Corriere La Lettura 9.10.16
I Medici
Una dinastia del XXI secolo
di Marco Pellegrini
Pontefici, granduchi due regine di Francia
Casata
di ricchi banchieri, i Medici assumono di fatto la guida di Firenze
nella prima metà del Quattrocento con Cosimo il Vecchio, cui subentrano
Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico. Morto quest’ultimo (1492), i
Medici sono cacciati da Firenze (1494), ma la riprendono nel 1512 e nel
1513 Giovanni de’ Medici diventa papa Leone X. Nel 1523 un altro Medici,
Giulio (figlio di un fratello del Magnifico), sale al soglio pontificio
come Clemente VII. Dopo alterne vicende i Medici diventano duchi di
Firenze (1532) e granduchi di Toscana (1569). Il primo granduca è Cosimo
I, figlio di Maria Salviati (nipote del Magnifico) e di Giovanni dalle
Bande Nere, discendente di un fratello di Cosimo il Vecchio. La dinastia
dura fino a Gian Gastone, morto nel 1737. Due donne di casa Medici,
Caterina e Maria, furono regine di Francia.
L’imminente
comparsa sullo schermo televisivo di una fiction a puntate dedicata
all’ascesa di casa Medici può essere interpretata come riprova di quanto
persistente sia il potere di fascinazione di questa dinastia, alla
quale il nostro immaginario associa lo splendore della Firenze
rinascimentale. L’operazione mediatica, che coinvolgerà attori del
calibro di Dustin Hoffman, si può annoverare tra gli effetti che, a
oltre mezzo millennio di distanza, continua a produrre il successo di
alcune strategie praticate dai maggiori esponenti della casata, a
cominciare da Cosimo il Vecchio (1389-1464) che, come noto, fu colui che
la impose come dominante sulla scena politica.
Le intuizioni
avute da Cosimo nella scalata sembrano tratte dal vademecum
dell’imprenditore disceso in campo. Anzitutto, il dovere per il ricco di
non impoverirsi nel servire lo Stato, ma di usare le leve del comando
per diventare ancora più ricco e comprarsi amici e nemici. L’esordiente
Cosimo si avvalse di un ingente patrimonio finanziario che suo padre,
Giovanni di Bicci, aveva accumulato grazie a buone entrature nella curia
papale. Moltiplicando il giro d’affari di quella che divenne la
principale banca d’Europa nella prima metà del Quattrocento, Cosimo si
impose come il creditore di fiducia del papato e di alcuni sovrani ad
esso collegati, tra cui Francesco Sforza. Il fortunato condottiero,
divenuto duca di Milano, ricambiò i favori fornendo ai Medici protezione
armata contro gli inconvenienti della lotta politica interna a Firenze:
un’altalena di regolamenti di conti che poteva costare ai perdenti
l’esilio e la confisca dei beni.
In un contesto nel quale la
faziosità faceva tutt’uno con l’invidia sociale, Cosimo dimostrò di
conoscere bene una verità che suo nipote Lorenzo il Magnifico
(1449-1492) avrebbe condensato in una frase lapidaria: «A Firenze si può
mal vivere ricchi senza lo Stato». La logica della sopravvivenza
imponeva che le famiglie più abbienti scendessero nell’arena della
competizione politica per conquistare il governo della città e mettere
al sicuro le fortune proprie e quelle dei propri amici, nel quadro di
pratiche che adombravano il concetto di spoils system , ossia la
distribuzione dei profitti della politica tra soci e finanziatori del
partito al potere. Firenze non rappresentava affatto un’eccezione: le
città dell’Italia del tardo Medioevo pullulavano di facoltosi capiparte
che riuscirono a insediarsi quali signori e così si arricchirono ancor
più, esponendosi nel contempo al rischio della rovina nel gioco della
distribuzione delle risorse tra i loro famelici aderenti.
