PRIMO PIANO
Corriere La Lettura 30.10.16L’era del fondamentalismo nichilista
«La strana coppia»: il Bene e il Male
Contraddizioni.
Ecco come una convinzione indiscussa si trasforma in un’assenza di
convinzione. Così una grave crisi dei valori culturali giunge a
intaccare quelli biologici
di Edoardo Boncinelli
La
storia ci mette spesso davanti a fenomeni veramente paradossali.
Prendiamo quello più attuale: il fondamentalismo che sembra condurre al
nichilismo, come dire che una convinzione indiscussa si trasforma in
un’assenza di convinzione e di motivazione. Diverse forme di
fondamentalismo si sono manifestate e imposte nel mondo di oggi, di
natura religiosa, politica o politico-religiosa, a sfondo
inequivocabilmente identitario. Fondamentalismo, si sa, chiama
fondamentalismo, e vengono così rivendicate sempre nuove identità,
storiche e culturali, spesso erroneamente definite razziali o etniche.
In sé e per sé, il fenomeno non avrebbe niente di preoccupante, se non
fosse che in alcuni casi il fondamentalismo si associa a una pericolosa
strategia terroristica e mette a rischio individui, gruppi sociali e
manifestazioni artistiche considerate come incarnazioni e simboli di una
diversa identità vista come antagonista.
Al momento l’esempio che
primo viene alla mente è quello del terrorismo islamico, ma non è
certamente il solo caso che ci si può attendere per il futuro. A questa
sorta di «guerra per bande» reale o potenziale, si aggiungono
manifestazioni psicologicamente e socialmente più oscure e preoccupanti,
come il disprezzo sovrano per la propria e l’altrui vita e la
distruzione «incomprensibile» di opere d’arte del passato, come le
vestigia della città di Palmira e le statue di roccia dei Buddha
asiatici. Queste ultime manifestazioni possono anche essere prese come
fenomeni prodotti da un atteggiamento fondamentalmente nichilista che
sembra contrastare grandemente con le motivazioni del fondamentalismo e
del fanatismo stessi.
«Il disprezzo della propria vita» è stato
celebrato da sempre come una virtù fondamentale dell’eroe e del martire.
Si trattava però di disprezzo potenziale. Poteva accadere che l’eroe
perdesse la vita in un’azione, ma non si trattava di un’evenienza certa.
In moltissimi attentati compiuti oggi è spesso, invece, il deliberato
suicidio di uno o più attentatori lo strumento essenziale
dell’operazione di annientamento di molti «nemici» che sono spesso dei
civili di tutte le età.
Insomma, «si spara nel mucchio»,
sacrificando vite di adepti e simpatizzanti, in un processo che ha forse
l’unico antecedente storico nel sacrificio degli aviatori kamikaze
giapponesi nell’ultimo conflitto mondiale. Tale conflitto ha anche
anticipato un fenomeno ormai molto diffuso: la morte di molti civili
piuttosto che di soldati definiti e schierati. I due ordigni atomici
sganciati sul Giappone dalle forze americane alla fine della Seconda
guerra mondiale hanno rappresentato il vertice del fenomeno della strage
cieca di civili, che avevano però ancora una precisa collocazione
territoriale. Il sacrificio deliberato della propria vita e di quella di
molte persone che sono probabilmente, ma non sicuramente, nemici, sono
eventi che caratterizzano fortemente molte delle attuali operazioni
terroristiche, segnate anche piuttosto chiaramente dall’assenza di una
precisa separazione territoriale. La perdita della propria vita da parte
degli attentatori passa da evento sporadico a stratagemma sistematico. A
tutto ciò va anche aggiunto l’impiego sempre più diffuso di ragazzi e
perfino bambini.
Tale disprezzo per i valori esistenziali si
accompagna spesso a operazioni che rivelano un certo disprezzo per
quelli che noi consideriamo valori artistici, anche se atti vandalici
del genere non sono necessariamente portati a compimento dalle stesse
persone che seminano la propria e l’altrui morte.
A noi ciò fa
particolarmente effetto perché ci siamo da tempo eletti solerti custodi
del cosiddetto patrimonio culturale, ma anche a ragionare con mente più
fredda e «utilitaristica», si tratta della perdita innegabile e
irreversibile di risorse che potrebbero essere oggetto di viaggi
turistici e quindi di cospicui introiti. Sembra, insomma, che questo
tipo di fanatismo voglia chiudere le porte anche al futuro, una sorta di
«muoia Sansone con tutti i Filistei» che congela l’oggi e distrugge lo
stesso procedere del tempo in un disegno nichilistico totale e assoluto.
