il manifesto 12.10.16
Retromarcia Bersani, «scissione mai» Il No è il fischio d’inizio del congresso
Democrack
Riforme. L’ex segretario:«Nessuno mi butterà fuori dal mio partito,
cioè da casa mia. Servirebbe l’esercito. Cuperlo si sfila? Gesto
personale». Italicum, una commissione non si nega a nessuno. Ma il tempo
è scaduto, nel Pd al via i comitati del No
di Daniela Preziosi
ROMA
Un passo avanti, due indietro. È bastata tornare a evocare sui giornali
la scissione che Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza si sono
precipitati in Transatlantico – ieri mattina – a spiegare ai cronisti
che avevano capito male. «Nessuno mi butterà fuori dal mio partito, cioè
da casa mia. Ci può riuscire solo la Pinotti schierando l’esercito»,
scherza amaro l’ex segretario. Anche il giovane ex presidente dei
deputati esclude la rottura: «Qualunque sia l’esito del referendum
lavorerò con tutte le mie energie per tenere unito il Pd. Per me la
scissione non esiste».
Certo, il solitario colpo di teatro di
Gianni Cuperlo – l’annuncio delle dimissioni da deputato se dovesse
finire per votare no al referendum – ha messo tutti i suoi compagni in
difficoltà. Grazie a quello che in pubblico viene definito «gesto
generoso» nella giornata di ieri ha iniziato a spirare un venticello
assai poco gentile nei confronti della minoranza Pd, un venticello che
sussurrava: «Ma non dovrebbero dimettersi tutti quelli che hanno votato
sì per tre volte alla modifica costituzionale ed ora invece si sono
trasformati in attivisti del No?». Tesi inedita nel mondo democratico,
ma evidente il contagio a 5 stelle avanza. Bersani gela i buttafuori:
Cuperlo si dimetta, «ma dimettersi non è una linea politica. Qualcuno
dovrà pur rimanere».
Rimarranno loro, dunque, quel che resta dei
bersaniani, reduci dei tempi in cui erano maggioranza schiacciante: meno
di tre anni fa. Oggi la minoranza è tormentata fra la fuga verso il
nulla della propria base e la resistenza dei quadri desiderosi di
rientrare in gioco,in qualche modo, al congresso del 2017. Dalla parte
del tormento ci sono i «non comitati» dei Democratici per il No, ormai
partiti e in rotta di allontanamento dal Pd. «Non sarò il portavoce del
No», giura Bersani, ma «c’è un pezzo della nostra gente che stiamo
perdendo. E non c’entrano i sondaggi che vengono citati sull’80 per
cento del nostro elettorato pronto a votare Sì al referendum. Quei
sondaggi comprendono tutti coloro che si dicono disposti a votare il Pd.
Ma quanti erano quelli disposti a votare il Pd dopo le europee?».
Dalla
parte della resistenza ci sono invece i parlamentari. Per i quali la
scelta del No dovrebbe essere depurata dell’aura triste y final che i
media le costruiscono intorno. «Non è che dopo il referendum sulla
Repubblica i Dc che votarono monarchia sono andati via», ragiona ancora
Bersani. E Nico Stumpo, ex uomo macchina dei suoi tempi, ricorda che
«sulle questioni costituzionali non c’è alcun vincolo di partito». E
dunque comunque vada il referendum non c’è nessun automatismo vverso la
scissione. E nessuna ragione politica: se vincerà il No il Pd sarà
investito da un ciclone in cui è difficile capire chi resterà in piedi;
se vincerà il Sì forse sarà interesse di Renzi coprirsi il proprio
fianco sinistro; motivo per il quale guarda di buon occhio i movimenti
discreti intorno all’ex sindaco Giuliano Pisapia.
La minoranza
resistente vuole fare la sua parte a congresso, e prendersi la sua quota
di consenso: e di candidati. Contro «chi vuole semplificare all’eccesso
con un’idea che rischia di tagliare le radici» rappresentando «chi
pensa a un Pd che vuole una sinistra larga, un Pd che si offre al Paese
come forza di governo ma non può fare tutto da solo», ancora Bersani.
Anche lui ha incontrato Pisapia e anche lui lo guarda come possibile
riferimento di una sinistra radical ma alleabile.
Quanto alla
scelta del No, quella è presa. Anche se «un tavolo non si nega a
nessuno». Ieri Speranza e Cuperlo hanno confermato la l disponibilità
alla commissione proposta da Renzi per discutere di un nuovo Italicum,
convinti però che sia Renzi a doversi fare carico della proposta. Anche
perché nella riunione della direzione Pd si sono sentite idee diverse,
almeno una per corrente. E ieri era tutto un fiorire di ipotesi e
emendamenti alle ipotesi. Della commissione faranno parte il
vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente Matteo Orfini (giovane
turco), i capigruppo Zanda e Rosato (entrambi area Franceschini), e poi
un esponente delle minoranze che sarà indicato oggi. Forse anche il
ministro Martina vuol far sedere la sua componente al tavolo. Per la
prima e unica volta che si riunirà, il tempo di prendere atto che non
c’è più tempo.