domenica 30 ottobre 2016

PRIMO PIANO

Corriere La Lettura 30.10.16
L’era del fondamentalismo nichilista
«La strana coppia»: il Bene e il Male
Contraddizioni. Ecco come una convinzione indiscussa si trasforma in un’assenza di convinzione. Così una grave crisi dei valori culturali giunge a intaccare quelli biologici
di Edoardo Boncinelli

La storia ci mette spesso davanti a fenomeni veramente paradossali. Prendiamo quello più attuale: il fondamentalismo che sembra condurre al nichilismo, come dire che una convinzione indiscussa si trasforma in un’assenza di convinzione e di motivazione. Diverse forme di fondamentalismo si sono manifestate e imposte nel mondo di oggi, di natura religiosa, politica o politico-religiosa, a sfondo inequivocabilmente identitario. Fondamentalismo, si sa, chiama fondamentalismo, e vengono così rivendicate sempre nuove identità, storiche e culturali, spesso erroneamente definite razziali o etniche. In sé e per sé, il fenomeno non avrebbe niente di preoccupante, se non fosse che in alcuni casi il fondamentalismo si associa a una pericolosa strategia terroristica e mette a rischio individui, gruppi sociali e manifestazioni artistiche considerate come incarnazioni e simboli di una diversa identità vista come antagonista.
Al momento l’esempio che primo viene alla mente è quello del terrorismo islamico, ma non è certamente il solo caso che ci si può attendere per il futuro. A questa sorta di «guerra per bande» reale o potenziale, si aggiungono manifestazioni psicologicamente e socialmente più oscure e preoccupanti, come il disprezzo sovrano per la propria e l’altrui vita e la distruzione «incomprensibile» di opere d’arte del passato, come le vestigia della città di Palmira e le statue di roccia dei Buddha asiatici. Queste ultime manifestazioni possono anche essere prese come fenomeni prodotti da un atteggiamento fondamentalmente nichilista che sembra contrastare grandemente con le motivazioni del fondamentalismo e del fanatismo stessi.
«Il disprezzo della propria vita» è stato celebrato da sempre come una virtù fondamentale dell’eroe e del martire. Si trattava però di disprezzo potenziale. Poteva accadere che l’eroe perdesse la vita in un’azione, ma non si trattava di un’evenienza certa. In moltissimi attentati compiuti oggi è spesso, invece, il deliberato suicidio di uno o più attentatori lo strumento essenziale dell’operazione di annientamento di molti «nemici» che sono spesso dei civili di tutte le età.
Insomma, «si spara nel mucchio», sacrificando vite di adepti e simpatizzanti, in un processo che ha forse l’unico antecedente storico nel sacrificio degli aviatori kamikaze giapponesi nell’ultimo conflitto mondiale. Tale conflitto ha anche anticipato un fenomeno ormai molto diffuso: la morte di molti civili piuttosto che di soldati definiti e schierati. I due ordigni atomici sganciati sul Giappone dalle forze americane alla fine della Seconda guerra mondiale hanno rappresentato il vertice del fenomeno della strage cieca di civili, che avevano però ancora una precisa collocazione territoriale. Il sacrificio deliberato della propria vita e di quella di molte persone che sono probabilmente, ma non sicuramente, nemici, sono eventi che caratterizzano fortemente molte delle attuali operazioni terroristiche, segnate anche piuttosto chiaramente dall’assenza di una precisa separazione territoriale. La perdita della propria vita da parte degli attentatori passa da evento sporadico a stratagemma sistematico. A tutto ciò va anche aggiunto l’impiego sempre più diffuso di ragazzi e perfino bambini.
Tale disprezzo per i valori esistenziali si accompagna spesso a operazioni che rivelano un certo disprezzo per quelli che noi consideriamo valori artistici, anche se atti vandalici del genere non sono necessariamente portati a compimento dalle stesse persone che seminano la propria e l’altrui morte.
A noi ciò fa particolarmente effetto perché ci siamo da tempo eletti solerti custodi del cosiddetto patrimonio culturale, ma anche a ragionare con mente più fredda e «utilitaristica», si tratta della perdita innegabile e irreversibile di risorse che potrebbero essere oggetto di viaggi turistici e quindi di cospicui introiti. Sembra, insomma, che questo tipo di fanatismo voglia chiudere le porte anche al futuro, una sorta di «muoia Sansone con tutti i Filistei» che congela l’oggi e distrugge lo stesso procedere del tempo in un disegno nichilistico totale e assoluto. I soliti bene informati e i «pensatori di professione», che spiegano sempre tutto, ma non prevedono mai niente, diranno ora che ogni forma di fondamentalismo estremo è intrisa di nichilismo, ma a me non pare. Credo anzi che occorra capire.
Nessuno sa quale possa mai essere il senso della vita, ma più o meno consapevolmente tutti ce lo chiediamo, incuranti del fatto che nessuno ci abbia mai garantito che ne esista uno, come pure che la domanda stessa abbia un senso. Sia come sia, questa è una nostra necessità, tanto per chi la domanda se la pone apertamente, quanto per chi non se la pone, ma assume tacitamente che qualcuno conosca la risposta.
Sembra che gli altri animali, anche i più simili a noi, non se la pongano e vivano sullo slancio, finché c’è respiro. Anche se nessuno può dire con certezza come stiano per quelli le cose, sembra che gli altri animali vivano e basta, sostenuti da una batteria di spinte istintuali guidate dall’istinto di conservazione (e dall’urgenza di perpetuare la specie). A tutto questo si è aggiunta nel caso nostro la cultura, che ha introdotto i valori, gli obblighi, i divieti, gli obiettivi, le speranze e più in generale la progettualità. E per ultima «la strana coppia»: il Bene e il Male.
In questa selva di spinte e controspinte biologiche e culturali noi trascorriamo la nostra esistenza di individui in un contesto sociale e naturale, forti delle nostre memorie, delle nostre aspettative, e della capacità di compararle, in un processo mentale (e verbale) praticamente illimitato. Il fondamentalismo non è una di quelle cose che uno può tenere per sé, come la fede e le speranze. Il fondamentalismo va messo in atto, accompagnato da varie forme di fanatismo, ed esibito, in gruppi identitari ristretti, oppure nell’ambito della propria terra o sulla ribalta mondiale, con gesti dimostrativi e proteste ben orchestrate. Il nocciolo psicologico di tutto ciò è la convinzione di essere assolutamente nel vero e che altri, invece, sono assolutamente nel falso.
La cosa non è certo nuova nella storia, ma pare che le condizioni al contorno dell’esistenza di molti gruppi umani del mondo d’oggi siano particolarissime, e non lascino, per così dire, scampo. Forse è proprio questo il punto: l’estremismo infantile di alcuni gruppi sa solo mirare a tutto o a nulla. E se tutto non si può avere, allora è meglio il nulla; la rinuncia alle prorogative umane per affidarsi totalmente al «non si sa mai» di forze superiori, le quali, storicamente non hanno mai portato a nulla.
D’altra parte il nichilismo assoluto non può non contrastare con l’istinto di conservazione e le altre istanze biologiche. In casi estremi il nichilista nega anche la propria sopravvivenza e il suo legame con la parte biologica di noi. Le contorsioni e l’estraniazione di alcune costruzioni culturali possono quindi allontanarci anche dalla nostra alleanza con la base biologica. Può accadere insomma che una grave crisi dei valori culturali possa giungere a intaccare anche quelli animali. Come nel suicidio e nell’anoressia. Il collettivo poi sembra fatto apposta per amplificare i problemi individuali.

Repubblica 30.10.16
Per Bergoglio le religioni dovrebbero affratellarsi a partire da quelle monoteistiche
Francesco Lutero e il valore condiviso della Riforma
di Eugenio Scalfari

IL 31 OTTOBRE del 1517 Martin Lutero affisse sulla porta della cattedrale di Wittenberg le sue 95 tesi che inaugurarono ufficialmente la religione luterana, ma già l’anno prima il contenuto di quelle tesi era stato elaborato e reso pubblico nelle riunioni dei monaci agostiniani dei quali Lutero era stato nominato vicario generale.
Si dà il caso che in quella stessa data si compie domani mezzo millennio. Il nostro papa Francesco non poteva esimersi dal partecipare a questa ricorrenza che sarà celebrata a Lund in Svezia dai luterani guidati dal rappresentante mondiale di quella religione. La messa sarà naturalmente celebrata da loro. Papa Francesco vi parteciperà pregando e poi terrà un discorso sulla Riforma.
Ho avuto l’onore di ricevere tre giorni fa una telefonata da Lui che desiderava — così mi ha detto — parlare con me di quella Riforma che ebbe un’enorme importanza per tutta la Chiesa e mise in moto allora il luteranesimo ma, in seguito, l’intera galassia protestante che conta ormai nella sua interezza 800 milioni di fedeli. I luterani veri e propri sono una minoranza, 80 milioni in tutto, cioè un decimo del protestantesimo. I cattolici sono un miliardo e trecento milioni.
SE SI aggiungono gli ortodossi, gli anglicani, i valdesi, i copti, si superano i 2 miliardi di anime fedeli. Papa Francesco sa che ho studiato abbastanza a fondo la vita di Lutero e la sua Riforma e mi sono chiesto quale sia il rapporto di Francesco con le altre Chiese cristiane al di là dei riti e delle credenze.
Francesco — è bene ricordarlo — crede nell’unicità di Dio. Questo significa che tutte le religioni, a cominciare da quelle monoteistiche ma anche le altre, credono in quel Dio al quale arrivano ciascuna attraverso le sue Scritture, la sua teologia, la sua dottrina e i suoi canoni. Tutte quindi dovrebbero affratellarsi e questo è il risultato che Francesco persegue pur essendo ben consapevole che ci vorranno molti e molti anni per ottenerlo.
Ma per quanto concerne le altre Chiese cristiane l’obiettivo non è soltanto l’affratel-lamento ma addirittura l’unificazione. Non sembri un’incongruenza se dico che l’unificazione delle Chiese cristiane è ancora più difficile dell’affratellamento con le altre religioni. La ragione di questa difficoltà è comprensibile: la loro unificazione mette in gioco anche le strutture liturgiche e canoniche e deve riguardare anche origini scissionistiche di cui quella luterana fu cronologicamente la prima. Forse la seconda se si considerano i catari il cui movimento religioso avvenne nel XIV secolo e provocò addirittura una Crociata contro di loro ed il loro annientamento anche fisico da parte di truppe mobilitate dai Signori della Provenza. I soli religiosamente e fisicamente risparmiati furono i seguaci di Pietro Valdo. La Chiesa valdese è ancora presente in poche comunità in Piemonte ed anche a Roma, ma conserva un’autorevolezza amorevole. Papa Francesco ne incontrò l’anno scorso i dirigenti a Torino e chiese addirittura il perdono a nome della cattolicità per quella deplorevole Crociata che bagnò di sangue esseri umani, anch’essi avviati sulla strada del male per difendere la propria vita.
Per concludere la prima parte di queste riflessioni aggiungo che Lutero toccò il culmine della sua vita di riformatore negli anni che vanno dal 1510, quando cominciò a condannare la simonia della Chiesa di Roma con la vendita delle cosiddette indulgenze e fu scomunicato dal papa mediceo Leone X, fino alle tesi di Wittenberg del 1517 e fino al 1520. Ma poi il suo pensiero cambiò e altrettanto i suoi atti. Volle essere il sovrano assoluto della sua Chiesa, diventò conservatore, prepotente, si sposò, si mischiò con la politica e alla fine decise che i luterani dovevano far guerra non soltanto ai cattolici ma a tutte le Chiese protestanti, da quella di Calvino e agli Ugonotti francesi. Decise infine che i luterani dovevano essere soltanto l’unica religione della Germania.
Papa Francesco infatti celebrerà a Lund soltanto il Lutero riformatore. La sua vita successiva non lo riguarda. Non so se lo dirà esplicitamente a Lund. A me l’ha detto e ritengo opportuno riferirlo.
***
Ma il tema sul quale mi ha più a lungo intrattenuto riguarda la Riforma della Chiesa. Della sua Chiesa: la Misericordia e quindi i poveri, la loro accoglienza se sono immigrati, quale che sia la loro religione o nessuna. È probabile che su questo tema Francesco parli anche a Lund e il giorno successivo a Malmö, dove incontrerà i cattolici di quella regione con l’occasione delle ricorrenze dei Santi e dei morti nel calendario ecclesiastico.
La Misericordia, alla quale è intitolato il Giubileo da Lui indetto e tuttora in corso fino alla fine di quest’anno, non è la stessa cosa del perdono. È un dono spirituale che il Signore fa a tutti noi per il solo fatto d’averci creato e che noi a nostra volta dobbiamo fare a tutti nei modi e nei bisogni che dimostrano e che ciascuno di noi deve fare al prossimo. Questa è la tesi di papa Francesco. Si dirà — ed è vero — che questa è anche la tesi della Chiesa, in teoria. Ma nella pratica sono molti i vescovi che la applicano in modo restrittivo. L’esempio più lampante riguarda le comunità e le famiglie. Molti vescovi e molti sacerdoti lesinano o addirittura negano il loro dono di misericordia a chi non è in linea con i canoni ecclesiastici.
Francesco non la pensa così e su questo adotta il punto centrale della Riforma luterana quando supera l’intermediazione dei sacerdoti tra i fedeli e Dio. Il rapporto è diretto: ogni singolo che cerca Dio può naturalmente valersi dell’incoraggiamento e perfino dell’intermediazione dei sacerdoti, ma può anche cercare e trovare quel rapporto con Dio direttamente: si tratta di una necessità che la sua anima sente ed è l’anima che cerca, trova e ne è illuminata.
Ricordate l’Innominato del Manzoni quando, dopo essere stato per molti anni il signore del male sente improvvisamente dentro di sé un immenso dolore e il bisogno d’esser misericordioso con le sue vittime e chiede di incontrarsi col cardinale Borromeo che lo esorta e gli spiega come dentro di lui è nata la misericordia e il desiderio di avere un rapporto con Dio. Questo ci dice con grande efficacia il Manzoni su come nasce nell’anima la misericordia e quale sia la funzione del clero.
Questa in realtà è la profonda ragione che ha spinto Francesco ad esser presente a Lund nel giorno di ricorrenza dei 500 anni della Riforma luterana. La Chiesa ha sempre accettato anzi incoraggiato il rapporto diretto delle anime con Dio ma al tempo stesso ha ribadito che quel rapporto diretto si compie attraverso il clero che amministra i sacramenti. Di fatto avviene così ed è sempre avvenuto ma in un tempo assai remoto erano i fedeli stessi ad amministrare i sacramenti e l’eucarestia in particolare, l’unico sacramento che Gesù creò, secondo tutti i Vangeli, durante l’ultima Cena trasformando il pane ed il vino nel suo corpo e nel suo sangue.
I cristiani dei primi secoli così facevano ed è questa — a guardar bene — l’intima essenza di quanto pensa l’attuale Pontefice non nella forma ma certamente nella sua sostanza.
La Misericordia di Francesco è la rivoluzione che sta compiendo e che non è affatto facile. Implica perfino aspetti evidenti di politica religiosa, quando vede in prospettiva una società spiritualmente globale, integrata dalle culture, dalla fratellanza e amicizia fraterna degli spiriti. Così si spiega anche il nome del Santo di Assisi che si affratellava con tutto ciò che vive, dal lupo al fiore, dai fratelli in Cristo fino ai musulmani. E perfino (è vero Francesco?) con sorella morte. Così abbiamo pensato e in parte abbiamo detto insieme, affratellando due persone di diverso sentire e di diverso modo di vivere. Tutti sono fratelli perché diversi ed è questa la bellezza della vita.

