazione. A
seguito delle pressioni saudite la proposta è stata accantonata e
pertanto si continuerà con l’inchiesta da parte delle autorità yemenite.
A
fronte della catastrofe umanitaria che sta subendo la popolazione
yemenita, già lo scorso febbraio il Parlamento europeo ha votato ad
ampia maggioranza una risoluzione con cui ha chiesto all’Alta
rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di
«avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Unione
europea e di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita»,
alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario
internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Risoluzione
che la ministra Pinotti non ha menzionato nel suo intervento in
Parlamento. Forse anche perché finora è rimasta inattuata.
Sono
continuate invece le esportazioni di armamenti dei paesi europei e gli
affari militari con le monarchie del Golfo. Per combattere l’Isis, viene
detto; che però approfittando del conflitto ha guadagnato terreno anche
in Yemen.
* Analista dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia