domenica 9 ottobre 2016

Corriere La Lettura 9.10.16
Come è cambiata la santità:
«Esploro il confine sottile tra le mistiche e le streghe»
Parla lo studioso ungherese Gábor Klaniczay, vincitore del Premio internazionale per la storia. In queste pagine abbiamo chiesto a Luigi Accattoli di selezionare dieci personaggi canonizzati nel passato con decisioni che oggi appaiono controverse
intervista di Amedeo Feniello a Luigi Accattoli

Medievista
Nato in Ungheria nel 1950, professore di Studi medievali alla Central European University (Ceu) di Budapest, Gábor Klaniczay è stato di recente insignito del Premio internazionale per la storia 2016 del Comitato internazionale di scienze storiche, una specie di Nobel. Studioso dei santi, ha pubblicato su questo tema diverse opere, tra cui: The Uses of Supernatural Power (Princeton University Press, 1990); Procès de canonisation au Moyen Âge (École française de Rome, 2004); Saints of the Christianization Age of Central Europe (Ceu Press, 2012). Ha curato inoltre il volume Discorsi sulle stimmate dal Medioevo all’età contemporanea (Edizioni di storia e letteratura, 2013)

Gábor Klaniczay ha davvero in sé qualcosa dell’intellettuale medievale. Allievo di Jacques Le Goff e autore di numerose opere sulla religiosità e la santità, ha vissuto da vero e proprio «studente vagante», con esperienze e reti di relazioni che sono andate dagli Stati Uniti all’Europa. Di recente, l’International Committee of Historical Sciences gli ha attribuito il Premio internazionale per la Storia, che gli verrà consegnato a Mosca nel settembre 2017.
Come vede oggi l’Europa da storico?
«Io sono molto legato all’idea politica e culturale di Europa, e questa attrazione si appoggia su una visione fondata sull’esperienza medievale. L’Occidente medievale fu una combinazione di universalismi e particolarismi. Da un lato: l’Impero e la Chiesa. Dall’altro, una molteplicità di piccoli e più grandi poteri e costumi locali, una varietà di lingue, una rete di dipendenze personali, tante e molteplici forme di associazione: arti, confraternite, corporazioni, comuni...».
E dal suo punto di vista personale?
«Come vedo l’Europa di oggi? Con molta angoscia. Abbiamo avuto due decenni euforici dopo la caduta della cortina di ferro, una ricostruzione della comunità europea con un allargamento clamoroso — compreso anche il mio Paese, l’Ungheria. Ora siamo di nuovo in una situazione dove i muri che vengono alzati sono tanti. Impressionanti. E vedo che queste stesse tendenze si manifestano quasi ovunque. Ma spero che l’Europa avrà le capacità per resistere a questi pericoli».
Prima del 1989 quanto era facile per uno studente d’oltrecortina fare esperienza all’estero?
«L’Ungheria era il Paese socialista più aperto grazie ai suoi contatti internazionali già dalla fine degli anni Sessanta. Per viaggiare c’erano limiti finanziari e c’era sempre un controllo politico, ma la maggioranza dei giovani riusciva a muoversi. Io sono stato fortunato, anzi privilegiato, essendo figlio di uno storico della letteratura del Rinascimento di fama internazionale. Il suo invito in Francia tra 1967 e 1968 fu un’occasione anche per me di passarvi, come diciottenne, un anno intero (e che anno!). Ho girato in Europa molto come studente, anche in Italia, dove ho imparato la lingua e ho potuto partecipare nel 1973 a un corso alla Fondazione Cini a Venezia; lì ho conosciuto molti grandi medievisti, da Georges Duby a Raoul Manselli».
Poi Le Goff...
«Prima di lui Michel Mollat, organizzatore di un seminario eccezionale sulla storia della povertà, che vide convergere, per la prima volta, storici della Cristianità medievale e esperti di storia sociale e antropologica. Di Le Goff invece ho amato la sua capacità di vedere in ogni soggetto storico la possibilità di nuove inchieste, con una sua visione sempre coinvolgente e stimolante».
Lei è un esperto di agiografia: può spiegare che importanza può avere negli studi storici?
