Corriere La Lettura 16.10.16
Marc Augé: se il Papa negasse Dio avremmo la fine dei conflitti
Parla l’antropologo francese, autore di un racconto utopico
«In futuro l’umanità potrà dare un senso all’esistenza senza ricorrere alla fede»
intervista di Carlo Bordoni
Nato a Poitiers nel 1935, l’antropologo francese Marc Augé è noto soprattutto per
aver
coniato il neologismo Non-luoghi, titolo di un famoso saggio del 1992
pubblicato in Italia da Elèuthera nel 1996 (traduzione di Dominique
Rolland). I non-luoghi sono spazi privi di legami culturali con il
contesto circostante e la sua storia, frequentati da persone in rapido
transito che non allacciano relazioni tra loro: alberghi, centri
commerciali, autostrade, aeroporti. Tra i saggi di Augé usciti in
Italia: Perché viviamo? (traduzione di Luisa Capelli e Antonio Perri,
Meltemi, 2003); Il tempo senza età (traduzione di Daniela Damiani,
Raffaello Cortina, 2015); L’antropologo e il mondo globale (traduzione
di Laura Odello, Raffaello Cortina, 2013)
Con Le tre
parole che cambiarono il mondo (Raffaello Cortina) Marc Augé,
antropologo autore della definizione di «non-luogo», si lancia in una
curiosa (e irriverente) provocazione. Un divertissement al limite del
sacrilegio, che fa pronunciare a papa Bergoglio tre parole inattese:
«Dio non esiste». In questo conte philosophique di sapore illuminista,
Augé racconta il caos che scatena quell’affermazione, con un lieto fine:
la pace tra i popoli. Sembra dar seguito a una certa fantascienza, che
però non ha mai osato tanto, e — visto che poi Francesco è costretto a
dimettersi — richiamare la misteriosa profezia di Malachia sull’ultimo
Papa dopo Benedetto XVI.
Augé va controcorrente: propone una
visione dissacrante, mentre invece assistiamo al riemergere del sacro.
Pensatori come Zygmunt Bauman e Michel Maffesoli (si veda la Lettura
#252 del 25 settembre) riscoprono il valore della religiosità,
affascinati da papa Francesco. Un atteggiamento spiegabile con
l’esigenza di recuperare valori, nel vuoto che si è aperto attorno
all’individuo globalizzato, solo e indifeso. Il sacro, più che la
ragione, offre un approdo sicuro a portata di mano.
All’inizio,
leggendo il testo di Augé, si è portati a pensare a un racconto
fantastico. Poi a vedervi un’ucronia modificata: che cosa succederebbe
se il Papa dicesse una cosa del genere? Ma le ucronie guardano al
passato, sono deviazioni dalla storia per immaginare un presente
diverso. Meglio una distopia, un futuro inquietante, dettato dalla
sfiducia nel presente, seguito però da un risvolto positivo che lascia
intravedere una società migliore: quindi un’utopia? Proviamo a chiederlo
all’autore.
Quest’anno ricorre il cinquecentesimo anniversario
dell’«Utopia» di Thomas More, dove si descrive una società perfetta.
Ogni tempo ne ha immaginata una: libertà dal bisogno, dal lavoro, dalle
macchine, dai padroni. Il suo è un omaggio a More?
«Direi, in
effetti, che si tratta piuttosto di una distopia e al tempo stesso di
un’utopia. Cerco di rispondere scherzosamente alla domanda: che cosa
accadrebbe se tutto il mondo rinunciasse a credere in Dio, se l’offerta
di religione si trovasse di fronte a una sparizione della domanda? Si
tratta di uno scherzo, ma in fondo serio: dopo tutto ci sono molte
persone che non credono in Dio. Partendo dalla constatazione che gran
parte della violenza nel mondo deriva dal proselitismo religioso, mi
sono chiesto che cosa accadrebbe se con un colpo di bacchetta magica
sparisse la fede in Dio».