I soliti bene informati e i «pensatori di professione», che spiegano
sempre tutto, ma non prevedono mai niente, diranno ora che ogni forma di
fondamentalismo estremo è intrisa di nichilismo, ma a me non pare.
Credo anzi che occorra capire.
Nessuno sa quale possa mai essere
il senso della vita, ma più o meno consapevolmente tutti ce lo
chiediamo, incuranti del fatto che nessuno ci abbia mai garantito che ne
esista uno, come pure che la domanda stessa abbia un senso. Sia come
sia, questa è una nostra necessità, tanto per chi la domanda se la pone
apertamente, quanto per chi non se la pone, ma assume tacitamente che
qualcuno conosca la risposta.
Sembra che gli altri animali, anche i
più simili a noi, non se la pongano e vivano sullo slancio, finché c’è
respiro. Anche se nessuno può dire con certezza come stiano per quelli
le cose, sembra che gli altri animali vivano e basta, sostenuti da una
batteria di spinte istintuali guidate dall’istinto di conservazione (e
dall’urgenza di perpetuare la specie). A tutto questo si è aggiunta nel
caso nostro la cultura, che ha introdotto i valori, gli obblighi, i
divieti, gli obiettivi, le speranze e più in generale la progettualità. E
per ultima «la strana coppia»: il Bene e il Male.
In questa selva
di spinte e controspinte biologiche e culturali noi trascorriamo la
nostra esistenza di individui in un contesto sociale e naturale, forti
delle nostre memorie, delle nostre aspettative, e della capacità di
compararle, in un processo mentale (e verbale) praticamente illimitato.
Il fondamentalismo non è una di quelle cose che uno può tenere per sé,
come la fede e le speranze. Il fondamentalismo va messo in atto,
accompagnato da varie forme di fanatismo, ed esibito, in gruppi
identitari ristretti, oppure nell’ambito della propria terra o sulla
ribalta mondiale, con gesti dimostrativi e proteste ben orchestrate. Il
nocciolo psicologico di tutto ciò è la convinzione di essere
assolutamente nel vero e che altri, invece, sono assolutamente nel
falso.
La cosa non è certo nuova nella storia, ma pare che le
condizioni al contorno dell’esistenza di molti gruppi umani del mondo
d’oggi siano particolarissime, e non lascino, per così dire, scampo.
Forse è proprio questo il punto: l’estremismo infantile di alcuni gruppi
sa solo mirare a tutto o a nulla. E se tutto non si può avere, allora è
meglio il nulla; la rinuncia alle prorogative umane per affidarsi
totalmente al «non si sa mai» di forze superiori, le quali, storicamente
non hanno mai portato a nulla.
D’altra parte il nichilismo
assoluto non può non contrastare con l’istinto di conservazione e le
altre istanze biologiche. In casi estremi il nichilista nega anche la
propria sopravvivenza e il suo legame con la parte biologica di noi. Le
contorsioni e l’estraniazione di alcune costruzioni culturali possono
quindi allontanarci anche dalla nostra alleanza con la base biologica.
Può accadere insomma che una grave crisi dei valori culturali possa
giungere a intaccare anche quelli animali. Come nel suicidio e
nell’anoressia. Il collettivo poi sembra fatto apposta per amplificare i
problemi individuali.
Repubblica 30.10.16
Per Bergoglio le religioni dovrebbero affratellarsi a partire da quelle monoteistiche
Francesco Lutero e il valore condiviso della Riforma
di Eugenio Scalfari
IL
31 OTTOBRE del 1517 Martin Lutero affisse sulla porta della cattedrale
di Wittenberg le sue 95 tesi che inaugurarono ufficialmente la religione
luterana, ma già l’anno prima il contenuto di quelle tesi era stato
elaborato e reso pubblico nelle riunioni dei monaci agostiniani dei
quali Lutero era stato nominato vicario generale.
Si dà il caso
che in quella stessa data si compie domani mezzo millennio. Il nostro
papa Francesco non poteva esimersi dal partecipare a questa ricorrenza
che sarà celebrata a Lund in Svezia dai luterani guidati dal
rappresentante mondiale di quella religione. La messa sarà naturalmente
celebrata da loro. Papa Francesco vi parteciperà pregando e poi terrà un
discorso sulla Riforma.