vedi anche nella sezione “Cultura di “Segnalazioni”, gli articoli sul tema di Tonia Mastrobuoni , di Agostino Paravicini Bagliani e di Gianfranco Ravasi

Corriere La Lettura 30.10.16
Il management pastorale

Business planning , marketing, bilancio e analisi costi-benefici. Si studia tutto questo alla Pontificia Università Lateranense. Non nella laurea in economia ma nella Scuola internazionale di management pastorale giunta alla sua terza edizione. Preti, religiosi e laici iscritti al corso studieranno anche raccolta di fondi nelle imprese no-profit, impresa sociale, risorse umane, tecniche di problem solving creativo e teamwork , comunicazione strategica, public relations e public speaking . Per i responsabili della Scuola non c’è contraddizione tra il linguaggio, gli strumenti, la logica delle imprese e il mondo della pastorale. Al contrario, la competenza è necessaria per servire meglio il prossimo. «Il bene fatto bene» è lo slogan. Serve lo studio della gestione d’impresa, si legge nel materiale informativo, per rendere «l’opera di carità ancora più fruttuosa, più bella e coinvolgente». Occorre progettare i bisogni pastorali della comunità e gestire le risorse economiche perché fioriscano le comunità sul territorio, e soprattutto nella Chiesa di Papa Francesco, per un vero servizio agli immigrati e all’ambiente. In uno studio recente, Breda Gray dell’Università di Limerick ha raccolto la testimonianza di decine di cattolici impegnati nell’accoglienza degli immigrati in Irlanda. C’è bisogno di volontari perché lo Stato non ha mezzi; è la solidarietà post welfare . Nelle interviste emerge la convinzione che l’impegno dei credenti, proprio in quanto non professionale, assicuri un’accoglienza migliore, più calda e meno manageriale di quella degli assistenti sociali. Alla Lateranense si scommette invece su un cattolicesimo vestito da impresa. Competente ed efficiente.

