Corriere La Lettura 23.10.16
Nietzsche ospite (inatteso) di Spinoza
La morte di Dio libera l’uomo o lo priva di ogni senso etico? Due classici visti da Leo Strauss nella crisi della modernità
Resta
incerto l’esito del conflitto tra ragione e rivelazione. La fragilità
degli ideali illuministi alla luce della terribile catastrofedi Weimar
di Mauro Bonazzi
Ci
si chiede sempre cosa sia un classico. Leo Strauss non avrebbe avuto
dubbi: è chi aiuta a capire i problemi. Come Baruch Spinoza, ad esempio.
Strauss gli si era avvicinato quasi per caso, su invito dell’Accademia
per le Scienze del Giudaismo. Non se ne allontanò più. La ragione della
lunga frequentazione è facile da intuire: chi meglio di Spinoza,
emarginato dalla sua comunità per l’empietà delle dottrine professate,
il pensatore radicale per eccellenza, poteva servire come guida per
indagare il grande problema della modernità, lo scontro tra religione e
filosofia (e scienza)? Lo Spinoza del Trattato teologico-politico è
colui che più decisamente si era scagliato contro il principio di
autorità e dunque la Rivelazione. Ma neppure lui era riuscito a
riportare una vittoria definitiva. Quello che rende il suo attacco così
interessante agli occhi di Strauss è il fallimento: neanche Spinoza è
riuscito a dimostrare la superiorità di filosofia e scienza rispetto
alle verità rivelate.
Certo, riconosce Strauss, filosofia e
scienza godono ormai di maggior prestigio, nel discorso pubblico,
rispetto alle tradizioni religiose. Nel mondo disincantato (il
riferimento corre ovviamente a Max Weber) in cui viviamo non c’è più
posto per miracoli e profeti. Ma il maggior prestigio di filosofia e
scienza rispetto alla religione non si fonda sulle basi solide di una
confutazione autentica. Perché se è vero che la Rivelazione non riesce a
sottomettere la filosofia, non meno vero è che la filosofia non riesce a
debellare la Rivelazione: dimostrare (per via di ragionamento o
ricorrendo all’esperienza concreta) che Dio non esiste è impossibile.
Così come è impossibile dimostrare che esiste (è un fatto di fede, non
di argomentazioni). Ed è questo che importa a Strauss: la persistenza
della tensione tra due modi di considerare la realtà, diversi e
incompatibili; è lo scontro tra Atene e Gerusalemme, come scriverà negli
anni della maturità.
Ma già in quegli anni giovanili, l’analisi
di Spinoza lo aveva aiutato a capire che la questione decisiva, in
questo scontro, riguardava la (presunta) autonomia della ragione. Il
progetto della modernità, che si propaga fino ai nostri giorni, si fonda
sulla convinzione che la ragione umana basti per rendere adeguatamente
conto della realtà, permettendoci di costruire un mondo di pace e
benessere. Il progetto è nobile e ambizioso. Ma anche realizzabile?
Strauss aveva iniziato le sue letture nel pieno della crisi di Weimar:
una bella espressione, la Repubblica di Weimar, degli ideali
illuministici, che però stava implodendo di fronte a una realtà che si
rivelava più complicata, refrattaria a farsi irreggimentare secondo
schemi e categorie moderni. Non sono diversi i problemi che stiamo
affrontando oggi. Intanto Strauss era finito esule, come molti altri,
ebrei e non solo.
Il testamento di Spinoza (Mimesis) contiene la
prima traduzione italiana dei saggi che Strauss era venuto scrivendo su
questo tema tra il 1924 e il 1932, a completamento dell’opera principale
La critica della religione in Spinoza , uscita nel 1930, e chiarisce
alcuni punti decisivi della sua interpretazione. In particolare, questi
lavori aiutano a meglio comprendere l’importanza della presenza di un
ospite inatteso, a cui Strauss continuamente pensa quasi mai
nominandolo. Friedrich Nietzsche. Senza di lui non si può capire che
cosa sia davvero in gioco.