Ho avuto l’onore di ricevere tre giorni
fa una telefonata da Lui che desiderava — così mi ha detto — parlare con
me di quella Riforma che ebbe un’enorme importanza per tutta la Chiesa e
mise in moto allora il luteranesimo ma, in seguito, l’intera galassia
protestante che conta ormai nella sua interezza 800 milioni di fedeli. I
luterani veri e propri sono una minoranza, 80 milioni in tutto, cioè un
decimo del protestantesimo. I cattolici sono un miliardo e trecento
milioni.
SE SI aggiungono gli ortodossi, gli anglicani, i valdesi,
i copti, si superano i 2 miliardi di anime fedeli. Papa Francesco sa
che ho studiato abbastanza a fondo la vita di Lutero e la sua Riforma e
mi sono chiesto quale sia il rapporto di Francesco con le altre Chiese
cristiane al di là dei riti e delle credenze.
Francesco — è bene
ricordarlo — crede nell’unicità di Dio. Questo significa che tutte le
religioni, a cominciare da quelle monoteistiche ma anche le altre,
credono in quel Dio al quale arrivano ciascuna attraverso le sue
Scritture, la sua teologia, la sua dottrina e i suoi canoni. Tutte
quindi dovrebbero affratellarsi e questo è il risultato che Francesco
persegue pur essendo ben consapevole che ci vorranno molti e molti anni
per ottenerlo.
Ma per quanto concerne le altre Chiese cristiane
l’obiettivo non è soltanto l’affratel-lamento ma addirittura
l’unificazione. Non sembri un’incongruenza se dico che l’unificazione
delle Chiese cristiane è ancora più difficile dell’affratellamento con
le altre religioni. La ragione di questa difficoltà è comprensibile: la
loro unificazione mette in gioco anche le strutture liturgiche e
canoniche e deve riguardare anche origini scissionistiche di cui quella
luterana fu cronologicamente la prima. Forse la seconda se si
considerano i catari il cui movimento religioso avvenne nel XIV secolo e
provocò addirittura una Crociata contro di loro ed il loro
annientamento anche fisico da parte di truppe mobilitate dai Signori
della Provenza. I soli religiosamente e fisicamente risparmiati furono i
seguaci di Pietro Valdo. La Chiesa valdese è ancora presente in poche
comunità in Piemonte ed anche a Roma, ma conserva un’autorevolezza
amorevole. Papa Francesco ne incontrò l’anno scorso i dirigenti a Torino
e chiese addirittura il perdono a nome della cattolicità per quella
deplorevole Crociata che bagnò di sangue esseri umani, anch’essi avviati
sulla strada del male per difendere la propria vita.
Per
concludere la prima parte di queste riflessioni aggiungo che Lutero
toccò il culmine della sua vita di riformatore negli anni che vanno dal
1510, quando cominciò a condannare la simonia della Chiesa di Roma con
la vendita delle cosiddette indulgenze e fu scomunicato dal papa mediceo
Leone X, fino alle tesi di Wittenberg del 1517 e fino al 1520. Ma poi
il suo pensiero cambiò e altrettanto i suoi atti. Volle essere il
sovrano assoluto della sua Chiesa, diventò conservatore, prepotente, si
sposò, si mischiò con la politica e alla fine decise che i luterani
dovevano far guerra non soltanto ai cattolici ma a tutte le Chiese
protestanti, da quella di Calvino e agli Ugonotti francesi. Decise
infine che i luterani dovevano essere soltanto l’unica religione della
Germania.
Papa Francesco infatti celebrerà a Lund soltanto il
Lutero riformatore. La sua vita successiva non lo riguarda. Non so se lo
dirà esplicitamente a Lund. A me l’ha detto e ritengo opportuno
riferirlo.
***
Ma il tema sul quale mi ha più a lungo
intrattenuto riguarda la Riforma della Chiesa. Della sua Chiesa: la
Misericordia e quindi i poveri, la loro accoglienza se sono immigrati,
quale che sia la loro religione o nessuna. È probabile che su questo
tema Francesco parli anche a Lund e il giorno successivo a Malmö, dove
incontrerà i cattolici di quella regione con l’occasione delle
ricorrenze dei Santi e dei morti nel calendario ecclesiastico.
