Corriere La Lettura 2.10.16
Bianchi , poveri e dimenticati Usa,
le comunità Hillbilly nate all’ombra dei Monti Appalachi sono simbolo
di un disagio del Paese al quale Trump dà voce
Discriminazioni Il
libro di J. D. Vance getta luce sulle minoranze di origine europea e su
un divario sociale ed economico ignorato da Washington. E che ha origine
(forse) nella colonizzazione
di Serena Danna
C’è
un’America nascosta dai monti Appalachi che raramente compare nei
notiziari e nei discorsi dei politici. Una moltitudine di comunità — che
vanno dal golfo del fiume San Lorenzo, al confine tra Stati Uniti e
Canada, fino alla Louisiana — accomunate da alcuni tratti: la pelle
bianca degli antenati scozzesi-irlandesi, la povertà e il pessimismo. I
suoi rappresentanti vengono chiamati Hillbilly, un termine che debutta
sul «New York Journal-American» agli inizi del Novecento per definire
«un bianco libero dell’Alabama che vive sulle colline, non ha ragione di
conversare, si veste come può, parla quando gli va, beve whiskey e
spara con la sua rivoltella quando gli pare». Qualcosa di questa
descrizione si ritrova in Hillbilly Elegy di J. D. Vance, il caso
editoriale dell’estate americana che ha riportato all’attenzione
dell’opinione pubblica «i bianchi poveri» degli Stati Uniti, possibile
bacino elettorale per Donald Trump.
Vance — oggi avvocato nella
Silicon Valley — è uno di loro, e, attraverso la storia della sua
famiglia, descrive bene questi americani di terza classe, depositari di
«fedeltà, onore e durezza», con un forte senso di clan e nessuna fede
nel futuro: «Non possiamo credere — si legge nel libro — ai notiziari
della sera. Non possiamo credere ai nostri politici. Le nostre
università, un canale per una vita migliore, sono usate contro di noi.
Non riusciamo ad avere un lavoro. Non puoi vivere questa situazione e
poi avere un ruolo attivo nella società. C’è mancanza di azione, la
sensazione di avere poco controllo sulla propria vita e l’inclinazione a
condannare tutti tranne se stessi».
A differenza dei suoi
coetanei, dopo un’esperienza molto formativa nell’esercito e la guerra
in Iraq, Vance non solo va all’università, ma riesce ad arrivare fino a
Yale, dove impara a parlare a bassa voce, a usare le posate e a fare la
spesa da Whole Foods (il tempio del biologico), e dove vivrà la
discriminazione per le sue origini e per quella povertà da derelitti
priva della dignità degli afroamericani e dello stakanovismo degli
asiatici. Durante gli anni della scuola di legge, l’autore tenderà a
nascondere la storia dei nonni materni, cresciuti a Jackson, in
Kentucky, in quella contea di Breathitt considerata una specie di
capitale dell’America Hillbilly con il 98,9% di bianchi, uno stipendio
pro capite annuale inferiore ai 30 mila dollari, il 30% di madri single,
e un numero di alcolizzati (e tossicodipendenti) così alto da spingere
per anni l’amministrazione locale a vietare l’alcol.
Dopo la
guerra, «senza un soldo e innamorati», i nonni lasciano i monti per
trasferirsi a Middletown, Ohio: sono gli anni della rivoluzione
dell’acciaio e del carbone, quando aziende come Armco Steel (oggi Ak
Steel) costruivano scuole e ospedali per i loro dipendenti. Mamaw e
Papaw — così vengono chiamati i nonni nel dialetto degli Appalachi —
diventano classe media, con tanto di auto e villetta a schiera, ma la
cultura chiusa e disfattista delle montagne non li abbandona. « Mamaw si
rifiutava di riparare le biciclette dei suoi nipoti — scrive J. D.
Vance — perché comunque avrebbero continuato a scomparire dal patio.
Così come ha avuto per tutta la vita l’ansia di aprire la porta di casa
per paura che una vicina molesta venisse a chiederle dei soldi».
Nonostante il patio e tre figli nati sul binario vincente della Storia, i
nonni di Vance manifestano presto i comportamenti «da montagna»: Papaw
si dà all’alcolismo e Mamaw lo punisce con violenza, mettendogli
immondizia nel piatto della cena e tentando di ucciderlo con un colpo di
fucile. I figli assorbono quel malessere: in particolare la mamma di J.
