il manifesto 11.10.16
Italicum, la proposta Renzi è una trappola
Direzione
Pd. Il segretario alla minoranza: facciamo una commissione per studiare
le modifiche alla legge elettorale, ma dopo il referendum. Mi chiedete
l'autocritica sulla fiducia? Siamo alle allucinazioni, è stato giusto
metterla
di Andrea Fabozzi
Matteo
Renzi maltratta la minoranza Pd come poche volte in passato – e sì che
tenero non è mai stato – poi la blandisce con una proposta di
mediazione. Che è l’ultima, avvertono i suoi pretoriani presentando
l’offerta come un dono prezioso. In realtà è un imbroglio: sia la legge
per l’elezione dei senatori, sia soprattutto le modifiche alla legge per
l’elezione dei deputati – l’Italicum – sono rimandate a dopo il
referendum. Renzi lo dice chiaramente nell’introduzione: la proposta è
quella gracilissima di una commissione di studio. Ma anche questa
«ovviamente non possiamo farla durante la campagna elettorale. La faremo
dopo il referendum, entro la fine dell’anno». Franceschini, cogliendo
qualche tentennamento nella minoranza, mischia un po’ le carte:
cominciamo subito, troviamo un’intesa in tempi brevi sulle modifiche
all’Italicum. Renzi però anche nelle conclusioni è chiarissimo: «Non
basta trovare la quadra nel Pd. Bisogna andare a vedere cosa pensano gli
altri partiti, si potrà fare nelle due settimane successive al
referendum».
«È solo un passo», dice Gianni
Cuperlo. «Non basta», dice Roberto Speranza. Ma la minoranza, bersaniani
e cuperliani, alla fine non partecipa al voto, come tradizione. Non
vota contro e in questo modo potrà partecipare alla commissione per le
modifiche all’Italicum. Ci saranno quattro esponenti della maggioranza
renziana (Guerini, Orfini e i due capigruppo) più uno della minoranza
«scelto da loro. Ma possiamo fare anche due non c’è problema». Dovranno
andare a sentire gli altri partiti «anche il M5S», fare un po’ di
ammuina. Nessun mandato preciso, nessuna proposta del segretario del
partito che quando ha voluto imporre l’Italicum ha messo la fiducia. Al
contrario mandato ampio a discutere di tutto: «Ballottaggio sì o no,
premio di maggioranza sì o no, collegi, liste bloccate o preferenze». In
pratica si potrebbe ricominciare da zero. E lo si dovrà fare
necessariamente solo se vincesse il no. Intanto Bersani e Speranza
devono decidere come votare. Anzi, hanno già deciso, voteranno no. Renzi
ha fatto la sua mossa per togliergli «l’alibi», parola scelta per
mortificare ulteriormente la posizione della minoranza.
L’altra
offerta di «mediazione» è altrettanto ingannevole. Riguarda il sistema
di elezioni dei senatori, che secondo la riforma costituzionale è così
complicato da essere quasi impossibile. Si prevede insieme che i nuovi
senatori non siano eletti dai cittadini ma dai consiglieri regionali, ma
anche che siano scelti secondo le indicazioni dei cittadini. Fu questa
la (confusa) mediazione che convinse la minoranza Pd a votare a favore
della riforma (voti determinanti al senato), e per questo 24 senatori
della minoranza (primo firmatario Fornaro) hanno presentato da nove mesi
una proposta che prevede due schede per i cittadini in occasione del
rinnovo dei consigli regionali. Ignorata fin qui, ma adesso Renzi dice
che è pronto a prenderla come testo base, ovviamente dopo il referendum.
Perché, spiega – e questa volta è vero – la presidenza del senato non
ammette che si discuta una legge di attuazione di una modifica
costituzionale ancora eventuale. Solo che nulla avrebbe impedito alla
maggioranza del Pd, se veramente ci avesse creduto, di farla sua già da
tempo o di cercare un’intesa con gli alleati. La verità è che con questa
riforma trovare un sistema di elezione dei senatori che tenga conto
della volontà dei cittadini sembra un’impresa impossibile; è destinato a
fare strada il sistema «provvisorio» che affida la scelta
esclusivamente ai consiglieri regionali.
Al
punto in cui siamo, Renzi non poteva sperare di conquistare il Sì di
Bersani e dei suoi – lo stesso Sì che hanno detto, ha ragione su questo
il segretario, per tre volte alla camera e tre volte al senato, salvo
rarissime eccezioni. Riuscirà però a dare la sensazione che
dell’Italicum si può discutere, discutere soltanto fino al referendum.
Dopo è un altro mondo. Eppure Renzi ha mostrato i segni di qualche
preoccupazione. Non solo nel body language, e non solo perché ha
eccezionalmente letto un testo invece di parlare a braccio. Ma anche
perché ha caricato al massimo sui rischi di un’eventuale vittoria del
No, mettendola al pari di una vittoria di Trump, della Brexit o di un
successo di Orban. Poi ha attaccato i suoi avversari interni: «Polemiche
autoreferenziali», «mancanza di coerenza», «non ho vissuto un solo
giorno senza attacchi». E ha paventato, in caso di sconfitta, la «fine
del Pd».
E alla fine risulta più duro di
Speranza e probabilmente anche di Cuperlo l’intervento del ministro
Orlando, leader dei giovani turchi alla ricerca di una terza via tra
maggioranza e opposizione. «Il segretario non deve usare l’argomento che
occuparsi della legge elettorale è parlar d’altro, mi aspettavo
aperture più consistenti, sull’Italicum è giusto dire che si è cambiato
idea perché allora il tripolarismo non era così consolidato». Nella
replica, le uniche precisazioni di Renzi sono per lui: «Non è vero, il
tripolarismo c’era anche quando abbiamo fatto l’Italicum. Il
ballottaggio lo abbiamo previsto per questo». Perché al segretario
l’Italicum piace. Adesso vuole solo far finta di cambiarlo.