domenica 16 ottobre 2016

Corriere La Lettura 16.10.16
Riforma, sostantivo plurale Lutero
Cinque secoli dopo le 95 tesi, alla vigilia della visita del Papa in Svezia L’universo protestante: liberale carismatico, scandinavo e africano
di Marco Ventura

Giusto tre anni fa. Il 15 ottobre 2013. Per la prima volta una donna è arcivescovo e capo di una Chiesa nazionale. Succede in Svezia, dove Antje Jackelén, già vescovo di Lund nel Sud del Paese, vince le elezioni con il 59% dei voti. Protagonista della svolta è la Chiesa luterana di Svezia, a pochi anni dall’anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Wittenberg da cui scaturì la Riforma. Oggi, tre anni dopo, l’anniversario è alle porte. Si preparano in Scandinavia e nel mondo le celebrazioni dei cinque secoli trascorsi da quel 1517 che ha cambiato la storia. L’elezione di Antje Jackelén simboleggia l’anelito riformatore di cui i protestanti si sentono custodi e interpreti. Una donna a capo di una Chiesa. Un leader religioso eletto e non nominato, come invece in Svezia è avvenuto per secoli, fino alla separazione tra Chiesa e Stato del 2000, quando il governo ha rinunciato al potere di nomina. Ancora Riforma e riforma, con la maiuscola e la minuscola; oggi come cinquecento anni fa.
Dal gesto di Lutero che ci apprestiamo a celebrare sono nate teologie, istituzioni, spiritualità e comunità molto diverse tra loro. Si possono individuare, semplificando, tre famiglie di Chiese. Anzitutto le Chiese tradizionali, o a esse collegate, luterane e riformate calviniste in particolare, ma anche presbiteriane, battiste, metodiste e la stessa Chiesa valdese, nata ben prima del 1517, ma confluita successivamente nel movimento protestante. In secondo luogo, le Chiese nate dalla rottura di Enrico VIII con Roma, la Chiesa d’Inghilterra e le altre 43 Chiese che compongono oggi la comunione anglicana: dal Pakistan al Giappone, dal Messico al Burundi. Infine, coloro che attingono al patrimonio protestante, ma si smarcano dalle Chiese storiche, ovvero le Chiese e comunità evangeliche e pentecostali, dei cristiani born again , «rinati».
Se osservati sulla mappa del mondo, gli 800 milioni di protestanti globali si rivelano decisivi per il presente e il futuro di Dio sul pianeta Terra. I nordamericani conservano un legame speciale con le Chiese protestanti, non più largamente maggioritarie come nel XIX secolo, ma ancora preferite da poco più della metà della popolazione. Il mondo protestante riflette la varietà del mercato religioso negli Stati Uniti. Un recentissimo studio del Pew Research Center attesta un reddito delle famiglie aderenti alle Chiese tradizionali protestanti mediamente più alto della media nazionale, e molto più alto rispetto alle famiglie cattoliche. Secondo la ricerca, i presbiteriani e gli anglicani, che negli Usa si chiamano episcopaliani, sono più ricchi dei luterani. Si collocano invece nel segmento a minor reddito gli aderenti alla Southern Baptist Convention, che ha superato i metodisti come singola Chiesa protestante col maggior numero di membri nel Paese, e gli evangelici, che sono ormai quasi il doppio degli altri protestanti, circa uno statunitense su quattro. I 160 milioni di fedeli americani valgono il 20% della popolazione protestante mondiale.