Scenario
della transizione al sistema capitalistico, l’Italia fu il laboratorio
in cui assurse a evidenza la ferrea legge secondo cui la potenza
economica tende alla conquista del potere politico di cui ha bisogno per
consolidarsi. Guardando al panorama odierno vengono alla mente nomi
famosi, come quelli di Berlusconi e di Trump, a convalida di una
diagnosi che vediamo rispecchiata nei meccanismi di governo delle
società avanzate e specialmente di quelle regolate dai meccanismi
pubblici e occulti della competizione liberista. Ma già i Medici
costituirono un esempio a suo modo perfetto di come una schiatta di
plutocrati potesse riproporsi di prendere d’assalto le istituzioni della
rappresentanza comunale e riuscirci, in barba all’ossequio che essi
dovettero formalmente prestare alle tradizioni comunali.
Lavorando
dall’interno, i Medici lasciarono in vita gli organi della Repubblica
fiorentina, ma li occuparono sistematicamente, collocandovi i propri
partigiani ed estromettendo tutti gli altri. In tal modo resero
dipendente dal loro potere arbitrale il funzionamento della cosa
pubblica. Alcuni metodi da loro utilizzati sembrano giustificare
l’accusa di tirannide e di corruttela, sollevata a loro carico da
censori del calibro di Savonarola. Per scoraggiare gli oppositori, il
partito mediceo maneggiò in modo spietato la ripartizione del carico
fiscale, concedendo ai propri aderenti un trattamento assai leggero. I
nemici vennero invece ridotti in gramaglie a furia di tasse, fino al
punto da costringere i più vessati alla bancarotta o alla fuga
all’estero. Del patrimonio immobiliare da loro lasciato vacante fecero
naturalmente incetta i dominatori e i loro accoliti.
Maestri nel
captare il consenso senza disdegnare l’adulazione più sfacciata, i
Medici gestirono la propria immagine pubblica dando fondo a stratagemmi
che si possono considerare anticipatori di fenomeni che sembrerebbero
tipici dei nostri tempi, come ad esempio la demagogia.
Lo stile
pesantemente oligarchico e restrittivo, nonché le tendenze
aristocratizzanti, che portarono la casata a cercare l’apparentamento
con le più illustri famiglie d’Italia e d’Europa, non impedirono ai
Medici di atteggiarsi ad amici e benefattori del popolo. Sia Lorenzo il
Magnifico che suo figlio Giovanni, Papa con il nome di Leone X dal 1513
al 1521, blandirono il popolo di Firenze con spettacoli e cerimonie che
volsero in occasioni per sottolineare come la grandezza della città e la
potenza della casata dovessero considerarsi tutt’uno. Entrambi amarono
richiamarsi al mito dell’età dell’oro per invitare il popolo fiorentino a
dormire sonni tranquilli, finché il timone dello Stato era in mano a
uomini d’affari facoltosi e generosi come loro. Al contrario, gli
oppositori vennero denunciati come autori di macchinazioni sovversive
che avrebbero nuociuto al benessere della città. Fu questo lo stigma di
antipatriottismo che il partito mediceo rovesciò sui partecipanti alla
congiura dei Pazzi (1478): il cui fallimento, come ben giudicò
Machiavelli, fu il più grande favore che Lorenzo de’ Medici ricevette
dai suoi nemici, paragonabile a quanto recentemente occorso a Erdogan in
Turchia.
Sarebbe unilaterale ridurre i Medici a campioni di
astuzie machiavelliche, come indubbiamente furono, senza ricordare le
geniali concezioni che li spinsero a praticare altre e ben più nobili
tecniche di gestione del potere, come la politica di immagine. Un ambito
entro cui va ricondotta la fama, certamente meritata, che si
conquistarono come mecenati. Le committenze furono però dettate tanto
dalla raffinatezza del gusto quanto da un istinto pervasivo, anch’esso
tipico della mentalità imprenditoriale applicata alla politica come
mercato delle percezioni. Nei monumenti che continuano a parlarci di
loro vanno visti degli investimenti quanto mai azzeccati, con i quali i
Medici si assicurarono la gloria nella sua forma più efficace: la
perpetuità. La giustezza dei loro calcoli verrà misurata anche dal
successo di audience che riscuoterà la fiction che li farà rivivere sul
piccolo schermo.