La
Misericordia, alla quale è intitolato il Giubileo da Lui indetto e
tuttora in corso fino alla fine di quest’anno, non è la stessa cosa del
perdono. È un dono spirituale che il Signore fa a tutti noi per il solo
fatto d’averci creato e che noi a nostra volta dobbiamo fare a tutti nei
modi e nei bisogni che dimostrano e che ciascuno di noi deve fare al
prossimo. Questa è la tesi di papa Francesco. Si dirà — ed è vero — che
questa è anche la tesi della Chiesa, in teoria. Ma nella pratica sono
molti i vescovi che la applicano in modo restrittivo. L’esempio più
lampante riguarda le comunità e le famiglie. Molti vescovi e molti
sacerdoti lesinano o addirittura negano il loro dono di misericordia a
chi non è in linea con i canoni ecclesiastici.
Francesco non la
pensa così e su questo adotta il punto centrale della Riforma luterana
quando supera l’intermediazione dei sacerdoti tra i fedeli e Dio. Il
rapporto è diretto: ogni singolo che cerca Dio può naturalmente valersi
dell’incoraggiamento e perfino dell’intermediazione dei sacerdoti, ma
può anche cercare e trovare quel rapporto con Dio direttamente: si
tratta di una necessità che la sua anima sente ed è l’anima che cerca,
trova e ne è illuminata.
Ricordate l’Innominato del Manzoni
quando, dopo essere stato per molti anni il signore del male sente
improvvisamente dentro di sé un immenso dolore e il bisogno d’esser
misericordioso con le sue vittime e chiede di incontrarsi col cardinale
Borromeo che lo esorta e gli spiega come dentro di lui è nata la
misericordia e il desiderio di avere un rapporto con Dio. Questo ci dice
con grande efficacia il Manzoni su come nasce nell’anima la
misericordia e quale sia la funzione del clero.
Questa in realtà è
la profonda ragione che ha spinto Francesco ad esser presente a Lund
nel giorno di ricorrenza dei 500 anni della Riforma luterana. La Chiesa
ha sempre accettato anzi incoraggiato il rapporto diretto delle anime
con Dio ma al tempo stesso ha ribadito che quel rapporto diretto si
compie attraverso il clero che amministra i sacramenti. Di fatto avviene
così ed è sempre avvenuto ma in un tempo assai remoto erano i fedeli
stessi ad amministrare i sacramenti e l’eucarestia in particolare,
l’unico sacramento che Gesù creò, secondo tutti i Vangeli, durante
l’ultima Cena trasformando il pane ed il vino nel suo corpo e nel suo
sangue.
I cristiani dei primi secoli così facevano ed è questa — a
guardar bene — l’intima essenza di quanto pensa l’attuale Pontefice non
nella forma ma certamente nella sua sostanza.
La Misericordia di
Francesco è la rivoluzione che sta compiendo e che non è affatto facile.
Implica perfino aspetti evidenti di politica religiosa, quando vede in
prospettiva una società spiritualmente globale, integrata dalle culture,
dalla fratellanza e amicizia fraterna degli spiriti. Così si spiega
anche il nome del Santo di Assisi che si affratellava con tutto ciò che
vive, dal lupo al fiore, dai fratelli in Cristo fino ai musulmani. E
perfino (è vero Francesco?) con sorella morte. Così abbiamo pensato e in
parte abbiamo detto insieme, affratellando due persone di diverso
sentire e di diverso modo di vivere. Tutti sono fratelli perché diversi
ed è questa la bellezza della vita.
vedi anche nella sezione “Cultura di “Segnalazioni”, gli articoli sul tema
di Tonia Mastrobuoni , di Agostino Paravicini Bagliani e di Gianfranco
Ravasi
Corriere La Lettura 30.10.16
Il management pastorale
Business
planning , marketing, bilancio e analisi costi-benefici. Si studia
tutto questo alla Pontificia Università Lateranense. Non nella laurea in
economia ma nella Scuola internazionale di management pastorale giunta
alla sua terza edizione. Preti, religiosi e laici iscritti al corso
studieranno anche raccolta di fondi nelle imprese no-profit, impresa
sociale, risorse umane, tecniche di problem solving creativo e teamwork ,
comunicazione strategica, public relations e public speaking . Per i
responsabili della Scuola non c’è contraddizione tra il linguaggio, gli
strumenti, la logica delle imprese e il mondo della pastorale. Al
contrario, la competenza è necessaria per servire meglio il prossimo.