D., seppure studentessa dotata e volenterosa, comincia presto ad avere
problemi. La crisi profonda della vecchia industria che investe le città
della Rust Belt, la «cintura della ruggine» del Nord del Paese, fa il
resto.
La donna resta incinta di J. D. a 18 anni e diventa precoce
vittima di alcol, droga e molti uomini più o meno violenti: nel libro
si contano almeno cinque mariti. Se è vero, come scrive Vance, che per
la sua comunità «la povertà è una tradizione familiare», quella giovane
mamma che amava i libri finisce nel cliché del «welfare alla Hillbilly»,
dove i matrimoni diventano, scrive il sociologo Victor Tan Chen, «una
forma di supporto sociale per i lavoratori della working class bianca»,
unioni che si basano su assegni familiari e che finiscono alla loro
scadenza.
La preoccupazione per la figlia persa e il nipotino fa
sì che Papaw abbandoni la bottiglia e Mamaw decida di dargli una seconda
chance. È grazie a loro — amorevoli e determinati a rendere quel
giovane un uomo educato e felice — se J. D. Vance riesce a emanciparsi
dal destino della sua comunità, nei confronti della quale nutre ancora
un misto di empatia e rispetto. «Ho scritto questo libro — dice a “la
Lettura” — per far capire che cosa significhi crescere nella maniera in
cui sono cresciuto io, ma anche per dare un’idea di quanto soffrano
culturalmente ed economicamente i bambini che provengono da classi
sociali disagiate».
Da un lato dunque c’è l’economia, che ha messo
a dura prova la vita di queste comunità: «Tutto intorno a noi, i
divorzi, le dipendenze da droga, il declino dei lavori da tute blu, ha
fatto sentire alle persone che il mondo ci aveva messo da parte. Così,
mentre alcuni continuano a lavorare duro, altri hanno rinunciato».
Dall’altro, ci sono ragioni culturali («cinismo e mancanza di speranza
congeniti» li chiama Vance) che arrivano da molto lontano. Secondo la
storica Nancy Isenberg — autrice di un altro libro recente che indaga le
origini della povertà bianca negli Stati Uniti, White Trash: The
400-Year Untold History of Class in America — i colonizzatori inglesi
videro il Nuovo Mondo come la «pattumiera» dove riversare i reietti e i
criminali che avrebbero svolto, insieme agli schiavi, i lavori più
umili. Sono loro gli antenati degli Hillbilly che popolano oggi molte
zone abbandonate del Paese. Dopo la guerra civile, proveranno a prendere
delle terre e a emanciparsi dalla loro condizione ma, non riuscendoci,
si rifugeranno ai margini della società fino ai piedi dei monti
Appalachi. È allora che la condizione di White Trash , spazzatura
bianca, diventa ineluttabile. Il sigillo culturale viene da una sentenza
della Corte Suprema del 1927 (Buck vs Bell) che difende l’idea di un
programma di sterilizzazione in Virginia per prevenire «generazioni di
imbecilli».
Se il miliardario Donald Trump è diventato il loro
candidato, è perché ha riportato la loro condizione su un piano
economico. Mentre i politologi «hanno sprecato fiumi di inchiostro — si
legge in Hillbilly Elegy — cercando di spiegare come mai le zone degli
Appalachi e del Sud siano passate dall’essere aree di devoti democratici
ad aree di devoti repubblicani», Trump ha offerto risposte semplici:
fine dell’industria pesante, immigrazione, delocalizzazione,
emarginazione.
«Io non riuscivo mai a capire — scrive Vance — come
mai le nostre vite fossero una lotta continua mentre quelli che
vivevano a carico del governo si godevano gingilli che io potevo solo
sognare». L’avvocato è consapevole che l’interesse che ha riscosso il
suo libro alla vigilia delle elezioni dipende anche dal tentativo di
«capire chi sono gli elettori di Trump». E sono in tanti a domandarsi
come mai sia diventato il paladino di Hillbilly, White Trash, Redneck —
tutti termini diversi per definire lo stesso elettorato bianco povero.
«Sono frustrati per i problemi che esistono nelle loro comunità —
continua Vance — e arrabbiati con le élite di entrambi i partiti. Trump
combatte contro di esse e dunque lo appoggiano». Vance, repubblicano
conservatore, non sostiene il candidato repubblicano. Crede anzi che sia
«una sciagura per la politica americana». Eppure — ammette — la sua
popolarità ha fatto luce su molti problemi dimenticati della società:
«Spero solo che dopo le elezioni le persone continueranno a mostrare
interesse per i suoi tormentati elettori».
@serena_danna