Sono anche a maggioranza protestante i Paesi scandinavi, la Gran Bretagna, e i Paesi dell’Africa subsahariana come il Kenya, la Namibia e il Sudafrica. Si caratterizzano dunque per una forte presenza protestante da un lato Paesi leader del Nord sviluppato, espressione del capitalismo liberale anglosassone, ma anche del welfare statalista nordico, e dall’altro Paesi chiave del Sud in via di sviluppo. Il ruolo cruciale del protestantesimo nella mappa planetaria risulta ancora più evidente se si considera la presenza degli eredi di Lutero e Calvino in Nigeria, circa il 40% della popolazione pari al 7,5% dei protestanti globali; in Brasile, il 20% della popolazione pari al 5% del totale mondiale; e soprattutto in Asia. I quasi sessanta milioni di protestanti cinesi, il 4% della popolazione, rappresentano la terza comunità nazionale protestante al mondo, quasi il doppio dei protestanti del Regno Unito e più del doppio dei protestanti tedeschi. La forza geopolitica del protestantesimo globale sta nella capacità di resistenza e rinnovamento di cui danno prova le storiche comunità occidentali, e al contempo nel vigore e nell’espansione nei territori di missione in Europa orientale, America latina, Africa e Asia.
In entrambi gli universi, e nel loro interscambio, intensificato dall’economia globale e dai flussi migratori, l’energia dei protestanti coincide con le contraddizioni della loro esperienza religiosa. Essi infatti testimoniano una fede profonda e matura e al contempo eccellono nella spettacolarizzazione di Dio; curano il percorso individuale ed esaltano il potere del gruppo; alleviano le ferite morali e materiali delle masse del Sud e sostengono il cristianesimo capitalista del Nord; insegnano che tutti sono ministri del Cristo e producono leader prepotenti; predicano l’indipendenza dal potere politico e soccombono alla nazionalizzazione delle Chiese; abbracciano il progetto liberaldemocratico e si adattano a società dispotiche; promuovono i diritti di donne e gay e prosperano in regioni misogine e omofobe.
È proprio qui, nel cristianesimo plurale nato dalla Riforma, la prova più temibile ed esaltante per i protestanti nell’imminenza del cinquecentenario. Si ripresenta oggi, particolarmente acuta, la sfida di una pluralità straripante, già affrontata tante volte nella storia. Le due dimensioni dell’esperienza protestante contemporanea necessitano l’una dell’altra. La densità intellettuale dei metodisti liberal californiani ha bisogno della vitalità degli evangelici elettori di Trump, e viceversa. Il pastore valdese cresciuto a Torino ha bisogno dell’immigrato nigeriano capo d’una comunità evangelica campana, e viceversa. Sono indispensabili i teologi per i quali la dottrina della Grazia e il primato della Scrittura hanno vocazione a imporsi come valori ecumenici da condividere con cattolici e ortodossi. E sono anche indispensabili i missionari protestanti che fanno sparire l’alcol dalle case dei cinesi convertiti e il suono del gong idolatra dai villaggi degli altipiani vietnamiti.
Va condiviso, non conteso, l’aggettivo «evangelico», usato dai compassati luterani lettoni e dai telepredicatori brasiliani. Vanno denunciati il calvinismo xenofobo filogovernativo di Budapest e la persecuzione dei pentecostali autorizzata dal governo di Mosca. Meritano attenzione gli evangelicals ottimisti del Sud del mondo, convinti al 70% che il pianeta di domani sarà ad essi più favorevole, e quelli pessimisti del Nord, persuasi al contrario che la società del futuro sarà più ostile. Va preso sul serio chi denuncia il neocolonialismo di evangelizzatori spregiudicati, e chi profetizza l’inarrestabile declino del protestantesimo tradizionale, l’emorragia di fedeli, lo sciogliersi in una vaga spiritualità secolarizzata, senza Dio e senza Chiesa.
Quando Papa Francesco si recherà a Lund a fine mese, per celebrare i cinquecento anni della Riforma insieme alla Federazione luterana mondiale, troverà ad accoglierlo anche Antje Jackelén, già vescovo di quella città, ora primate della Chiesa luterana di Svezia. Al momento dell’elezione, gli avversari le rimproverarono una dottrina non chiara. Diffido della chiarezza che divide gli animi ed è lontana dalla vita reale, rispose lei: voglio esser chiara, ma anche intuitiva ed empatica, leader femminile capace di stare sulla scena internazionale. Necessita di uomini e donne lucidi, appassionati, e globali, il cristianesimo plurale della Riforma.