Corriere La Lettura 9.10.16
Ramon Llull aka Raimondo Lullo (Palma di Maiorca 1232 - 1316)
L’eremita che immaginò il computer
Filosofia
e scienza L’infinitamente grande, pur nascendo da poche strutture
semplici, è più grande di quanto riusciremo mai a pensare. Eppure nel
Medioevo Ramon Llull aveva capito come affrontarlo
La «grande
arte» del pensatore iberico combina metafisica e logica: i suoi principi
combinatori sono la radice dei calcolatori odierni
di Carlo Rovelli
Il filosofo
Ramon
Llull (Raimondo Lullo, tra il 1233 e il 1235-1315) fu un filosofo,
teologo, mistico e missionario catalano che scrisse almeno 256 libri in
catalano, latino e arabo. La logica combinatoria di Lullo e la sua
mnemotecnica influenzarono filosofi e matematici fino all’Illuminismo
Bibliografia Non molti dei suoi libri sono tradotti in italiano. Esiste
una traduzione di una versione semplificata del suo sistema fatta da
Llull stesso, con il titolo Arte breve (introduzione, traduzione e
apparati di Marta M. M. Romano, presentazione di Alessandro Musco, con
testo latino a fronte, Bompiani, 2002). In inglese sono stati pubblicati
i Selected Works of Ramon Llull (Princeton University Press, 1985)
mentre una descrizione del suo sistema e dettagliate informazioni sulla
sua influenza, specialmente sull’informatica, si possono trovare in
Ramon Llull: From the Ars Magna to Artificial Intelligence, curato da
Alexander Fidora e Carles Sierra (www.iiia.csic.es/ library/Llull.pdf).
Da segnalare il Libro dell’amico e dell’amato (in italiano ne esistono
diverse edizioni, la più recente è uscita quest’anno per le Edizioni
Qiqajon della Comunità di Bose, introduzione di Francesc Torralba
Roselló, traduzione e note a cura di Federica D’Amato): un libro
sull’amore, travestito da testo mistico, come il Cantico dei Cantici
Nel
1274, alla fine di un lungo eremitaggio sul Picco di Randa, nell’isola
di Maiorca, Ramon Llull concepisce — per rivelazione divina, dice —
l’idea di una grande opera che diventa cuore e obiettivo della sua vita:
la creazione di un complesso sistema che chiama la sua «Arte», ovvero
la Ars Magna . L’«Arte Grande» di Llull è uno strano e complesso sistema
in bilico fra metafisica e logica, espresso in forma di tavole, grafici
e cerchi mobili di carta che si possono ruotare e sovrapporre per
generare combinazioni arbitrarie di concetti elementari fondamentali.
Con questo sistema, Ramon Llull intendeva mettere ordine nel mondo e
convertire ebrei e musulmani al cristianesimo.
Questi obiettivi,
direi, non li ha raggiunti. Ma l’influenza del suo strano sistema è
stata vastissima. Giordano Bruno e Montaigne, due fra i pensatori alle
radici della modernità, hanno preso ispirazione da lui. Ma è stato
sopratutto Leibniz a cogliere il nocciolo dell’ Arte Grande di Llull,
ripulirla da aspetti medievali e cercare di trarne una lingua razionale
universale, ribattezzandola «arte combinatoria», con l’obiettivo di
tradurre l’intera razionalità in calcolo. Un’applicazione diretta di
questa idea è la prima macchina per calcolare ideata da Gottfried
Wilhelm Leibniz, progenitrice riconosciuta di tutti i computer odierni.
Ma la stessa idea è alla base degli sviluppi moderni della logica, da
Friedrich Ludwig Gottlob Frege al positivismo logico, pensata come
grammatica universale della razionalità.
L’ Arte di Llull è radice
profonda di non piccola parte del pensiero e della tecnologia moderna, e
fa del grande intellettuale catalano una delle voci più originali e
influenti del Medioevo europeo. Uno strumento tecnico centrale nella
fisica di cui mi occupo, solo per fare un esempio marginale, è dato dai
grafi: immagini che codificano il modo in cui un certo numero di
elementi sono connessi fra loro; i grafi sono stati inventati da Ramon
Llull.
Alla radice della strana potenza dell’arte combinatoria c’è
un fatto semplice. Lo racconta bene una famosa leggenda nell’epica Il
libro dei Re di Ferdowsi, il massimo poeta persiano. Il sapiente che
inventò il gioco degli scacchi, un uomo chiamato Sissa ibn Dahir, ne
fece dono a un grande re indiano. Il re, ammirato e grato, chiede al
sapiente come può ricompensarlo, e il sapiente risponde: «Dammi un
chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la
seconda, quattro per la terza, e così via raddoppiando fino all’ultima
casella della scacchiera».