Crede che una tale utopia sia possibile?
«Non
credo alla possibilità attuale di un tale evento, alla realizzazione di
un’utopia, ma credo che un giorno l’umanità non avrà più bisogno delle
religioni per dare un senso alla sua esistenza».
Sbaglio o dal testo traspare un forte anticlericalismo?
«Ha ragione, ma è un anticlericalismo senza odio: ad ogni peccator perdono!».
Il testo è molto divertente e moderatamente sacrilego: come le è venuta l’idea?
«Penso
come reazione a ciò che si ripete continuamente, che non bisogna
confondere la religione con ciò che non è: l’estremismo religioso. Così
ho voluto verificare l’ipotesi inversa: l’estremismo religioso sarebbe
in grande difficoltà se dei folli e dei saggi rinunciassero alla
religione. Sono sicuro che per molte persone la religione è solo un
riferimento meccanico a cui non aderiscono veramente. Ciò che cerco di
mettere in scena è un momento di verità, un movimento generale di
sincerità e coraggio intellettuale».
La fantascienza ha spesso
utilizzato l’espediente narrativo di un intervento esterno per
giustificare un mutamento apocalittico. Ma perché, anche qui, la
liberazione è frutto di un’imposizione?
«Nel mio racconto è il
risultato di un intervento che s’impone di colpo a tutta l’umanità.
Questo artificio è quello che dimostra l’aspetto fittizio e fantastico
della storia o, se si vuole, che riflette una forma d’insofferenza.
Sappiamo bene che solo la pazienza dello sforzo educativo può
raggiungere dei risultati nel campo della liberazione intellettuale e
del pensiero critico».
Quanto c’è delle sue speranze e dei suoi desideri in questo libro?
«Mi
diverto a prendere i miei desideri per realtà. Ma è anche chiaro che,
davanti alle atrocità piene di arroganza del terrorismo, abbiamo il
diritto di interrogarci sulle aberrazioni alienanti del pensiero
religioso».
Lei sembra richiamare i «contes philosophiques» e,
forse, la provocazione materialista dell’ateo settecentesco La Mettrie,
per cui l’uomo si riduce a una macchina. Quanto c’è di illuministico nel
libro?
«Non credo che ci si possa liberare dall’alienazione
religiosa con un lavaggio del cervello. Il riferimento a La Mettrie
rischierebbe di far prendere sul serio quello che nel libro non è altro
che un piacevole artificio, tutt’al più dal valore metaforico. Per il
resto ha ragione: rivendico l’eredità dell’Illuminismo».
L’inesistenza
di Dio di per sé non mette in discussione Gesù. Si potrebbe analizzare
la figura di Cristo, con un’attualizzazione in chiave psicoanalitica,
come quella di un tipico «figlio privato del padre»?
«La figura di
Gesù è in effetti suscettibile di molte interpretazioni. Capita al
Cristo di dubitare di suo Padre, cioè della propria divinità. Quanto al
riferimento alla psicoanalisi, mi ha sempre colpito l’assenza del padre
umano, Giuseppe, a favore della figura lontana e potente del Padre
celeste».
Le tre grandi religioni monoteiste sono fondate sui
libri, retaggio di un tempo in cui la scrittura era il massimo strumento
di comunicazione. Oggi che non è più così, quali strumenti possono
svolgere tale compito?
«Le religioni fondate sulle Scritture sono
distribuite su due livelli: per molti individui analfabeti, o poco
educati alla lettura, la parte dell’oralità e della memoria era ed è
ancora importante. Non è escluso che le nuove tecnologie trovino un
ruolo nella diffusione delle religioni, con tutte le ambiguità proprie
della comunicazione. Posso aggiungere, in conclusione, che non si tratta
che di un testo che vorrebbe far sorridere. È solo la riflessione di un
uomo d’età avanzata in contatto col mondo attraverso l’intermediazione
della televisione e di internet: filtri obbligati di tutta
l’informazione di oggi».