«Il culto dei santi è un fenomeno complesso. L’agiografia — gli studi delle leggende e gli scritti liturgici sui santi — ne costituisce un elemento centrale, ma c’è anche l’iconografia, vi sono i santuari, le guarigioni miracolose, le feste, i pellegrinaggi... Ho molto imparato su questi temi dalla collaborazione con colleghi italiani come Sofia Boesch Gajano e francesi come André Vauchez. Di tale soggetto mi hanno interessato vari aspetti: la combinazione di culti religiosi e politici, la santità regale, i processi di canonizzazione, il meccanismo dell’evento miracoloso, il ruolo prominente delle donne nella santità medievale, con personaggi affascinanti come santa Elisabetta o santa Margherita d’Ungheria».
Santità mistica e visionaria: qual è il confine che gli uomini del Medioevo immaginavano per non cadere nella stregoneria?
«La dichiarazione di avere un contatto immediato, personale, con il sovrannaturale è spesso pericolosa: la Chiesa l’ha sempre considerata con sospetto, come una concorrenza al suo monopolio di mediazione: e parecchi mistici, profeti, visionari dovettero difendersi dall’accusa di eresia... La mistica femminile, con le visioni non solo sul Cristo, ma anche delle tentazioni del diavolo, è stata contestata di più verso la fine del Medioevo: la mistica Marguerite Porete fu bruciata come eretica nel 1310 a Parigi; le rivelazioni di Brigida di Svezia furono molto dibattute; l’eroina visionaria Giovanna d’Arco fu condannata al rogo come eretica e “maga” nel 1431. Dopo questa sentenza, nei tempi moderni, molte mistiche furono sottoposte a questa alternativa: santa o strega?».
Lei si è occupato anche delle streghe...
«Il mio interesse per le streghe è cresciuto parallelamente all’interesse per i santi, e ad entrambi erano attribuite capacità sovrannaturali. Con molte somiglianze: i segni del loro statuto sovrannaturale — i miracoli o i malefici — erano verificati attraverso un processo giuridico, di canonizzazione o di stregoneria, con testimonianze esaminate secondo i criteri raffinati dell’agiografia o della demonologia. La storia dei processi di stregoneria, inoltre, costituisce un campo privilegiato dell’antropologia storica, una metodologia che mi ha stimolato sin dagli studi con Le Goff. Le streghe e i táltos (stregoni benefici ungheresi simili ai benandanti friulani) mi hanno anche aiutato ad avere uno scambio fruttuoso con Carlo Ginzburg».
Lei ha studiato il fenomeno delle stigmate: che dire su san Francesco e sul nuovo santo nazionale, padre Pio?
«Avrei tanto da dire su questo tema perché, in questo momento, sto scrivendo proprio un libro sulla storia delle stigmate. San Francesco mi affascina molto, la sua stigmatizzazione è un miracolo emblematico della spiritualità medievale per capire a fondo il sacrificio di Cristo. Vivere l’esperienza del dolore corporale della Passione è un’invenzione medievale che ha trovato una folla di imitatori, più di trecento fino ai nostri giorni. E la maggioranza furono donne, come Caterina da Siena. Padre Pio, con tutte le controversie mediche, inquisitoriali e politiche sulle sue stigmate e col trionfo popolare (e ufficiale) del suo culto, rappresenta invece un’altra faccia di questo tipo di santità».
Torniamo all’Europa. C’è speranza per gli studi storici, come strumento di consapevolezza?
«Negli ultimi decenni ho potuto osservare un’interessante rinascita degli studi storici in Europa centrale. Cui però è seguito un certo conservatorismo metodologico, col coinvolgimento degli studi nelle dispute nazionalistiche, trasponendo sul piano storiografico le vecchie animosità reciproche. Come reagire? Facendo muovere i giovani, creando reti internazionali, recuperando la storia nella “lunga durata”, perché solo partendo dal Medioevo universalistico si può capire bene l’idea d’Europa. Il significato di una tale visione fu l’argomento col quale ho convinto George Soros a finanziare un dipartimento di Studi medievali alla Central European University di Budapest nel 1992, dove abbiamo progettato una formazione interdisciplinare senza compartimentazioni, che coinvolgesse tutti, dagli storici delle varie discipline agli antropologi. Con aperture verso l’esterno, in modo da non rinchiuderci nelle tradizioni nazionali. Insomma, come diceva Duby, l’histoire continue e deve continuare a sopravvivere, come comune base della nostra identità europea».