«Il bene fatto bene» è lo slogan. Serve lo studio della gestione
d’impresa, si legge nel materiale informativo, per rendere «l’opera di
carità ancora più fruttuosa, più bella e coinvolgente». Occorre
progettare i bisogni pastorali della comunità e gestire le risorse
economiche perché fioriscano le comunità sul territorio, e soprattutto
nella Chiesa di Papa Francesco, per un vero servizio agli immigrati e
all’ambiente. In uno studio recente, Breda Gray dell’Università di
Limerick ha raccolto la testimonianza di decine di cattolici impegnati
nell’accoglienza degli immigrati in Irlanda. C’è bisogno di volontari
perché lo Stato non ha mezzi; è la solidarietà post welfare . Nelle
interviste emerge la convinzione che l’impegno dei credenti, proprio in
quanto non professionale, assicuri un’accoglienza migliore, più calda e
meno manageriale di quella degli assistenti sociali. Alla Lateranense si
scommette invece su un cattolicesimo vestito da impresa. Competente ed
efficiente.
Il Sole Domenica 30.10.16
Noam Chomsky e l’evoluzionismo
E all’improvviso fu il linguaggio
di Arnaldo Benini
Per
Noam Chomsky il linguaggio umano è un evento senza precedenti e
analogie. Perché solo noi? La risposta di Chomsky è naturalisticamente
fondata. Le scienze naturali del linguaggio, nonostante le critiche, in
particolare a questo libro scritto con l’informatico Robert Berwick,
sono ancora alle prese con le idee geniali di Chomsky. Nel 1959 egli
ripudiò (Language (35, 26-58,1959) la teoria, molto condivisa, del
filosofo empirista B. F. Skinner, secondo la quale comunicazione animale
e linguaggio sarebbero aspetti del comportamento imposto dall’ambiente.
Gesti, movimenti e grida degli animali sarebbero antecedenti del
linguaggio. Il contributo di chi parla all’acquisizione della lingua
sarebbe insignificante, tutto dipendendo da fattori ambientali.
Chomsky
obiettò che il passaggio dei meccanismi cerebrali della comunicazione
animale all’uomo avrebbe dovuto lasciare una traiettoria evolutiva di
cui non c’è traccia. Non c’è animale, nemmeno lo scimpanzé col quale
condividiamo il 97% del genoma, che metta insieme due parole. Nessuna
lingua, neanche quella di popolazioni isolate, ha tratti in comune con
la comunicazione animale. Le proprietà essenziali della facoltà umana,
secondo Chomsky, sarebbero emerse quasi all’improvviso (rispetto ai
consueti tempi evolutivi) grazie, «a un ricablaggio probabilmente
leggero» del cervello, in concomitanza, forse, con un discreto aumento
del suo volume, circa 80mila anni fa, in una popolazione dell’Africa
orientale.
Negli scimpanzé le aree corrispondenti al linguaggio
sono più strutturate di quelle delle altre scimmie, ma molto meno che
nell’uomo. Chomsky porta ad esempio il grande giro arcuato fra le aree
della produzione e della comprensione del linguaggio, negli scimpanzé
appena accennato. Negli scimpanzé le aree avrebbero iniziato a
svilupparsi, per rimanere poi allo stato di 2 milioni d’anni fa. Perché?
La spiegazione più verosimile è che il linguaggio umano non è sorto
come mezzo della comunicazione.
Al suo sorgere, e ancora oggi, il
linguaggio – per Chomsky e altri linguisti e biologi, fra cui Francois
Jacob – era ed è principalmente lo strumento dell’autocoscienza. Col
linguaggio interiore nacquero la mente e il pensiero, più tardi la
comunicazione. Pensiero e autocoscienza sono eventi dei lobi cerebrali
prefrontali, che presero ad evolvere circa 2 milioni e 200mila anni fa,
nella linea evolutiva dell’Homo. Non bastano le aree motorie e sensorie
per parlare, bisogna avere qualcosa da dire. Quando i meccanismi nervosi
del pensiero interiore furono connessi al sistema sensomotorio, nacque
il linguaggio parlato, più tardi quello scritto. Ventimila anni dopo
quella popolazione avrebbe preso a emigrare, portando nel cervello e
diffondendo la struttura cerebrale del linguaggio.
Per Chomsky
essa è la base della grammatica universale, esternalizzazione del
parenchima cerebrale delle aree del linguaggio e matrice innata di tutte
le lingue, anche di quella gestuale. Essa consente a chi sa bene una
lingua di capire senza difficoltà enunciati mai sentiti prima e di
crearne infiniti nuovi, come avviene nei bambini a partire dai 5-6 anni.
La spiegazione razionalista di Chomsky della creatività del pensiero e
del linguaggio è la più verosimile. Sordomuti hanno sviluppato una
comunicazione gestuale in cui la categoria grammaticale del soggetto è
all’inizio di ogni frase (PNAS 27,19249-19253,2005).