Il re è stupito da tanta modestia e
ordina subito di esaudire la richiesta. Ma qual è il suo stupore quando i
suoi attendenti vengono a riferirgli che tutti i granai del regno non
bastano a soddisfare quello che chiede il sapiente! Il conto è presto
fatto: solo per l’ultima casella, che è la sessantaquattresima, serve un
numero di chicchi pari a due moltiplicato 64 volte per se stesso, e
questo fa 18 miliardi di miliardi di chicchi. Se un chicco pesa un
grammo, sono diecimila miliardi di tonnellate di grano. E solo per
l’ultima casella! Dante, nel XXVIII canto del Paradiso usa proprio
questa leggenda per dire «molti molti»: «Ed eran tante, che ’l numero
loro/ più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla».
Che cosa
significa il fatto che da cose tanto piccole possa nascere un numero
tanto grande? Significa una cosa semplice: il numero di combinazioni è
generalmente molto più grande di quanto immaginiamo istintivamente.
Combinando poche cose semplici, si può ottenere un’inaspettata vastità
di cose, e queste possono essere arbitrariamente varie e complicate. Non
è solo il numero delle combinazioni a stupirci: è anche la loro
varietà. Pensate alla natura intorno a noi. La fisica ci ha fatto
comprendere che tutto ciò che vediamo non è generato che da una ventina
scarsa di particelle che interagiscono attraverso poche forze
elementari. I pochi tasselli di questo semplice Lego producono foreste e
montagne, cieli stellati e gli occhi delle ragazze.
Ma lo spazio
di ciò che può esistere è ancora più grande del già sterminato spazio di
ciò che esiste. Pensate alle proteine che formano la struttura di tutti
gli esseri viventi terrestri. Una proteina è più o meno una sequenza di
alcune decine di aminoacidi. Gli aminoacidi sono una ventina. Ci viene
subito in mente di produrre tutte le possibili proteine e studiarle:
questo ci permetterebbe di capire tutte le possibili strutture della
materia vivente, perfino di anticipare l’evoluzione della vita
terrestre... Ma c’è un problema: il conto è presto fatto e le
combinazioni possibili di una ventina di aminoacidi in catene di qualche
decina di elementi sono talmente numerose che anche se riuscissimo a
produrre una proteina diversa ogni secondo, l’intera vita dell’universo
non sarebbe sufficiente per produrre che una piccolissima parte di tutte
le proteine possibili... In altre parole, lo spazio delle possibili
strutture della vita è ancora quasi del tutto inesplorato: non solo da
noi ma anche dalla natura.
La prima intuizione sull’immensità
dello spazio aperto dalla complessità l’aveva già avuta Democrito, 24
secoli fa. Democrito aveva compreso che l’intera natura poteva essere
costituita solo da atomi e, scriveva, sono le combinazioni degli atomi a
generare la complessità della natura «così come le combinazioni delle
poche lettere dell’alfabeto possono generare commedie o tragedie, poemi
epici o storie buffe».
La nostra intuizione arretra di fronte agli
immensi numeri e alla sterminata varietà generati dalle combinazioni.
Come il re della storia persiana, ci sembra impossibile che combinando
cose semplici possano nascere tante cose e tanto complesse. Per questo,
io credo, ci sembra così inconcepibile che cose complesse come la vita o
il nostro stesso pensiero possano emergere da cose semplici: perché
istintivamente sottovalutiamo le cose semplici. Non le crediamo capaci
di tanto. Numeri generati da chicchi di grano e una scacchiera non
possono certo svuotare i granai del regno! E invece sì.
Il nostro
cervello contiene circa cento miliardi di neuroni, ciascuno di questi è
legato ad altri neuroni da congiunzioni, le sinapsi. Ogni neurone ha
alcune migliaia di sinapsi. Quindi ciascuno di noi ha in testa centinaia
di migliaia di miliardi di sinapsi. Ma non è questo il numero che
determina lo spazio possibile dei nostri pensieri. Lo spazio dei nostri
pensieri è (almeno) lo spazio delle combinazioni possibili in cui
ciascuna sinapsi è attiva o no. E questo numero è due moltiplicato per
se stesso non 64 volte come nella fiaba del sapiente persiano, bensì
centinaia di migliaia di miliardi di volte. Il numero risultante è un
numero stratosferico, per scriverlo servirebbero migliaia di miliardi di
cifre «tante, che ’l numero loro,/ molto più che ’l doppiar de li
scacchi s’inmilla»! Neanche la cosmologia più scatenata tratta con
numeri così grandi. Questo numero quantifica l’immenso spazio del
pensabile, di cui noi non abbiamo esplorato che un angolino
infinitesimo. È lo spazio sterminato aperto dalle combinazioni,
dall’arte del combinare, l’ Ars Magna , l’Arte Grande, di Ramon Llull.