Corriere La Lettura 16.10.16
Fisica Spazio-tempo, la nuova teoria
elaborata da Stephen Hawking I buchi neri non sono poi così neri
di Edoardo Boncinelli
Anche
le stelle hanno una storia e un cammino evolutivo. Quando in questo
processo una stella diviene più densa di un certo valore-limite, può
collassare, lasciando dietro di sé un buco nero, uno degli oggetti più
strani che possano esistere. La teoria della relatività generale di
Einstein vuole che ogni corpo celeste deformi la struttura dello
spazio-tempo che lo circonda, attirandolo un poco a sé. Se l’attrazione è
troppo forte, il corpo celeste sprofonda su se stesso, lasciando dietro
di sé solo un perpetuo precipizio capace di ingoiare tutto, anche i
raggi luminosi, «e chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto»! Ma
esiste veramente una tale mostruosità o è solo il prodotto di
speculazioni matematiche? Sembra di sì. Sembra che esista almeno un buco
nero al centro di ogni galassia, compresa la nostra, e che il treno di
onde gravitazionali rivelato di recente sulla terra sia stato messo in
moto dall’incontro-scontro di due buchi neri in una particolare regione
dello spazio. Il piccolo, denso libro di Stephen Hawking Dove il tempo
si ferma (Rizzoli) ci fornisce un prezioso aggiornamento sulla loro
storia scientifica. L’aggettivo neri aggiunto al sostantivo buchi ,
deriva appunto dal fatto che la luce ci cade dentro e vi rimane
intrappolata.
Continuando nella vena scherzosa, anche se solo in
apparenza, di tale nomenclatura, si disse anche all’inizio della storia
che «i buchi neri non hanno peli», cioè niente ne può emergere. Ma non è
nemmeno così, perché nell’universo non esiste solo la forza di gravità,
ma anche una selva di eventi quantistici. Nel 1974 a Hawking venne in
mente il fatto che se si tiene conto anche degli effetti quantistici, i
buchi neri non sono più tanto neri. Emettono anzi una certa quantità di
radiazione. Perché? Lo spazio «vuoto» del cosmo brulica di energia e di
coppie di particelle potenziali pronte a saltare fuori. Di solito non ce
ne accorgiamo perché si tratta di una coppia che scompare subito, a
causa della repentina ricombinazione dei due componenti — a esempio un
elettrone e un positrone — ma se uno dei due componenti «cade» nel buco
nero, l’altro è libero di viaggiare e manifestarsi. Sull’orlo del buco
nero c’è quindi tanta energia e un’altissima temperatura. Così un
astronauta un po’ «pirla» che vi si venisse a trovare potrebbe morire
istantaneamente in almeno due maniere diverse: dilaniato meccanicamente
perché i suoi piedi andrebbero troppo più veloci della testa, o
viceversa, oppure arrostito e vaporizzato per l’altissima temperatura. A
voi la scelta.
Fin qui il grosso del libro. Ma se tutto quello
che cade in un buco nero non lascia proprio traccia, si viola un
principio universale del mondo fisico: l’informazione non può essere mai
distrutta del tutto, altrimenti non si può affermare nulla di sensato
sul mondo. Insomma, qualcosa deve pur riuscire fuori dal buco nero. Per
cercare di rispondere a questa critica, Hawking sta pensando a una nuova
possibilità non ancora completamente messa a fuoco: qualcosa deve pur
riuscire fuori per forza. Si parla allora della possibilità che invece
di peli, il buco nero possa avere una peluria, soft hair , fatta di
gravitoni e di fotoni, dalle proprietà interessanti. Il fatto è che i
fisici non mollano mai.