L’ateismo di Spinoza (perché a questo
conduceva il suo razionalismo radicale) nasceva con un intento
liberatorio, facendo propria la battaglia di Epicuro contro la paura
degli dèi. Dobbiamo liberarci di Dio per smettere di vivere nel terrore,
e tornare a guardare serenamente il mondo che ci circonda; seguendo le
leggi della natura, non asserviti alla minaccia del peccato. Con
Nietzsche si comprende che il vero problema è un altro: come pensare a
un mondo senza Dio? Questa è la sfida a cui la rivoluzione scientifica,
di cui sia Nietzsche sia Spinoza erano convinti sostenitori, ci invita.
Liberati dal giogo degli dèi, gli uomini si sono fatti padroni del loro
destino. Per farne cosa? Il Dio biblico, il creatore del cielo e della
terra, era anche il garante dell’esistenza del bene e del male.
Nell’universo retto dalla provvidenza divina vigeva la fiducia che
esistessero valori oggettivi come il bene o la giustizia, a cui rifarci
per le nostre decisioni. La morte di Dio mette in crisi la fondatezza di
questa convinzione: dove contano solo le leggi fisiche di causa ed
effetto ha senso parlare ancora di bene o male?
Qualche anno fa
Leo Strauss ha goduto di un’improvvisa notorietà, diventando oggetto di
critiche veementi e adesioni incondizionate, in un clima quasi da stadio
(soprattutto negli Usa). Questo perché si riteneva che il suo pensiero
politico stesse alla base dell’ideologia neo-conservatrice della
presidenza di George W. Bush. Molti suoi allievi, in effetti, hanno
occupato cariche di rilievo nell’amministrazione repubblicana. Ma le
interpretazioni solo politiche della sua filosofia sono inutilmente
riduttive. Il suo interesse è altrove: in un pensiero inattuale, capace
di illuminare le questioni del presente grazie a una ripresa degli
antichi — gli ultramoderni, li chiamava lui.
Sono celebri le due
definizioni aristoteliche dell’essere umano: l’animale razionale e
l’animale politico. Per natura tendiamo tutti al sapere, si legge
all’inizio della Metafisica : conoscere, trovare il senso di ciò che
siamo e di ciò che ci circonda, esprime un aspetto essenziale della
nostra natura. Ma, a differenza di tanti altri animali, non possiamo
vivere da soli, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri: siamo
politici nel senso che viviamo sempre insieme (questa è la Politica ).
Sembra banale ma non lo è, perché desiderio di conoscenza e rispetto
delle norme etico-politiche non sempre vanno d’accordo. Oggi lo sappiamo
fin troppo bene. La ricerca scientifica procede impavida verso scoperte
sempre più meravigliose, offrendoci possibilità fino a poco tempo fa
impensabili. Che uso fare però di queste scoperte? Ci sono dei limiti
per la ricerca? E chi li stabilisce?
Con altri termini, discutendo
di vita contemplativa (dedicata alla conoscenza) e di vita attiva
(dedicata alla politica), sono gli stessi problemi di cui si preoccupava
Aristotele, seguito dai filosofi medievali che avrebbero poi
influenzato Spinoza (l’ultimo degli ultramoderni, in fondo, perché
consapevole di questa tensione insormontabile). L’impulso inestirpabile a
conoscere che caratterizza i sapienti, nella misura in cui mette in
discussione tutti i valori su cui si fonda la città, non rischia di
essere eversivo? Forse che Socrate è stato condannato giustamente? Sono
domande inquietanti, che almeno ci aiutano a chiarire la portata dei
problemi — di problemi che sembrano scontati e che poi si scoprono
d’impervia risoluzione. A questo servono i classici, come ha insegnato
Leo Strauss, e per questo conviene continuare a leggerli.