Il Sole Domenica 30.10.16
Noam Chomsky e l’evoluzionismo
E all’improvviso fu il linguaggio
di Arnaldo Benini

Per Noam Chomsky il linguaggio umano è un evento senza precedenti e analogie. Perché solo noi? La risposta di Chomsky è naturalisticamente fondata. Le scienze naturali del linguaggio, nonostante le critiche, in particolare a questo libro scritto con l’informatico Robert Berwick, sono ancora alle prese con le idee geniali di Chomsky. Nel 1959 egli ripudiò (Language (35, 26-58,1959) la teoria, molto condivisa, del filosofo empirista B. F. Skinner, secondo la quale comunicazione animale e linguaggio sarebbero aspetti del comportamento imposto dall’ambiente. Gesti, movimenti e grida degli animali sarebbero antecedenti del linguaggio. Il contributo di chi parla all’acquisizione della lingua sarebbe insignificante, tutto dipendendo da fattori ambientali.
Chomsky obiettò che il passaggio dei meccanismi cerebrali della comunicazione animale all’uomo avrebbe dovuto lasciare una traiettoria evolutiva di cui non c’è traccia. Non c’è animale, nemmeno lo scimpanzé col quale condividiamo il 97% del genoma, che metta insieme due parole. Nessuna lingua, neanche quella di popolazioni isolate, ha tratti in comune con la comunicazione animale. Le proprietà essenziali della facoltà umana, secondo Chomsky, sarebbero emerse quasi all’improvviso (rispetto ai consueti tempi evolutivi) grazie, «a un ricablaggio probabilmente leggero» del cervello, in concomitanza, forse, con un discreto aumento del suo volume, circa 80mila anni fa, in una popolazione dell’Africa orientale.
Negli scimpanzé le aree corrispondenti al linguaggio sono più strutturate di quelle delle altre scimmie, ma molto meno che nell’uomo. Chomsky porta ad esempio il grande giro arcuato fra le aree della produzione e della comprensione del linguaggio, negli scimpanzé appena accennato. Negli scimpanzé le aree avrebbero iniziato a svilupparsi, per rimanere poi allo stato di 2 milioni d’anni fa. Perché? La spiegazione più verosimile è che il linguaggio umano non è sorto come mezzo della comunicazione.
Al suo sorgere, e ancora oggi, il linguaggio – per Chomsky e altri linguisti e biologi, fra cui Francois Jacob – era ed è principalmente lo strumento dell’autocoscienza. Col linguaggio interiore nacquero la mente e il pensiero, più tardi la comunicazione. Pensiero e autocoscienza sono eventi dei lobi cerebrali prefrontali, che presero ad evolvere circa 2 milioni e 200mila anni fa, nella linea evolutiva dell’Homo. Non bastano le aree motorie e sensorie per parlare, bisogna avere qualcosa da dire. Quando i meccanismi nervosi del pensiero interiore furono connessi al sistema sensomotorio, nacque il linguaggio parlato, più tardi quello scritto. Ventimila anni dopo quella popolazione avrebbe preso a emigrare, portando nel cervello e diffondendo la struttura cerebrale del linguaggio.
Per Chomsky essa è la base della grammatica universale, esternalizzazione del parenchima cerebrale delle aree del linguaggio e matrice innata di tutte le lingue, anche di quella gestuale. Essa consente a chi sa bene una lingua di capire senza difficoltà enunciati mai sentiti prima e di crearne infiniti nuovi, come avviene nei bambini a partire dai 5-6 anni. La spiegazione razionalista di Chomsky della creatività del pensiero e del linguaggio è la più verosimile. Sordomuti hanno sviluppato una comunicazione gestuale in cui la categoria grammaticale del soggetto è all’inizio di ogni frase (PNAS 27,19249-19253,2005).
Grazie all’universalità dei meccanismi nervosi della grammatica i bambini imparano senza difficoltà la lingua madre, e anche più di una, e il messaggio di ogni lingua è traducibile in qualunque altra. La facilità d’apprendimento delle lingue in cui si cresce è un’eredità biologica specificatamente umana. Negli ultimi 50mila anni non sembra esser cambiato nulla di biologico: le aree frontali del cervello hanno prodotto un’evoluzione culturale che, dice Tattersall, dal linguaggio interiore dopo pochi millenni ha portato l’uomo sulla luna, mentre fino ad allora l’evoluzione culturale era stata lentissima. Sull’origine del linguaggio le opinioni divergono fra neuroscienziati, di regola consenzienti con la grammatica universale, e antropologi: molti pensano che esso sia talmente connesso alla condizione umana da dover essersi sviluppato in un tempo lunghissimo, simultaneamente forse all’evoluzione dei lobi prefrontali.
Ciò lascia senza replica l’obiezione di Chomsky, ribadita e accentuata nel libro, che un’evoluzione lenta e graduale deve lasciare tracce di stadi intermedi. In un mare di critiche, anche molto aspre, sembra naufragare la nuova teoria con la quale Chomsky e Berwick, avventurandosi nel terreno infido della spiegazione degli eventi della coscienza, spiegano come dalla materia del cervello della grammatica universale sia sorto, quasi improvvisamente, il linguaggio. Esso sarebbe comparso in seguito alla fusione (“merge”) di elementi sintattici in un’espressione più ampia. La capacità di “fondere” due (ad esempio libro e leggere in leggere il libro), poi migliaia di parole dei meccanismi della grammatica universale sarebbe la levatrice di tutte le lingue.
Essa si sarebbe manifestata inizialmente in un solo membro, che Chomsky chiama Prometeo, della popolazione africana che per prima acquisì il linguaggio. La critica più demolitiva della teoria senza dati è riportata nell’Economist (26 marzo 2016): la biografia di Chomsky ha in comune con Einstein che entrambi i geni scrissero le opere fondamentali in gioventù.
Robert C. Berwick, Noam Chomsky, Perché solo noi. Linguaggio
ed evoluzione , Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 188, € 22
Ian Tattersall, At the Birth of Language, New York Review of Books, August 18, 2016