Grazie
all’universalità dei meccanismi nervosi della grammatica i bambini
imparano senza difficoltà la lingua madre, e anche più di una, e il
messaggio di ogni lingua è traducibile in qualunque altra. La facilità
d’apprendimento delle lingue in cui si cresce è un’eredità biologica
specificatamente umana. Negli ultimi 50mila anni non sembra esser
cambiato nulla di biologico: le aree frontali del cervello hanno
prodotto un’evoluzione culturale che, dice Tattersall, dal linguaggio
interiore dopo pochi millenni ha portato l’uomo sulla luna, mentre fino
ad allora l’evoluzione culturale era stata lentissima. Sull’origine del
linguaggio le opinioni divergono fra neuroscienziati, di regola
consenzienti con la grammatica universale, e antropologi: molti pensano
che esso sia talmente connesso alla condizione umana da dover essersi
sviluppato in un tempo lunghissimo, simultaneamente forse all’evoluzione
dei lobi prefrontali.
Ciò lascia senza replica l’obiezione di
Chomsky, ribadita e accentuata nel libro, che un’evoluzione lenta e
graduale deve lasciare tracce di stadi intermedi. In un mare di
critiche, anche molto aspre, sembra naufragare la nuova teoria con la
quale Chomsky e Berwick, avventurandosi nel terreno infido della
spiegazione degli eventi della coscienza, spiegano come dalla materia
del cervello della grammatica universale sia sorto, quasi
improvvisamente, il linguaggio. Esso sarebbe comparso in seguito alla
fusione (“merge”) di elementi sintattici in un’espressione più ampia. La
capacità di “fondere” due (ad esempio libro e leggere in leggere il
libro), poi migliaia di parole dei meccanismi della grammatica
universale sarebbe la levatrice di tutte le lingue.
Essa si
sarebbe manifestata inizialmente in un solo membro, che Chomsky chiama
Prometeo, della popolazione africana che per prima acquisì il
linguaggio. La critica più demolitiva della teoria senza dati è
riportata nell’Economist (26 marzo 2016): la biografia di Chomsky ha in
comune con Einstein che entrambi i geni scrissero le opere fondamentali
in gioventù.
Robert C. Berwick, Noam Chomsky, Perché solo noi. Linguaggio
ed evoluzione , Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 188, € 22
Ian Tattersall, At the Birth of Language, New York Review of Books, August 18, 2016
Il Sole 30.10.16
«Non solo economia ma anche informazione sociale»
A Pordenone. Il Sole 24 Ore tra i premiati per l’editoria religiosa
di Carlo Marroni
ROMA
«Non solo economia, ma anche informazione umanistica, sociale e
religiosa». Questa la motivazione del premio assegnato al Sole 24 Ore
nella prima edizione del Premio Internazionale all’editoria religiosa,
consegnato ieri a Pordenone nell’ambito della decima edizione della
manifestazione “La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone”, per
iniziativa della Lev – diretta da don Giuseppe Costa, che ha stimato per
l’editoria religiosa una crescita del 5% superiore al mercato
editoriale - e dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), che
ha visto la presenza del presidente Giancarlo Abete. Il premio,
presentato da Francesca Fialdini, è intitolato alla memoria del past
president dell’associazione, Angelo Ferro. In particolare per il Sole 24
Ore il premio cita l’attenzione posta da molto tempo ai temi religiosi
dalla “Domenica”, oltre all’informazione economica «per la quale
rappresenta una guida esemplare e metodologicamente efficace». A
ricevere il premio anche il quotidiano Avvenire, con il direttore Marco
Tarquinio, e Famiglia Cristiana, diretta da don Antonio Sciortino. Gli
altri premi sono andati a: USCCB (USA), Paulist Press (USA), Crossroad
Publishing (USA), Verlag Schnell & Steiner (Germania), Bayard
Édition (Francia), Biblioteca de Autores Cristianos (Spagna), Edizioni
Cantagalli (Italia), Editrice Shalom (Italia) e al fotografo Giovanni
Chiaramonte. Tra i presenti per la consegna dei premi monsignor Dario
Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della
Santa Sede.
sul tema del Padre, vedi ,
nella sezione “Cultura” di “Segnalazioni” l’articolo di Paolo Di Paolo e
l’intervista di Stefania Parmeggiani a Massimo Recalcati (oggi presente
sul quotidiano di Scalvari addirittura in doppia dose)