domenica 9 ottobre 2016

Corriere La Lettura 9.10.16
Indigeni in mostra come allo zoo, Il versante esotico del razzismo
di Eleonora Belligni

Dagli irsuti selvaggi delle Canarie ai moretti cortigiani; dai «cannibales» di Montaigne ai canoisti eschimesi, fino al caso tragico di Sartjie Baartman, la Venere Ottentotta, monstrum mirabile di rara fama: per secoli gli abitanti degli altri continenti, approdati in Europa, furono mostrati come gingilli esotici e attrazioni da fiera. Tra Ottocento e Novecento, tuttavia, il fenomeno assunse una forma inedita, più difficile da interpretare: quella delle etno-esposizioni viventi.
Un bel libro di Guido Abbattista, Umanità in mostra (Edizioni Università di Trieste, 2013), racconta come, nell’Italia liberale e fascista, gruppi di «indigeni» fossero esibiti in «villaggi» riprodotti in dettaglio, per simulare la vita selvaggia nelle colonie. Tristemente note come «zoo umani», queste ricostruzioni conquistarono un posto d’onore nelle grandi esposizioni nazionali e internazionali, dove il mito del progresso sposò la celebrazione dell’avventura coloniale. Esse nutrirono per decenni l’ideologia imperialista e l’auto-rappresentazione dell’Occidente civilizzatore; anche se poi, migrando in altri contesti, nelle mani di missionari, medici e antropologi, finirono col perdere i contorni netti del manifesto razzista. Come narra l’epopea di sei assabesi esibiti a Torino, si rivelarono talvolta farse crudeli, le cui vittime, oltre agli indigeni, furono gli stessi spettatori. Nel dipingere uno dei volti più scabrosi della supremazia occidentale, il libro mostra come esotismo e razzismo viaggino su vie convergenti, lastricate magari da buone intenzioni, e nondimeno costruite su pulsioni di dominio, sopraffazione e sfruttamento del diverso.