Il Sole 30.10.16
«Non solo economia ma anche informazione sociale»
A Pordenone. Il Sole 24 Ore tra i premiati per l’editoria religiosa
di Carlo Marroni

ROMA «Non solo economia, ma anche informazione umanistica, sociale e religiosa». Questa la motivazione del premio assegnato al Sole 24 Ore nella prima edizione del Premio Internazionale all’editoria religiosa, consegnato ieri a Pordenone nell’ambito della decima edizione della manifestazione “La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone”, per iniziativa della Lev – diretta da don Giuseppe Costa, che ha stimato per l’editoria religiosa una crescita del 5% superiore al mercato editoriale - e dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), che ha visto la presenza del presidente Giancarlo Abete. Il premio, presentato da Francesca Fialdini, è intitolato alla memoria del past president dell’associazione, Angelo Ferro. In particolare per il Sole 24 Ore il premio cita l’attenzione posta da molto tempo ai temi religiosi dalla “Domenica”, oltre all’informazione economica «per la quale rappresenta una guida esemplare e metodologicamente efficace». A ricevere il premio anche il quotidiano Avvenire, con il direttore Marco Tarquinio, e Famiglia Cristiana, diretta da don Antonio Sciortino. Gli altri premi sono andati a: USCCB (USA), Paulist Press (USA), Crossroad Publishing (USA), Verlag Schnell & Steiner (Germania), Bayard Édition (Francia), Biblioteca de Autores Cristianos (Spagna), Edizioni Cantagalli (Italia), Editrice Shalom (Italia) e al fotografo Giovanni Chiaramonte. Tra i presenti per la consegna dei premi monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede.

sul tema del Padre, vedi , nella sezione “Cultura” di “Segnalazioni” l’articolo di Paolo Di Paolo e l’intervista di Stefania Parmeggiani a Massimo Recalcati (oggi presente sul quotidiano di Scalvari addirittura in doppia dose)