il manifesto 13.10.16
Italicum, commissione finta, minoranza scettica ma ci sta
Riforme.
Gianni Cuperlo dall’annuncio di dimissioni al tavolo che la sinistra Pd
non aveva votato. Bersani non ci crede, Forza Italia e 5 stelle non
sono disponibili a parlarne fino a dopo il referendum
di Daniela Preziosi
ROMA
E poi non dica di non essere stato avvertito. Non si stupisca, come
fece nell’aprile di due anni fa dimettendosi da presidente del Pd, per
essere stato sfottuto da Renzi («Gianni te lo dico con amicizia, questo
tuo riferimento alle preferenze lo avrei voluto sentire quando tu e
altri siete stati candidati nel listino»). Gianni Cuperlo entra a far
parte della commissione esplorativa per la modifica dell’Italicum votata
con la relazione del segretario alla direzione di lunedì, voto a cui – è
già un paradosso – le minoranze non hanno neanche partecipato. Una
commissione finta che Renzi ha proposto al solo scopo di mostrarsi
collaborativo con le minoranze che hanno deciso di votare No al
referendum a causa del ’combinato disposto’ fra legge elettorale e
modifica costituzionale.
Sarà Cuperlo a sedere al tavolo di una
commissione che dovrebbe partorire un abbozzo di modifiche all’Italicum
prima del referendum per – è l’idea di Renzi – «togliere» ogni alibi
alla minoranza Pd, costringerla alla resa oppure dimostrare che la
scelta del No è preconcetta. Nel ’board’ ci sono anche il vicesegretario
Guerini, il presidente Orfini e i capigruppo Zanda e Rosato. Lo
scetticismo sul successo dell’iniziativa è già ottimistico. Bersani
mette in chiaro lo spirito con cui ha detto sì: «Ho detto che era giusto
starci, andare a vedere le carte. Poi sarà consentito mantenere un po’
di cautela e anche un po’ di scetticismo». Tradotto: le minoranze non
ripongono alcuna fiducia. Del resto gli stessi renziani in queste ore
fanno circolare ironie sull’iniziativa.
Cuperlo, che alla riunione
della direzione di lunedì ha annunciato che se voterà No al referendum
si dimetterà da deputato, si mette generosamente a disposizione
dell’ultimo tentativo di mediazione con la maggioranza. Consapevole che
nel migliore dei casi incasserà l’ultima presa in giro di un Renzi che
con lui è affettuoso via sms ma davanti al partito è ruvido e a volte
tagliente. Come quando, vincendo le primarie, chiarì che l’ex sfidante
doveva apprezzare la generosità del vincitore: «Potevo fare ciao ciao e
invece sono andato in ginocchio da Cuperlo per dirgli fai tu il
presidente». «Ciao ciao» comunque glielo fece pochi mesi dopo
accogliendo con indifferenza le sue dimissioni senza chiedergli di
ritirarle, «una liturgia che non mi appartiene».
Cuperlo si dà un
tempo breve, annuncia a Otto e mezzo (La7): «La settimana prossima si
riunisce la commissione e nel giro di un paio di settimane capiremo se
davvero c’è l’intenzione di arrivare in fondo al sentiero». Lui ci crede
davvero, giura, «è un tentativo serio». E così per un paio di settimane
la minoranza non potrà fare campagna per il No e dovrà restare appesa a
questa finta ipotesi.
Anche perché già dalle premesse si capisce
che il bluff si svelerà per quello che è. Maggioranza e minoranze non
sono d’accordo neanche su quello che dovrebbe discutere il tavolo. Per i
renziani da lì bisogna sondare gli altri partiti, per l’opposizione lì
deve essere ricercato un accordo del partito.
Le conseguenze del
malinteso che tutti fingono di non vedere sono lampanti. Cuperlo chiede
che sia Renzi ad «abbozzare una proposta del Pd per una nuova legge
elettorale». La maggioranza Pd la pensa al contrario e indica come
’mission’ quella espressa dalla relazione del segretario in direzione:
tre i punti su cui fare proposte di modifiche (ballottaggio, premio alla
coalizione anziché alla lista, capilista bloccati): ma la proposta non
sarà un’iniziativa del governo. La commissione infatti avrà «il compito
di sondare gli altri partiti, raccoglierne le indicazioni, e solo dopo
formalizzare una proposta del Pd». Anzi dal Nazareno spiegano che «il
modo migliore per far fallire questo tentativo è avanzare subito una
proposta del Pd, che sarebbe impallinata da tutti gli altri gruppi».
Quanto alle altre forze politiche, nessuna ha intenzione di sedersi
intorno a un tavolo che il capogruppo forzista Renato Brunetta definisce
«ridicolo» e che all’ex presidente della commissione affari
costituzionali della Camera sembra «la solita, vecchia applicazione dei
principi del manuale Cencelli per dare spago alle varie correnti
interne».
Neanche i 5 stelle e Sinistra Italiana hanno alcuna
intenzione di discutere di legge elettorale. E questo per la stessa
ragione per cui Renzi temporeggia: la nuova legge dipenderà innanzitutto
dal risultato referendario, e poi anche dalla sentenza della Consulta.
Insomma, è il segreto di pulcinella il fatto che la modifica della legge
elettorale non sia all’ordine del giorno. Persino il Nazareno fa fatica
a tenere la parte della recita: «Il segretario ha preso un impegno di
fronte alla direzione e in streaming, se poi non si fidano e vogliono
rompere…», spiega un dirigente, «Non possiamo inseguirli per sempre,
fanno più danni al Pd così che non rompendo e schierandosi apertamente
per il No».