il manifesto 12.10.16
L'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida
La via giudiziaria: «Stop al referendum su un solo quesito»
Riforma
costituzionale. Piovono ricorsi. L’ex presidente della Consulta Onida
si rivolge al giudice di Milano e al Tar, già coinvolti. Arrivano altri
tribunali
di Andrea Fabozzi
Piovono ricorsi
contro il referendum costituzionale, nella speranza di alzare una diga
giudiziaria laddove sono falliti tutti i tentativi politici di frenare
la corsa del presidente del Consiglio. Il ricorso, anzi i ricorsi, di
ieri si segnalano soprattutto perché a proporli è l’ex presidente della
Corte costituzionale Valerio Onida. Costituzionalista autorevole,
avversario della riforma costituzionale Renzi-Boschi, sei mesi fa aveva
promosso un appello per il No sottoscritto da 55 suoi colleghi che si
concludeva con una nota critica sul quesito referendario, che essendo
unico «fa prevalere in un senso o nell’altro ragioni politiche estranee
al merito della legge». Per la stessa ragione, e cioè per tutelare il
diritto al voto libero che un solo Sì o un solo No su una riforma
complessa non garantiscono, ieri Onida ha depositato un ricorso al
tribunale civile di Milano con procedura d’urgenza e uno al Tar del
Lazio,
I «processi» al referendum si accavallano. A Milano pende
quello sollevato dagli avvocati Tani, Bozzi e Zecca per le identiche
ragioni sostenute adesso da Onida – il manifesto ne aveva parlato il 22
settembre -, la prossima udienza è prevista per il 20 ottobre a meno che
la prima sezione civile non decida di unificare i procedimenti (cosa
che allungherebbe i tempi e Onida non si augura affatto). La richiesta
alla giudice in entrambi i casi è che venga rimessa alla Corte
costituzionale la legge 352 del 1970 che disciplina i referendum, nella
parte in cui non prevede l’obbligo di quesiti omogenei e la possibilità
di più quesiti differenziati anche per il referendum costituzionale
(com’è per il referendum abrogativo, dopo due sentenze del 1978 e del
1987 della Corte costituzionale). Il tribunale civile però, quando anche
decidesse di investire la Consulta, non può fermare il treno del
referendum, in calendario il 4 dicembre. Ed è impossibile che la Corte
decida in tempo. Al più si porrebbe un problema politico, e cioè quello
di far votare gli italiani per cambiare la Costituzione su un quesito
che potrebbe essere, poi, dichiarato incostituzionale.
Il Tar
potrebbe invece sospendere il decreto del presidente della Repubblica
che ha convocato le urne, e dunque il referendum. È quello che chiede
Onida, come già prima di lui gli avvocati Palumbo e Bozzi e i
parlamentari di Sel e M5S De Petris e Toninelli. Questi ultimi hanno
chiesto al giudice amministrativo una decisione urgente nel merito,
sollevando il problema del quesito sulla scheda, giudicato ingannevole e
non rispettoso della legge (che è sempre la stessa 353/70) perché non
riporta l’elenco degli articoli della Costituzione che sarebbero
modificati dalla riforma. Sul punto il Tar deciderà il prossimo 17
ottobre e in teoria potrebbe ordinare una riformulazione del quesito,
facendo inevitabilmente slittare la data del referendum. Onida, e con
lui Barbara Randazzo, docente di diritto pubblico a Milano, chiedono
invece che anche il Tar rimetta la questione della costituzionalità
della legge sul referendum alla Consulta, ma che soprattutto nel
frattempo sospenda il decreto del presidente della Repubblica e dunque
questo referendum. Altrimenti, si spiega nel ricorso, il diritto al voto
libero sarebbe irreparabilmente leso.
Onida, da ex presidente
della Consulta che cita in giudizio il presidente della Repubblica e
mezzo governo (per ragioni tecniche), ha contato ben dieci «aspetti
autonomi» contenuti nella riforma – dalle modifiche al senato
all’elezione del capo dello stato, dall’abolizione del Cnel alle novità
nei rapporti stato-regioni – sui quali considera sbagliato chiedere agli
elettori un solo Sì o un solo No. Ma non trascura di criticare la
formula messa a punto dagli uffici del Quirinale nel decreto firmato da
Mattarella, dove si parla di «referendum confermativo» cedendo alla
retorica renziana, quando il referendum costituzionale è semmai
oppositivo: «La circostanza che in questo caso sia stato chiesto anche
dalla maggioranza non può avere l’effetto di trasformare la natura della
consultazione».
A sostegno dell’iniziativa di Onida si è mossa la
rete degli avvocati «anti-Italicum» di Felice Besostri, che ha già
portato la legge elettorale davanti alla Consulta. Ricorsi analoghi
saranno presentati in altri tribunali italiani, tra i primi Trieste,
Genova, Perugia Napoli e Salerno. E venerdì arriverà al Tar del Lazio un
nuovo ricorso contro il quesito unico, firmato questa volta dai
radicali Magi e Staderini e dal professor Lanchester.